La sentenza del Consiglio di Stato, sezione VI, n. 8972 dell’11 novembre 2024, si concentra sulla portata dell’art. 112, comma 3, c.p.a. e sulla configurabilità di una responsabilità risarcitoria per l’impossibilità di ottenere il bene della vita in forma specifica a seguito di un giudicato amministrativo. Il Collegio ha chiarito che la domanda di risarcimento del danno, proponibile per la prima volta in sede di ottemperanza, è ammissibile non solo quando la spettanza del bene della vita sia affermata direttamente dalla sentenza, ma anche quando la sentenza determini un obbligo conformativo che, combinandosi con l’attività amministrativa successiva, conduca al riconoscimento del bene della vita, la cui attribuzione concreta sia divenuta impossibile. Tale interpretazione estensiva si fonda sull’idea che la funzione del giudizio di ottemperanza consista non solo nell’assicurare l’esecuzione del giudicato, ma anche nel garantire una tutela effettiva del diritto leso.

La sentenza ha inoltre affrontato il caso in cui il giudicato amministrativo sia oggetto di impugnazione per eccesso di potere giurisdizionale ex art. 111, comma 8, Cost., chiarendo che il termine “giudicato” utilizzato dall’art. 112, comma 3, c.p.a. non può essere limitato alla nozione formale di sentenza divenuta incontestabile. Esso deve intendersi riferito all’accertamento sostanziale della situazione giuridica dedotta in giudizio e all’impossibilità di una sua esecuzione specifica. Questo approccio consente al giudice dell’ottemperanza di accertare il diritto al risarcimento anche in presenza di un contenzioso pendente sulla giurisdizione, favorendo un’applicazione più ampia e sostanziale del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Infine, il Consiglio di Stato ha delineato i presupposti per la configurazione della responsabilità risarcitoria ex art. 112, comma 3, c.p.a., ribadendo che essa richiede la riconducibilità dell’impossibilità di eseguire il giudicato in forma specifica alla condotta dell’amministrazione resistente, salvo che quest’ultima dimostri una causa di giustificazione come il caso fortuito o il fatto del terzo con efficacia esclusiva. Trattandosi di una responsabilità di natura contrattuale, il Collegio ha precisato che grava sul creditore l’onere di provare il titolo risarcitorio, mentre incombe sull’amministrazione convenuta l’onere di dimostrare l’eventuale esistenza di fattori esonerativi della responsabilità. Questa impostazione richiama i principi generali della causalità civile e della preponderanza dell’evidenza probatoria, sottolineando al contempo l’importanza di una rigorosa verifica eziologica nella determinazione del danno.

Pubblicato il 11/11/2024

  1. 08972/2024REG.PROV.COLL.
  2. 01018/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1018 del 2024, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese con la mandante – OMISSIS -, rappresentata e difesa dagli avvocati Marco Bellante e Luigi Ammirati, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Rasun Anterselva, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

nei confronti

– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Marco Giustiniani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’ottemperanza:

della sentenza del Consiglio di Stato – Sez. VI, n. 09579/2023, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Rasun Anterselva e di – OMISSIS -;

Visto l’art. 114 cod. proc. amm.;

Visto il decreto cautelare monocratico n. 433/2024;

