Con ordinanza n. 9119 del 13 novembre 2024, il Consiglio di Stato, Sezione V, ha sollevato una rilevante questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 13, comma 1, del decreto-legge n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, e 23-ter, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge n. 214 del 2011. La questione riguarda la legittimità delle disposizioni che, nel fissare un tetto massimo alle retribuzioni dei dipendenti pubblici, includono all’interno di tale limite anche gli emolumenti relativi alle indennità di mandato elettorale corrisposte ai componenti togati degli organi di autogoverno della magistratura ordinaria e delle magistrature speciali.
Il Consiglio di Stato ha evidenziato che la questione non è manifestamente infondata, in quanto il coinvolgimento delle indennità di mandato elettorale nel tetto massimo delle retribuzioni potrebbe entrare in contrasto con i principi costituzionali espressi negli articoli 104, comma 4, e 108, comma 2, della Costituzione, che stabiliscono la tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura. In particolare, l’articolo 104, comma 4, attribuisce agli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, tra cui il Consiglio Superiore della Magistratura, una posizione di indipendenza rispetto agli altri poteri dello Stato, e l’articolo 108, comma 2, stabilisce che i magistrati non possano essere sottoposti a limitazioni o vincoli che ne pregiudichino l’indipendenza.
Il quesito sollevato dal Consiglio di Stato riguarda se l’inclusione delle indennità di mandato elettorale, che sono corrisposte ai magistrati eletti negli organi di autogoverno della magistratura, all’interno dei limiti retributivi fissati per i dipendenti pubblici possa rappresentare una violazione dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura. In effetti, la disposizione contestata potrebbe pregiudicare la libertà e l’indipendenza degli organi di autogoverno della magistratura, impedendo la piena autonomia nella gestione delle risorse necessarie per il funzionamento degli stessi.
La Corte Costituzionale dovrà quindi esaminare se, in considerazione della specificità e dell’indipendenza della magistratura, le norme impugnate siano compatibili con il dettato costituzionale o se, al contrario, la previsione di un tetto alle retribuzioni comprensivo delle indennità di mandato elettorale rappresenti un’ingerenza indebita nell’autonomia dell’ordinamento giudiziario, giustificando una revisione delle disposizioni in questione.
Pubblicato il 13/11/2024
- 09119/2024 REG.PROV.COLL.
- 00258/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 258 del 2021, proposto da – OMISSIS -, rappresentato e difeso dall’avvocato Daniele Granara, con domicilio di eletto presso il suo studio in Roma, corso Vittorio Emanuele II 154/3;
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Economia e delle Finanze, Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa, Consiglio di Stato, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi 12;
nei confronti
per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – sede di Roma (sezione seconda) n. – OMISSIS -/2020
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Economia e delle Finanze, del Segretariato Generale della Giustizia Amministrativa e del Consiglio di Stato;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;
Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 2 ottobre 2024 il Cons. Sergio Zeuli e uditi per le parti, in collegamento da remoto, l’avv. Granara e l’Avv. dello Stato De Bellis;
- La sentenza impugnata ha rigettato il ricorso con cui la parte appellante – mediante l’impugnazione delle note del Segretario generale della giustizia amministrativa nn. 140 del 27 ottobre 2014, 170 del 22 dicembre 2014 e 90 del 5 agosto 2015, nonché del provvedimento del Direttore dell’Ufficio di Segreteria della Commissione Tributaria regionale del Lazio del 10 agosto 2015 – chiedeva accertarsi il proprio diritto a percepire il trattamento economico spettantegli senza le decurtazioni effettuate ai sensi degli artt. 13, comma 1, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla l. 23 giugno 2014, n. 89, e 23-ter, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla l. 22 dicembre 2011, n. 214, in relazione alle funzioni svolte di componente effettivo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa e di giudice tributario presso la Commissione tributaria regionale di Roma, con conseguente condanna delle amministrazioni intimate a erogargli i relativi compensi.