Vista l’ordinanza cautelare n. 850/2024;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 il Conigliere Lorenzo Cordì e uditi, per le parti, l’avvocato Marco Bellante, l’avvocato dello Stato Giorgio Santini e l’avvocato Tiziana Tortora per delega dell’avvocato Marco Giustiniani;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. – OMISSIS -, in proprio e quale mandataria dell’associazione temporanea di imprese con la mandante – OMISSIS – (di seguito solo “– OMISSIS –” o “l’a.t.i.” o “la ricorrente”), ha proposto ricorso per l’ottemperanza della sentenza n. 9579/2023, con la quale la Sezione ha: i) accolto l’appello principale di – OMISSIS -; ii) respinto il ricorso incidentale in appello di – OMISSIS -; iii) respinto, per l’effetto e in parziale riforma della sentenza di primo grado, il ricorso incidentale di primo grado di – OMISSIS -, confermando, per il resto, la sentenza appellata: iv) ordinato all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 34, comma 1, lett. e), c.p.a., di provvedere all’esecuzione della sentenza entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione.
  2. La sentenza della Sezione è stata resa con riferimento alla procedura di gara indetta dal Comune di Rasun Anterselva per l’appalto dei lavori di “adattamento e ristrutturazione del centro di biathlon di Anterselva per le Olimpiadi invernali 2026”. All’esito delle operazioni di gara (alla quale avevano partecipato solo due concorrenti) era stata dichiarata vincitrice – OMISSIS -, la cui offerta aveva conseguito un maggior punteggio (pari a 99,80 punti), rispetto a quello di – OMISSIS – (pari a 99,05 punti). – OMISSIS – si era, quindi, aggiudicata la gara per l’importo complessivo di euro 17.225.873,17, al netto dell’i.v.a.
  3. – OMISSIS – aveva contestato l’esito della gara, adendo il T.R.G.A – Sezione Autonoma di Bolzano. – OMISSIS – aveva proposto ricorso incidentale avverso gli atti di gara nella parte in cui non avevano disposto l’esclusione dell’a.t.i. ovvero nella parte in cui avevano, comunque, attribuito all’offerta del medesimo un punteggio più elevato rispetto a quanto ritenuto dovuto. – OMISSIS – aveva dedotto, inoltre, l’illegittimità della lex specialis nella parte in cui aveva previsto che “in caso di discordanza tra campione e offerta tecnica [fosse prevalso] il campione” (v. sezione “A” della sentenza n. 9579/2023).
  4. Il T.R.G.A. aveva accolto in parte il ricorso principale e il ricorso incidentale (v. sezione “B” della sentenza n. 9579/2023).
  5. – OMISSIS – aveva, quindi, proposto ricorso in appello dinanzi a questo Consiglio di Stato, osservando, in primo luogo, come la Commissione di gara avesse provveduto a rinnovare le valutazioni e come fosse stata disposta una nuova aggiudicazione in favore di – OMISSIS -. L’appellante principale aveva dedotto che Commissione aveva proceduto ad annullare i punteggi tecnici di entrambe le concorrenti e a effettuare una nuova integrale valutazione degli stessi; inoltre, l’Amministrazione aveva consegnato d’urgenza i lavori ad – OMISSIS – che aveva, pertanto, iniziato l’esecuzione delle opere. – OMISSIS – aveva, quindi, dedotto di aver proposto anche ricorso per ottemperanza dinanzi al T.R.G.A. con istanza di concessione di misure cautelari anche monocratiche. Tale istanza era stata, tuttavia, respinta con decreto n. 60/2023, ritenendo prevalente l’interesse pubblico alla tempestiva realizzazione delle opere oggetto di gara. Tale decreto aveva fissato l’udienza in camera di consiglio del 12 settembre 2023 per la trattazione collegiale della domanda cautelare.

6.1. Questo Consiglio, con decreto n. 3280/2023, aveva respinto l’istanza di misure cautelari monocratiche, articolata in via incidentale da – OMISSIS -. Con ordinanza n. 3369/2023 la Sezione aveva respinto l’istanza cautelare di – OMISSIS – evidenziando come la mera sospensione dell’efficacia della sentenza appellata non sarebbe stata, in ogni caso, idonea a fornire alla stessa una tutela della situazione soggettiva fatta valere in giudizio. La Sezione aveva, comunque, fissato l’udienza del 26.10.2023 per la trattazione del merito del ricorso in appello.

6.2. In data 21.9.2023 – OMISSIS – aveva depositato ricorso incidentale in appello chiedendo di respingere il ricorso principale e di accogliere i motivi articolati con tale ricorso incidentale; in via subordinata, – OMISSIS – aveva riproposto l’istanza istruttoria con la quale ha chiesto al Collegio di disporre verificazione o consulenza tecnica d’ufficio sui fatti e sui profili tecnici oggetto del ricorso in appello incidentale (v. sezione “C” della sentenza n. 9579/2023).

  1. La Sezione aveva, quindi, definito il giudizio con la sentenza n. 9579/2023. In particolare, la Sezione aveva accolto il ricorso principale di – OMISSIS -, relativo alla sussistenza di un requisito essenziale nel materiale utilizzato sul campione per la coibentazione. La Sezione aveva, invece, respinto integralmente il ricorso incidentale di – OMISSIS -, ritenendo inammissibile – in quanto superflua – l’istanza istruttoria. La Sezione aveva, inoltre, effettuato alcune precisazioni sulla portata e sul vincolo conformativo derivante dalla sentenza, sulle quali il Collegio si soffermerà infra.
  2. Terminata l’esposizione del giudizio di cognizione si osserva come – OMISSIS – abbia adito questo Consiglio, quale Giudice dell’ottemperanza, esponendo, in punto di fatto, che: i) dopo la sentenza della Sezione, il Comune aveva disposto l’aggiudicazione in proprio favore e incaricato il r.u.p. di verificare i presupposti per il subentro; ii) – OMISSIS – aveva prodotto una relazione tecnica volta ad evidenziare la possibilità di subentro e garantito di riuscire a terminare i lavori entro il 15.10.2024, offrendo una cauzione di euro 200.000,00; iii) in data 15.1.2024 il r.u.p. aveva contestato a Gasser una serie di aspetti relativi alla propria offerta tecnica, alla quale la Società aveva dato riscontro evidenziando, in particolare, la formazione di un giudicato amministrativo su tali questioni, con conseguente preclusione di nuove contestazioni; iv) la Società aveva adito il T.R.G.A. in sede di ottemperanza ma il Giudice, con sentenza n. 24/2024, aveva evidenziato come la competenza funzionale alla decisione fosse di questo Consiglio. Con il ricorso introduttivo del giudizio Gasser ha, quindi, chiesto a questo Consiglio di ordinare all’Amministrazione di ottemperare integralmente alla sentenza, formulando, altresì, istanza cautelare anche monocratica.
  3. Con il decreto n. 850/2024 è stata respinta l’istanza di misure cautelari monocratiche osservando che: i) dalla lettura degli atti risultava che il Comune aveva riaggiudicato la gara in favore di Gasser ma aveva ritenuto applicabile la previsione di cui all’art. 125, comma 3, c.p.a.; ii) il Comune aveva demandato al r.u.p. ulteriori accertamenti sul punto e questo era tornato a dubitare in ordine ai requisiti dell’a.t.i. – OMISSIS -; iii) era necessario esaminare, nel contraddittorio tra le parti, se i rilievi del r.u.p. non fossero già coperti dal giudicato della sentenza n. 9579/2023; iv) era necessario esaminare se (tenuto conto del sopravvenire del D.P.C.M. – richiamato dal Comune nel suo nuovo atto di aggiudicazione – solo in data 8.9.2023) fosse possibile ascrivere una determinata opera tra quelle strategiche quando il giudizio fosse ormai in corso, incidendo a processo iniziato (e, anzi, in stato avanzato) sulle tutele in concreto accordabili dal Giudice, nell’alternativa tra quella in forma specifica e quella per equivalente; v) nelle more, sul piano strettamente cautelare, sulla base di quanto prospettato e documentato dalla ricorrente – pur essendo innegabile che il trascorrere del tempo rischiava di allontanare le possibilità di subentro, avvicinando di contro la prospettiva risarcitoria – non emergevano elementi di urgenza tali da non consentire di attendere la trattazione della domanda cautelare davanti al Collegio, tenuto conto della dimidiazione del termine di legge.

9.1. All’udienza in camera di consiglio del 22 febbraio 2024, la trattazione della causa è stata rinviata su concorde richiesta delle parti. Medio tempore, la parte ha proposto ricorso per motivi aggiunti avverso il provvedimento del 7.2.2024, con il quale il Comune aveva escluso il subentro dell’a.t.i. nel contratto, nonché avverso gli atti ad esso collegati, deducendo l’elusione e violazione del giudicato. In subordine l’a.t.i. ha chiesto di condannare il Comune al risarcimento dei danni patiti e patiendi per l’impossibilità di ottenere la tutela in forma specifica. All’esito della successiva camera di consiglio del 7 marzo 2024, la Sezione ha respinto la domanda cautelare osservando di non ritenere sussistenti i presupposti per configurare l’atto elusivo del giudicato, ma di considerare i motivi dedotti quali vizi di legittimità, suscettibili di essere delibati dal Giudice della cognizione competente.