A supporto del gravame la parte appellante, presidente di sezione del Consiglio di Stato, espone le seguenti circostanze:
– la pretesa esercitata consegue ai recuperi ed ai tagli operati dal Segretariato della giustizia amministrativa sul trattamento economico in godimento, in applicazione del cd. “tetto retributivo” di euro 240.000,00 annui, di cui all’art. 13, comma 1, del d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni, dalla l. n. 89/2014;
– detto importo era stato superato, negli anni 2014 e 2015, per effetto dei compensi spettantigli come componente elettivo effettivo del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa (C.P.G.A.), funzione svolta dal 18 ottobre del 2013 al 24 novembre del 2015, e come giudice componente della Commissione tributaria regionale del Lazio- Roma, incarico tuttora ricoperto;
– per l’incarico al C.P.G.A. era prevista la corresponsione di un’indennità in funzione onnicomprensiva di euro 45.000,00 lordi annui, mentre per le funzioni di giudice tributario era stabilito un compenso fisso lordo di euro 311,00 (netto euro 177,27) al mese, oltre alla quota variabile sulla produttività;
– con nota n. 140 del 27 ottobre del 2014 gli era stato comunicato che il maggiore importo rispetto al tetto, per il 2014 pari ad euro 3.367,66, sarebbe stato recuperato a decorrere dal successivo mese di novembre attraverso una decurtazione indicata in un prospetto allegato alla comunicazione;
– con la successiva nota n. 170 del 22 dicembre del 2014 gli veniva poi preannunciato che per l’anno 2015 le competenze sarebbero state ricondotte al tetto previsto per quest’ultimo anno attraverso una decurtazione pari ad euro 29.955,27;
– alle note facevano seguito le trattenute in esse preannunciate;
– le suddette note erano tempestivamente impugnate con ricorso al TAR del Lazio;
– successivamente, il 5 agosto del 2015, pervenivano la nota n. 90 del Segretario Generale della giustizia amministrativa, che comunicava l’ulteriore recupero della somma di euro 7.161,00 a lordo delle ritenute fiscali, percepita nell’anno 2014, per l’incarico di giudice tributario, e la nota del 10 agosto del 2015 che comunicava che si sarebbe richiesta la sospensione dell’erogazione dei compensi spettanti quale giudice tributario, maturati e maturandi, per la parte eccedente il limite di euro 240.000,00;
– le predette note venivano impugnate con un primo ricorso per motivi aggiunti, cui seguiva, nei termini, un secondo ricorso per motivi aggiunti nel quale venivano dedotte ulteriori censure avverso questi ultimi atti.
La sentenza impugnata ha rigettato sia il ricorso introduttivo che i motivi aggiunti, respingendo altresì le sollevate questioni di costituzionalità, sulla base delle precedenti sentenze della Corte Costituzionale del 26 maggio del 2017, n. 124, e del 10 novembre del 2017, n. 236, e disattendendo gli ulteriori motivi di illegittimità contestati.
Avverso la decisione così sintetizzata, il ricorrente ha proposto appello, recante le censure e le questioni di costituzionalità già proposte in primo grado.
- Si sono costituiti in giudizio la Presidenza del Consiglio dei Ministeri e il Segretariato Generale della Giustizia amministrativa contestando l’avverso dedotto e chiedendo il rigetto del gravame.
- Tutto ciò premesso, in diritto si osserva che con il quinto motivo di impugnazione la parte appellante segnala che, per effetto dei contestati recuperi, il trattamento economico spettantegli quale componente effettivo per gli anni 2014 e parte del 2015 del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa (C.P.G.A.) – organo di autogoverno della magistratura amministrativa – gli è stato sostanzialmente e illegittimamente azzerato.
Aggiunge la doglianza in esame che la sostanziale eliminazione del compenso spettante, dovuto in ragione di quanto previsto dagli articoli da 7 a 13 della legge n. 186 del 1982, avrebbe creato una situazione sperequata rispetto ad altri magistrati componenti dell’organo di autogoverno che, in ragione della minore anzianità di servizio, pur cumulando il trattamento stipendiale loro spettante, con l’indennità di funzione onnicomprensiva, determinata in euro 45.000 lordi annui, non avendo raggiunto il tetto massimo, hanno potuto fruire di detto emolumento per tutto il corso del loro mandato.
- La questione così riproposta, derivante dall’applicazione della sopra richiamata normativa in tema di tetto stipendiale massimo, impone che quest’ultima sia rimessa alla Corte Costituzionale, sotto il profilo del suo contrasto coi principi di autonomia ed indipendenza della magistratura, con particolare riferimento alla possibile incidenza che essa può avere sulla composizione dell’organo di autogoverno, che costituisce il presidio e, al tempo stesso, lo strumento di tutela dei suddetti valori costituzionali.