  1. In vista dell’udienza pubblica del 19.9.2024 il Comune e – OMISSIS – hanno depositato memoria conclusionale. Il Comune ha, inoltre, depositato memoria di replica. All’udienza del 19.9.2024 la causa è stata trattenuta in decisione.
  2. Entrando in medias res il Collegio deve, in primo luogo, dichiarare improcedibile la domanda finalizzata all’attuazione della sentenza della Sezione n. 9579/2023 e articolata nel ricorso introduttivo del presente giudizio. Infatti, tale domanda si era fondata sulla mancata verifica da parte della stazione appaltante della possibilità di disporre il subentro di – OMISSIS – nel contratto, avendo, allora, l’Amministrazione provveduto a disporre la sola aggiudicazione in favore dell’a.t.i., all’esito della nuova valutazione dell’offerta di – OMISSIS – (delibera n. 478/23), ma demandando al r.u.p. di verificare le condizioni per il possibile subentro. L’Amministrazione ha, successivamente, provveduto ad effettuare tale verifica e, all’esito, ha adottato il provvedimento del 7.2.2024 – con il quale ha escluso il subentro di – OMISSIS – – e che la parte ha impugnato con ricorso per motivi aggiunti depositato in data 21.2.2024. Con tale provvedimento l’Amministrazione ha, quindi, completato l’attuazione della sentenza di questo Consiglio. Pertanto, in relazione al ricorso introduttivo del giudizio deve accogliersi l’eccezione di improcedibilità della domanda di ottemperanza ivi formulata, articolata da – OMISSIS – nella memoria del 20.2.2024.
  3. Passando al successivo ricorso per motivi aggiunti si osserva, in primo luogo, come – OMISSIS – abbia impugnato: i) il provvedimento del 7.2.2024 con il quale il Comune di Rasun Anterselva ha escluso il subentro dell’a.t.i. – OMISSIS – nel contratto; ii) la nota del 31.1.2024 del Comune di Rasun Anterselva recante la “Analisi dei rischi connessi al subentro nel contratto”; iii) la determinazione del c.c.t. del 7.2.2024 recante “Risk Assessment, Public Sector Comparator, Value for Money delle alternative di completamento dei lavori di ristrutturazione dell’impianto per il Biathlon a Rasun-Anterselva”; iv) la nota del c.c.t. del 23.1.2024 e la relazione della Direzione lavori del 31.1.2024. Come esposto in precedenza, – OMISSIS – ha chiesto, in subordine, il risarcimento dei danni ex art. 112, comma 3, c.p.a.

12.1. – OMISSIS – ha, in primo luogo, dedotto la nullità per violazione/elusione del giudicato del provvedimento con il quale il Comune ha escluso il subentro dell’a.t.i. nel contratto, osservando che: i) il termine per il completamento dei lavori (indicato dal D.P.C.M. dell’8.9.2023 nella data del 31.12.2025) era stato illegittimamente “arretrato” al 21.1.2015, al solo fine di affermare la sussistenza di un rischio di mancato completamento dell’opera; ii) il D.P.C.M. era, comunque, intervenuto in un momento molto avanzato del contenzioso, mutando le regole in ordine alle tutele operanti a giudizio in corso; iii) la previsione di cui all’art. 3, comma 12-ter, del d.l. n. 16/2020 (relativa alle opere per le Olimpiadi invernali del 2026) aveva richiamato la disposizione dell’art. 125 c.p.a., ma previsto che non dovessero esservi nuovi oneri a carico dello Stato, escludendone, di fatto, l’applicazione, non potendosi escludere nuovi costi in caso di necessario ristoro per equivalente; iv) l’Amministrazione e – OMISSIS – avevano posto in essere plurime condotte dilatorie al fine di precludere il subentro nel contratto.

12.2. Nella memoria difensiva del 2.9.2024 – OMISSIS – ha, tuttavia, dedotto che i lavori erano, praticamente, terminati e che, pertanto, era “impossibile eseguire la sentenza di [questo] Consiglio in forma specifica mediante l’aggiudicazione del contratto di appalto”; pertanto, “la domanda di risarcimento del danno ex art. 112, co. 3 c.p.a. proposta con il ricorso per motivi aggiunti in via subordinata” diveniva “domanda principale”. In sostanza, – OMISSIS – ha affermato la carenza di interesse alla decisione della domanda di accertamento della nullità dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti, stante l’avvenuta ultimazione dei lavori.

12.3. Il Collegio, nel prendere atto della dichiarazione della parte ricorrente, deve, preliminarmente ribadire come la domanda articolata da Gasser rientri nella giurisdizione del Giudice amministrativo, diversamente da quanto dedotto da – OMISSIS – nella memoria depositata in data 5.3.2024. Secondo – OMISSIS – tali valutazioni apparterrebbero “a un rapporto privatistico e a una sua eventuale modifica soggettiva”; ne sarebbe riprova “la circostanza che, ove si fossero concluse diversamente da quanto accaduto, le stesse sarebbero state prodromiche a una risoluzione del contratto dell’ente con – OMISSIS -, che il Comune avrebbe dovuto verosimilmente richiedere al giudice ordinario, non sussistendo i presupposti di legge per un atto di risoluzione unilaterale ex art. 108 del D.Lgs. n. 50/2016”. Tale eccezione è priva di fondamento in quanto la domanda articolata da – OMISSIS – ha avuto ad oggetto la nullità per violazione/elusione del giudicato di un provvedimento di indubbia natura autoritativa, nel quale il Comune ha effettuato valutazioni

in ordine alla possibilità di disporre o, come accaduto, negare il subentro nel contratto di appalto al soggetto al quale tale contratto è stato aggiudicato all’esito delle rinnovate valutazioni poste in essere in attuazione del giudicato amministrativo (cfr., Cassazione civile, Sezioni unite, ordinanza 18 novembre 2016, n. 23468)