4.1. Per rischiarare i sollevati profili di dubbio in ordine alla costituzionalità della suddetta normativa, e dunque al fine di lumeggiare la non manifesta infondatezza della questione, è necessario partire dalla ricognizione dei principi di autonomia e indipendenza che la Costituzione proclama riferendoli al potere giudiziario, declinandoli in particolare in relazione all’ordine giudiziario. Principi, che, incarnati e perseguiti dal CSM, fanno divenire quest’ultimo la pietra angolare (secondo la definizione contenuta nella sentenza della Corte Costituzionale) del sistema giurisdizionale ordinario, sulla cui base è possibile altresì riconoscere, nel rispetto di quanto previsto dall’art.108 della Costituzione, analoghe guarentigie alle giurisdizioni speciali.
4.2. Ai sensi dell’art. 104, comma 1, della Costituzione la magistratura ordinaria costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, laddove il primo dei due aggettivi è riferibile alla cd. “indipendenza esterna”, mentre il secondo volge invece il suo sguardo alla cd. “indipendenza interna”.
Il rispetto di entrambe le declinazioni del principio è garantito dall’azione dell’organo di autogoverno, il Consiglio Superiore della Magistratura, per la giurisdizione ordinaria, al quale la Costituzione attribuisce la competenza relativa alla carriera (intesa in senso onnicomprensivo) del singolo magistrato, per impedire che quest’ultimo, e l’ordine giudiziario nel suo complesso, subiscano interferenze dall’azione degli altri poteri dello Stato e/o dall’interno dello stesso ordine giudiziario; per l’appunto a seconda della prospettiva (esterna o interna) dalla quale se ne voglia preservare l’indipendenza di giudizio e di azione.
Non per caso, lo stesso articolo 104 della Costituzione, dopo avere affermato la valenza inderogabile di quei principi, disciplina la composizione del C.S.M., attribuendone la presidenza al Presidente della Repubblica, prevedendo la presenza di due membri di diritto, e infine stabilendo, quanto agli altri componenti, che due terzi di essi devono essere eletti da tutti i magistrati ordinari, tra gli appartenenti alle “varie categorie”, mentre il restante terzo deve essere nominato dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio (art.104, comma 4, della Costituzione).
4.3. Ai fini del presente giudizio assume rilevanza l’indicazione riveniente da quest’ultima disposizione nella parte in cui disciplina il diritto di elettorato passivo dei magistrati aspiranti consiglieri del C.S.M., laddove il costituente ha precisato che i due terzi dei componenti devono essere eletti tra “gli appartenenti alle varie categorie di magistrati”. Oltre a rimarcare l’assenza di relazione gerarchica e la sostanziale paritarietà dei giudici, che si distinguono fra loro solo per le funzioni, come statuito dall’art. 107, comma 3, della Costituzione, la previsione evidenzia la necessità – evidentemente ritenuta dai costituenti strumento irrinunciabile per un corretto funzionamento dell’autogoverno, e, per il tramite di questo, individuata quale indispensabile disposizione per garantire l’effettiva indipendenza, interna ed esterna, del singolo giudice – che la composizione dell’organo rispecchi quella del corpo elettorale (togato) che lo esprime.
Dall’ordito costituzionale così riassunto, sembra potersi cioè profilare una caratteristica strutturale del C.S.M., organo di rilievo costituzionale, quale collegio a necessaria composizione rappresentativa, almeno nella sua parte togata.
In altre parole, il dispositivo ideato in Costituzione, nella parte in cui esige espressamente che la componente togata sia rappresentata tenendo conto delle categorie che ne costituiscono la base elettorale, individua la fisionomia dell’autogoverno in un organo che, per il tramite dei magistrati elettori chiamati a scegliere i propri rappresentanti, deve necessariamente farsi portatore, oltre che del pluralismo culturale presente nella magistratura, anche delle diverse esigenze proprie delle singole funzioni esercitabili nell’ambito di essa; ossia, per l’appunto, che si tratti di collegio esaustivamente rappresentativo di ciascuna delle categorie che la costituiscono.
Anche la componente laica dell’autogoverno, indirettamente, presenta una composizione rappresentativa in senso democratico, ma quest’ultima è conseguenza del fondamentale principio della sovranità popolare e della sua declinazione presente nell’art.101 Cost. secondo cui la giustizia “è amministrata in nome del popolo”. I membri laici del CSM sono infatti un’espressione qualificata del parlamento che, in seduta comune, li nomina, tuttavia essi non sono, né potrebbero obiettivamente essere, portatori di quella ulteriore rappresentatività per fasce di categorie funzionali della magistratura, che caratterizza, invece, a livello costituzionale, esclusivamente e propriamente la componente togata.