12.3. Le ulteriori eccezioni in rito articolate dall’Amministrazione e da – OMISSIS – possono, invece, assorbirsi, non afferendo alla sussistenza del potere giurisdizionale di questo Consiglio, ma a presupposti di ammissibilità della domanda, che è inutile sondare in ragione della dichiarata carenza di interesse ad una decisione di merito. In ragione di quanto esposto, il Collegio deve prendere atto della dichiarazione di parte ricorrente e dichiarare improcedibile la domanda di accertamento della nullità degli atti impugnati e di esecuzione della sentenza in forma specifica.

  1. – OMISSIS – ha, invece, insistito per l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno ex art. 112, comma 3, c.p.a., che è, quindi, divenuta la domanda principale dell’a.t.i. ovvero l’unica. A sostegno di tale domanda l’a.t.i. ha esposto una serie di deduzioni relative alla grave condotta colposa dell’Amministrazione e ha, poi quantificato il mancato utile nella misura del 21,4949 % del prezzo a base della gara (pari a 3.018.448,20), chiedendo di non operare alcuna decurtazione per il riutilizzo di mezzi e lavori (o, in subordine, di decurtare l’aliunde perceptum vel percipiendum nella misura del 10 per cento della somma riconosciuta a titolo di lucro cessante), e di riconoscere il danno curriculare nella misura nel 20 per cento di quanto liquidato a titolo di lucro cessante.
  2. Prima di esaminare il merito di tale domanda occorre, tuttavia, verificare la fondatezza delle eccezioni articolate dal Comune di Rasun Anterselva in relazione alla domanda risarcitoria articolata da – OMISSIS -.

14.1. Il Comune ha, in primo luogo, eccepito l’improponibilità della domanda risarcitoria in quanto, “pur prescindendo dall’applicabilità o meno dell’art. 125 c.p.a.”, questa sarebbe stata estranea all’oggetto del giudizio di ottemperanza, non essendo connessa all’impossibilità o, comunque, alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. A sostegno di questa eccezione il Comune ha riprodotto un segmento della sentenza n. 6530/2021 di questo Consiglio, la quale aveva ribadito che in sede di ottemperanza il solo danno risarcibile era quello connesso all’impossibilità o mancata esecuzione in forma specifica e non anche altre pretese risarcitorie. Il Comune ha, quindi, evidenziato che la domanda sarebbe stata inammissibile in quanto formulata solamente in sede di ottemperanza, non già in un autonomo giudizio di cognizione, con ciò precludendo alle altre parti anche la garanzia del doppio grado di giudizio (punti I.I.a-II-b. della memoria conclusionale del Comune).

14.1.1. Osserva il Collegio come l’eccezione del Comune si sostanzi in una riqualificazione della domanda, che non dovrebbe trovare fondamento nella previsione di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., ma sarebbe, invece, riconducibile alla generale previsione di cui all’art. 2043 c.c., trattandosi, in sostanza, della richiesta di ristoro di un danno ingiusto, patito per un provvedimento ritenuto illegittimo quale il diniego di subentro. Deve, tuttavia, osservarsi come la parte abbia chiesto di condannare l’Amministrazione al risarcimento dei danni patiti non per il diniego di subentro ma per l’intervenuta impossibilità di ottenere – anche in via giurisdizionale – tale subentro, stante le condotte poste in essere dal Comune, che avevano, in sostanza, deprivato ogni possibilità di ottenere il bene della vita che sarebbe spettato all’a.t.i. in quanto legittimo affidatario dell’appalto in forza delle determinazioni adottate dallo stesso Comune in attuazione della sentenza della Sezione. L’atto di diniego che l’Amministrazione vorrebbe elevare a ragione esclusiva del mancato subentro è, invece, assunto – nella prospettiva della domanda di Gassel Paul – come un frammento di un ben più composito mosaico, che ha condotto al mancato conseguimento del bene della vita al quale la stessa anelava. In considerazione di quanto esposto, la domanda articolata deve ritenersi rientrante nell’alveo applicativo della previsione di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a. Del resto, deve osservarsi come tale domanda risarcitoria sia stata articolata in via meramente subordinata e per la sola ipotesi di impossibilità di ottenere in forma specifica il bene alla quale. La stessa articolazione delle due domande mediante il loro cumulo condizionale eventuale disvela, con chiarezza, come la domanda risarcitoria non sia stata formulata ponendovi a fondamento l’illegittimità del diniego di subentro, destinata ad evolversi – per mutuare un’immagine della dottrina – in illiceità del fatto, nella prospettiva della domanda risarcitoria, ma su un presupposto del tutto differente e, cioè, sull’impossibilità (meramente eventuale al momento della notificazione del ricorso per motivi aggiunti) di ottenere il subentro nel contratto. Impossibilità che si è, successivamente, verificata nel momento in cui i lavori – come dedotto dalla stessa – OMISSIS – – sono stati ultimati dal precedente aggiudicatario. Pertanto, la domanda è stata, correttamente, proposta dinanzi al Giudice dell’ottemperanza, non potendo la stessa configurare un’ordinaria azione di risarcimento, come dedotto dal Comune.

14.2. In memoria di replica il Comune ha, poi, articolato ulteriori eccezioni di inammissibilità della domanda risarcitoria. In particolare, il Comune ha evidenziato, in primo luogo, l’insussistenza dei presupposti della domanda ex art. 112, comma 3, c.p.a., come delineati dall’Adunanza plenaria n. 2/2017 di questo Consiglio. Richiamati alcuni segmenti di tale decisione e della sentenza n. 9579/2023 della Sezione (ff. 5-7 della memoria di replica), il Comune ha sottolineato, in primo luogo, come l’azione risarcitoria proposta fosse inammissibile in quanto non connessa all’impossibilità totale o parziale di esecuzione del giudicato, trattandosi di azione risarcitoria connessa ai danni prodotti per effetto della successiva attività discrezionale posta in essere dalla stazione appaltante e, segnatamente, dal provvedimento del 7 febbraio 2024 con la quale era stata esclusa la ricorrenza dei presupposti per il subentro dell’a.t.i.

14.2.1. L’eccezione del Comune si fonda, in sostanza, sulla ritenuta impossibilità di applicare il rimedio di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., nei casi in cui la spettanza del bene della vita non sia affermata direttamente dalla sentenza ma derivi dalla successiva attività amministrativa.

14.2.2. Osserva il Collegio come l’Adunanza plenaria di questo Consiglio abbia chiarito che l’azione di risarcimento del danno ex art. 112, comma 3, c.p.a. risulta esperibile nei casi di impossibilità o mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o di sua violazione o elusione. Secondo la Plenaria, il danno connesso all’impossibilità di ottenere l’esecuzione in forma specifica del giudicato si configura – nell’ambito degli appalti pubblici – in ragione dell’eventuale ultimazione dei lavori, che vanifica l’aspettativa di ottenere il contratto controverso e rende oggettivamente impossibile l’esecuzione in forma specifica del giudicato.

14.2.3. Nella prospettiva del Comune, il danno ex art. 112, comma 3, c.p.a. sarebbe risarcibile solo ove il bene della vita sia stato “integralmente” attribuito dal giudicato ma, per un evento successivo, l’esecuzione di tale giudicato sia divenuta impossibile. Simile interpretazione non è, tuttavia, condivisibile ove si consideri, in primo luogo, che la stessa Adunanza plenaria n. 2/2017 non ha, invero, inteso circoscrivere il rimedio ai soli casi in cui il giudicato avesse accertato la fondatezza della pretesa sino al punto da attribuire sicuramente il bene della vita “finale”. Al contrario, nel segmento della motivazione evocato dal Comune l’Adunanza plenaria ha affermato quanto segue: “dal giudicato amministrativo, infatti, almeno quando esso […] riconosce la fondatezza della pretesa sostanziale, esaurendo ogni margine di discrezionalità nel successivo esercizio del potere, nasce ex lege, in capo all’amministrazione (ed in certi casi anche in capo alle parti private soccombenti) un’obbligazione, il cui oggetto (la prestazione) consiste proprio nel concedere “in natura” (cioè in forma specifica) il bene della vita di cui è stata riconosciuta la spettanza” (punto 15). L’utilizzo dell’avverbio “almeno” indica, chiaramente, come la pronuncia dell’Adunanza plenaria non abbia limitato il rimedio ai soli casi in cui la sentenza abbia affermato la spettanza del bene della vita. Del resto, una simile tesi interpretativa restringerebbe notevolmente il perimetro applicativo della disposizione, inserendone come presupposto implicito l’affermazione del giudizio di spettanza che, tuttavia, non è stato indicato dal legislatore, il quale ha fatto un generale riferimento ai casi di impossibilità di esecuzione del giudicato, prescindendo, quindi, da tale aspetto. Del resto, le ipotesi nelle quali il Giudice amministrativo afferma la spettanza del bene della vita risultano nettamente inferiori ai casi in cui occorre, comunque, un’ulteriore attività amministrativa, pur nei limiti dettati dalla pronuncia; con la conseguenza che una tesi interpretativa come quella esposta renderebbe residuale e di limitata portata applicativa un rimedio che il legislatore ha, invece, voluto come generale. Inoltre, non può omettersi di considerare come la portata precettiva del giudicato amministrativa varia a seconda della tipologia e dei motivi accolti; pertanto, è in considerazione della specifica portata precettiva della pronuncia che deve svolgersi la verifica dei presupposti di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., accertando se – pur nei casi in cui residui un’attività amministrativa in capo all’Amministrazione – si verifichino eventi riferibili alla stessa che rendano, comunque, impossibile l’attribuzione del bene della vita che la stessa avrebbe dovuto conferire in esecuzione della sentenza.