Se così non fosse, ossia se la necessaria rappresentatività per categorie di magistrati dell’autogoverno non fosse un’esigenza considerata dalla Costituzione indispensabile per il corretto funzionamento di quest’ultimo, per ottenere un’efficiente tutela dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, non si comprenderebbe la necessità di contemplare un’apposita previsione di livello costituzionale, che per l’appunto, entrando nel dettaglio della disciplina dell’elettorato passivo, ha ritenuto di precisare che l’elezione della componente togata debba rispettare una rappresentanza per categorie di giudici. Nella descritta prospettiva la stessa Corte Costituzionale, sin dal 1973, con la sentenza n. 142 ha definito il Consiglio Superiore della Magistratura “organo a composizione parzialmente rappresentativa”.
E sempre nella medesima ottica, la Corte Costituzionale, con la sentenza n.29 del 1987, ha affermato che la legge n.195 del 1958, istitutiva del CSM, deve essere annoverata tra le leggi costituzionalmente necessarie, non sottoponibili a referendum abrogativo, data la sua indispensabilità per il funzionamento dell’autogoverno.
4.2. Venendo alle giurisdizioni speciali e, per quel che più interessa in questa sede, alla magistratura amministrativa, dopo avere previsto la riserva di legge in materia di norme sull’ordinamento giudiziario, oltre che per la disciplina di ogni magistratura, l’articolo 108 della Costituzione stabilisce, al comma 2, che la legge deve assicurare “l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia”. E’ pacifico che nella nozione di indipendenza la disposizione costituzionale ora richiamata comprenda entrambe le declinazioni del termine presenti nell’art. 104, comma 1, della Costituzione, ossia sia quella interna che quella esterna, ed è altrettanto pacifico che il legislatore, in ragione della suddetta previsione, avrebbe dovuto al più presto istituire un organo di autogoverno che, in modo consimile al C.S.M., provvedesse ad assicurare pienamente, e con effettività, alle giurisdizioni speciali le medesime guarentigie previste in favore dei giudici ordinari.
Sarebbe altrimenti disarmonico, oltre che ingiustificato rispetto ai connotati ontologici della funzione giurisdizionale – le cui guarentigie costituzionali afferiscono al postulati dello stato democratico e della separazione dei poteri – declinare la nozione di indipendenza in modo dissimile e disparitario a seconda del se sia riferito alla giurisdizione ordinaria o a quelle speciali. A parte l’illogica disarmonia costituzionale di siffatta interpretazione, si dovrebbe invero sostenere, in assenza di elementi di carattere testuale oltre che sistematico, che il concetto di indipendenza di cui all’art. 108, comma 2, della Costituzione presenti un significato diverso dall’omologa nozione utilizzata dall’art. 104, comma 1, della stessa Carta Fondamentale.
4.3. Né a differenziare i due termini potrebbe valere la considerazione che l’art. 108, comma 2, della Costituzione rimette al legislatore la disciplina necessaria ad assicurare l’indipendenza delle giurisdizioni speciali, mentre, per quanto riguarda la giurisdizione ordinaria, la Carta fondamentale l’ha espressamente contemplata. Infatti, innanzitutto la disposizione costituzionale dedicata alle giurisdizioni speciali dimostra che alla legge in questione, per l’importanza del principio che è chiamata ad assicurare, deve essere riconosciuto un valore rinforzato rispetto a quello attribuibile ad una norma primaria per i principi già espressi da Corte Costituzionale n.29/1987, sopra-richiamata. In secondo luogo, la delega costituzionale al legislatore, piuttosto che dequotare l’importanza del relativo principio, si spiega con l’evidente intento del Costituente di richiamare l’attenzione del conditor legis a seguire, nella disciplina delle garanzie a tutela delle giurisdizioni speciali, il tracciato da lui stesso disegnato nel sopra citato articolo 104 Costituzione. In forza del rinvio alla garanzia di indipendenza enunciato dall’articolo 108, comma 2, Cost., quest’ultima disposizione assume pertanto la funzione di parametro di riferimento per ogni intervento di legge volto ad assicurare analoghe forme di indipendenza alle altre magistrature, la cui esistenza è riconosciuta in Costituzione.