14.2.4. Il riferimento all’impossibilità di esecuzione del giudicato deve, quindi, ritenersi esteso anche ai casi in cui dalla sentenza del Giudice amministrativo discenda, comunque, un obbligo conformativo che conduce – in ragione della (e combinandosi alla) successiva attività amministrativa – al riconoscimento del bene della vita, la cui concreta attribuzione sia, tuttavia, divenuta, successivamente impossibile. In sostanza, il rimedio può ritenersi operante sia nel caso in cui il bene della vita sia già attribuito dalla sentenza con certezza e si verifichi una impossibilità di esecuzione in forma specifica che elida, quindi, il godimento di un bene già entrato nel patrimonio del soggetto proprio in forza della sentenza, sia nei casi in cui la sentenza riconosciuta una possibilità apprezzabile, per non dire un’ipotesi dove l’attribuzione del bene della vita è più probabile che non, imponga – come nel caso di specie – una successiva attività amministrativa finalizzata alla verifica finale dei presupposti per dare integrale ingresso al bene della vita nel patrimonio del privato, ma si verifichino, successivamente, eventi che rendano impossibile la piena soddisfazione in forma specifica del privato.

14.2.5. Declinando tali principi al caso di specie, si osserva come la vicenda all’attenzione del Collegio non possa ritenersi estranea all’ambito applicativo del rimedio. Infatti, la sentenza della Sezione – pur non avendo accertato come sicura la spettanza del bene della vita, poiché impossibilità a farlo in quel momento – accogliendo la domanda di annullamento, ha imposto sul piano conformativo una specifica attività in capo all’Amministrazione, da concludersi entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza. In particolare, la sentenza della Sezione ha ritenuto di non procedere a dichiarare il contratto inefficace in ragione della necessità per l’Amministrazione di rinnovare le proprie valutazioni, da effettuarsi sulla base della stessa sentenza che – sostituendosi alla pronuncia di primo grado – determinava, infatti, il nuovo parametro della successiva attività amministrativa da compiere, delineando, altresì, oggetto e perimetro di tale attività. La Sezione ha, quindi, ordinato all’Amministrazione di provvedere all’esecuzione entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione della pronuncia, chiarendo che: i) non avrebbero più potuto essere messe in discussioni i punteggi di – OMISSIS -; ii) si sarebbe dovuto procedere ad una nuova valutazione dell’offerta di – OMISSIS – alla luce dei motivi accolti dal T.R.G.A. e confermati dalla Sezione; iii) questa nuova valutazione avrebbe, quindi, potuto comportare la conferma dell’aggiudicazione del contratto a – OMISSIS – laddove i punteggi complessivi della stessa fossero risultati ancora maggiori del punteggio conseguito da – OMISSIS -; iv) la nuova valutazione avrebbe, invece, potuto portare all’attribuzione di un punteggio inferiore rispetto a quello di – OMISSIS – e, in tal caso, sarebbe spettato all’Amministrazione “verificare i presupposti per il subentro di – OMISSIS – nei lavori, fatte salve diverse determinazioni consentite dalla legge”. In ultimo, la Sezione ha chiarito che il mancato esaurimento dell’attività amministrativa da porre in essere in attuazione della sentenza la esonerava dal pronunciarsi sulla domanda di risarcimento del danno per equivalente formulata in via ulteriormente subordinata dalla parte; infatti, in ragione delle considerazioni sopra riprodotte, risultava, ancora, possibile ottenere per – OMISSIS – il bene della vita al quale anelava e, cioè, l’affidamento dei lavori, qualora la propria offerta avesse superato il punteggio che la stazione appaltante doveva conferire a – OMISSIS – in esecuzione della presente pronuncia e la stessa Amministrazione avesse disposto l’aggiudicazione in favore di – OMISSIS -. Secondo la Sezione, “l’interesse legittimo fatto valere dalla parte [aveva], quindi, ancora possibilità di trovare integrale soddisfazione nella forma specifica dell’affidamento e, per tale ragione, [doveva] assorbirsi la domanda subordinata di risarcimento del danno per equivalente”. In ultimo, la stessa Sezione aveva già evidenziato che ove, in tale ipotesi, fosse accertata, invece, un’impossibilità di esecuzione del giudicato, la parte avrebbe, comunque, avuto la possibilità di richiedere la diversa tutela di cui all’articolo 112, comma 3, c.p.a. (punti 45.4-45.5 della sentenza della Sezione).