4.4. Infine, a non diverse conclusioni si potrebbe giungere, rilevando che mentre l’articolo 104, comma 1, della Costituzione stabilisce che la magistratura costituisce un ordine non solo indipendente, ma anche autonomo, l’articolo 108, comma 2, con riguardo alle giurisdizioni speciali, si riferisce alla sola indipendenza. Infatti, secondo la miglior lettura del testo costituzionale, autonomia ed indipendenza rappresentano un’endiadi, dal momento che non si può configurare una giurisdizione indipendente che non sia anche autonoma. Dunque il riferimento operato dall’art. 108, comma 2, della Costituzione solo al primo dei due termini è da intendersi comprensivo di entrambe le aggettivazioni, proclamate dall’art. 104, comma 1, della Costituzione, riferibili per l’appunto alle due forme della indipendenza interna e dell’indipendenza esterna, che vengono ad essere ellitticamente coincise in questa previsione costituzionale riferibile alle giurisdizioni speciali.
4.5. Per quanto riguarda il complessivo ordine giudiziario amministrativo – composto dai plessi dei Tribunali amministrativi regionali e del Consiglio di Stato – l’organo di autogoverno, ossia il Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, è stato istituito con la legge ordinamentale n. 186 del 1982, successivamente modificata, in questa parte, dalla legge n. 205 del 2000. Con questa previsione, si noti per incidens, il legislatore ha implicitamente confermato la natura riassuntiva, atta a comprendere entrambi i principi di autonomia e di indipendenza, del concetto di indipendenza contenuto nell’art. 108, comma 2, della Costituzione.
Tanto premesso, l’art. 7 della legge 186 prevede che il C.P.G.A. deve essere composto:
- a) dal presidente del Consiglio di Stato, che lo presiede;
- b) da quattro magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato;
- c) da sei magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali;
- d) da quattro cittadini eletti, due dalla Camera dei deputati e due dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, tra i professori ordinari di università in materie giuridiche o gli avvocati con venti anni di esercizio professionale;
- e) da due magistrati in servizio presso il Consiglio di Stato con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera b);
- f) da due magistrati in servizio presso i tribunali amministrativi regionali, con funzioni di supplenti dei componenti di cui alla lettera c).
4.6. Dunque la legge n. 186 del 1982 – nella parte in cui differenzia la composizione del Collegio, in ragione delle categorie di appartenenza dei magistrati eletti (sei per i magistrati TAR e quattro per i magistrati del Consiglio di Stato) – adottandolo quale norma costituzionale parametro si è posta in evidente consonanza con quanto previsto, per il C.S.M., dall’art. 104, comma 4, della Costituzione, che, come ricordato, nella sua componente togata deve rispettare una rappresentanza per categoria.
Il legislatore degli anni 1982/2000 – attuando le previsioni contemplate dall’art. 108, comma 2 – ha rieditato, dunque, nella composizione dell’organo di autogoverno della magistratura amministrativa, evidentemente allo scopo di garantirne l’indipendenza, ed emulando, anche in senso strutturale, l’art. 104, comma 4, Costituzione, la composizione rappresentativa per categorie, prospettata in Costituzione per il C.S.M.
Ed è quasi superfluo ricordare che la detta composizione rappresentativa è da intendersi in stretta connessione funzionale al principio di indipendenza, declinabile, in egual misura, per la giurisdizione ordinaria come per quelle speciali riconosciute in Costituzione. E’ di conseguenza inevitabile che, in questa parte, la previsione normativa deve intendersi – in quanto attuativa delle previsioni costituzionali di cui agli articoli 104, comma 4, e 108, comma 2, della Costituzione – quale normativa “rinforzata”, non derogabile da norma di legge ordinaria, pena la vulnerazione del principio di indipendenza, intesa in senso ampio, dei giudici speciali.
4.7. Di pari passo con l’esercizio di funzioni rappresentative istituzionali procede il riconoscimento della spettanza di un’indennità economica, nel suo duplice valore di remunerazione e di rimborso spese, in favore di chi le svolge, pena lo svilimento della relativa funzione. Come in tutti i casi di svolgimento di mandati elettorali, anche in tal caso l’indennità rappresenta una “prerogativa di funzione”, che garantisce non solo il singolo eletto, ma la stessa istituzione di cui egli fa parte. Entrambi oggetti di tutela, soprattutto la seconda, che, nel caso degli organi rappresentativi dei magistrati, sono a loro volta funzionali alla preservazione ed alla protezione del valore costituzionale dell’indipendenza della giurisdizione come del singolo giudice, come finora esposto.
4.8. La Corte Costituzionale ha più volte mostrato di non ritenere illegittima la tendenza della legislazione moderna ad estendere l’istituto dell’indennità per le funzioni elettive, nell’ottica di eliminare o attenuare la gratuità delle funzioni pubbliche elettive (v. sentenze n. 193 del 1981 e n.454 del 1997).
4.9. Per quanto riguarda i componenti togati del C.P.G.A. il relativo trattamento economico, consistente in un’indennità di funzione onnicomprensiva, è previsto da normative interne emesse dallo stesso Consiglio di Presidenza, in base al Decreto del Presidente del Consiglio di Stato del 6 febbraio del 2012 che, a sua volta, si fonda sulle norme istitutive dell’organo di autogoverno contenute negli articoli da 7 a 12 della Legge n. 186 del 1982.
4.10. Tanto premesso, la normativa, succedutasi nel tempo, finalizzata a stabilire un tetto onnicomprensivo alle retribuzioni del pubblico dipendente (e cioè i ricordati articoli 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, e 23 ter, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. n. 214 del 2011) produce l’effetto di azzerare la suddetta indennità per tutti coloro che, pur essendo espressione di una specifica categoria togata componente l’ordine giudiziario (nel caso di specie quella dei magistrati del consiglio di stato), e avendo raggiunto un trattamento retributivo onnicomprensivo prossimo alla soglia massima, non possono percepire ulteriori emolumenti, i quali avrebbero quale inevitabile conseguenza di oltrepassare il tetto imposto dal legislatore, anche allorquando svolgano la funzione di componenti effettivi del C.P.G.A. in adempimento del mandato elettorale.
Il dubbio di incostituzionalità risiede esattamente in quest’ultimo aspetto e ruota attorno alla questione se l’azzeramento dell’indennità di funzione, diretta conseguenza del limite stipendiale annuo, sia o meno in grado di influenzare indirettamente la composizione dell’organo di autogoverno della magistratura amministrativa, e di incidere più nello specifico sulla sua rappresentatività della categoria e per ulteriore conseguenza sul valore costituzionale di indipendenza della giurisdizione. E’ infatti dato di fatto indiscutibile che detta misura – oltre a comportare un’obiettiva discriminazione tra i membri elettivi, alterando la paritarietà di trattamento fra i singoli componenti dell’autogoverno e così incidendo sul diritto di elettorato passivo di una determinata qualifica – ha l’altrettanto obiettivo effetto di scoraggiare, se non, in ipotesi estrema, di impedire, la partecipazione alla competizione elettorale per l’autogoverno di quella specifica categoria dei magistrati che, come la parte appellante, avendo raggiunto, nella progressione del rapporto di lavoro, il vertice stipendiale, fruiscono già di un trattamento economico prossimo al tetto e dunque non possono percepire l’indennità di mandato.
La descritta deminutio economica rappresenta peraltro obiettivamente un quid pluris sul piano qualitativo di una semplice incisione delle condizioni del lavoro. Infatti la partecipazione di questi ultimi al CPGA, e con essa la composizione necessariamente rappresentativa dell’organo è inevitabilmente vulnerata dalla impossibilità di percepire le indennità previste. L’effetto derivante è quello di una sotto-rappresentazione di una parte della categoria dei magistrati della giurisdizione amministrativa, e un’indiretta lesione dell’indipendenza di quest’ultima, che invece la Costituzione (e, in attuazione di questa, il legislatore statale) ha inteso riaffermare, attraverso la articolazione per categoria nelle quali si suddivide l’elettorato passivo, secondo i principi rivenienti dal combinato disposto degli artt. 104, comma 4, e 108, comma 2.
In definitiva, ritiene il Collegio che, in parte qua, la predetta normativa potrebbe risultare in contrasto con questi ultimi articoli della Carta Fondamentale, e più in generale, con i valori di autonomia e di indipendenza della giurisdizione amministrativa enunciati per tutti gli ordini giurisdizionali dalle disposizioni costituzionali da ultimo richiamate.
4.11. Vale anche precisare che non risulta che la relativa questione sia stata precedentemente trattata dalla Corte Costituzionale che, nelle sentenze indicate dal primo giudice, pur avendo rigettato la prospettata illegittimità della normativa impositiva del tetto, ha affrontato problematiche diverse da quella in questione. Infatti, con la sentenza n. 124 del 2017, è stato escluso che l’art. 23 ter del d.l. n. 201/2011 e l’art. 13 d.l. n. 66 del 2014 (convertito con modificazioni dalla legge 89 del 2014), e l’art.1 commi 471, 472 e 473 della l. n. 147 del 2013, siano in contrasto con gli artt. 4, 36 e 38 della Costituzione, ritenendoli espressione di scelte non irragionevoli, finalizzate al contenimento ed alla complessiva razionalizzazione della spesa. E’ vero in particolare che, in quella sentenza, la Corte ha escluso anche il contrasto con l’articolo 104 della Costituzione; ma è del pari incontroverso che le questioni erano perimetrate con esclusivo riferimento al limite imposto alla retribuzione del magistrato, inteso come singolo giudice. Non è stata per contro affrontata la questione relativa alla retribuzione delle funzioni svolte da quest’ultimo, in ragione di un mandato elettorale, nell’ambito di un organo a composizione necessariamente rappresentativa, per come contemplato in Costituzione.
4.12. La questione ora posta non è stata esaminata neppure dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 236 del 2017 chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 9 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che ha assoggettato al regime del limite retributivo di cui all’articolo 23-ter del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, anche i compensi professionali corrisposti dalle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, agli avvocati dipendenti delle amministrazioni stesse, ivi incluso il personale dell’Avvocatura dello Stato. Anche in questo caso, infatti, il giudice delle leggi ha ritenuto detta misura non irragionevole, in quanto giustificata dalle esigenze di bilancio e di contenimento della spesa pubblica, escludendo altresì che, nel caso di specie, il legislatore avesse abusato della decretazione d’urgenza data la particolare congiuntura economica e finanziaria. Lo scrutinio di costituzionalità non è stato quindi svolto con riguardo alla rappresentanza di categoria nell’organo di autogoverno.
4.13. Quanto precede vale dunque a sostenere la non manifesta infondatezza della questione.
- Venendo invece alla rilevanza della questione, considerato l’oggetto dell’impugnazione, è evidente la pregiudizialità della problematica dedotta ai fini della decisione della presente controversia.
Infatti, il diritto azionato dal ricorrente nel presente giudizio e finalizzato ad ottenere la restituzione dell’indennità di componente del Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa che gli è stata prelevata per il periodo 2014/2015 è ad oggi impedito dalle disposizioni di legge censurate.
- In definitiva, si ritiene di rimettere alla Corte costituzionale la questione di illegittimità costituzionale degli articoli 13, comma 1 del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, e 23 ter, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. n. 214 del 2011 – nella parte in cui, nel prevedere un tetto massimo alle retribuzioni dei dipendenti statali includono, in detta misura soglia, anche gli emolumenti corrispondenti alle indennità di mandato elettorale spettante ai componenti togati eletti negli organi di autogoverno della magistratura ordinaria e in quelli delle magistrature speciali – per contrasto con gli articoli 104, comma 4, e e 108, comma 2, della Costituzione, oltre che con il principio di indipendenza della giurisdizione.
Il presente processo va conseguentemente sospeso, in attesa della decisione della Corte Costituzionale cui vanno immediatamente trasmessi gli atti.
Riserva all’esito, la pronuncia sulle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, visti gli articoli 134 Cost. e 23 della legge 11 marzo del 1953 n.87:
– ritenuta rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 104, comma 4, e e 108, comma 2, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale degli articoli 13, comma 1, del d.l. n. 66 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 89 del 2014, e 23 ter, comma 1, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla l. n. 214 del 2011, nella parte in cui, nel prevedere un tetto massimo alle retribuzioni dei dipendenti statali includono, in detta misura soglia, anche gli emolumenti corrispondenti alle indennità di mandato elettorale spettante ai componenti togati eletti negli organi di autogoverno della magistratura ordinaria e in quelli delle magistrature speciali;
– sospende il giudizio e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale;
– riserva le spese al definitivo.
– ordina che a cura della segreteria la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, e comunicata ai presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica.
Così deciso nella camera di consiglio celebratasi da remoto del giorno 2 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Fabio Franconiero, Presidente
Raffaello Sestini, Consigliere
Sergio Zeuli, Consigliere, Estensore
Ugo De Carlo, Consigliere
Roberto Michele Palmieri, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Sergio Zeuli |
Fabio Franconiero |
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IL SEGRETARIO