14.2.6. In sostanza, la Sezione, con un effetto conformativo esplicito e piuttosto definito, ha fissato il perimetro della successiva attività amministrativa, sul presupposto espresso che la stessa avrebbe potuto portare all’attribuzione del bene della vita anelato da – OMISSIS -. Nel dare esecuzione alla sentenza, la stessa Amministrazione ha riconosciuto come l’aggiudicazione spettasse all’a.t.i. (delibera del 6.12.2023), fissando, in tal modo, un primo rilevante tassello per quella integrale soddisfazione dell’interesse legittimo pretensivo fatto valere nel giudizio. In sostanza, dando esecuzione alla sentenza, il Comune ha riconosciuto a – OMISSIS – la prima componente del bene della vita anelato (l’aggiudicazione della gara), salvo, successivamente, porre in essere una serie di comportamenti che, come si esporrà, hanno reso impossibile l’integrale attribuzione in forma specifica del bene della vita “finale” (il contratto e la sua esecuzione, con tutto ciò che comporta). Dalla disamina del contenuto della sentenza e della successiva azione amministrativa deve, quindi, affermarsi la riconducibilità della fattispecie al rimedio di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., con conseguente infondatezza dell’eccezione articolata dal Comune.

  1. L’Amministrazione comunale ha eccepito, inoltre, che – qualora l’azione fosse ritenuta riconducibile entro l’alveo della previsione di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., sarebbe difettato, comunque, il presupposto per invocare la tutela, costituito dal passaggio in giudicato della sentenza n. 9576/2023. Il Comune ha, infatti, osservato come la sentenza della Sezione fosse stata impugnata per eccesso di potere giurisdizionale con ricorso per Cassazione ex art. 111, comma 8, Costituzione, da parte di – OMISSIS -. Pertanto, la sentenza della Sezione non sarebbe transitata in rem iudicatam, con conseguente improponibilità della domanda.

15.1. L’eccezione non può condividersi per le ragioni di seguito esposte. La previsione di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., nel far riferimento ai danni connessi “all’impossibilità o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato” va letta come riferita alla portata sostanziale della pronuncia e, quindi, all’accertamento di merito in ordine alla situazione giuridica sostanziale oggetto del giudizio e all’impossibilità di una esecuzione in forma specifica degli effetti della pronuncia. La disposizione in esame non contiene, altresì, alcun riferimento alla necessaria stabilità della sentenza ai sensi dell’art. 324 c.p.c., e, invero, neppure all’incontestabilità dell’accertamento contenuto nella pronuncia giurisdizionale. Al contrario, si tratta di disposizione relativa all’esecuzione delle sentenze del Giudice amministrativo e, in particolare, alla tutela offerta sul piano processuale e al sistema di responsabilità delineato dal legislatore per l’ipotesi in cui le statuizioni contenute nelle sentenze amministrative non siano eseguite dall’Amministrazione e si determini una impossibilità di esecuzione in forma specifica delle stesse. L’utilizzo del nomen iuris giudicato non sembra, quindi, potersi intendere come riferito al c.d. giudicato formale, né all’accertamento giurisdizionale divenuto incontestabile anche sotto il profilo della giurisdizione, quanto, piuttosto al vincolo precettivo oggettivo che deriva dalla pronuncia giurisdizionale e che avrebbe condotto o potuto condurre alla realizzazione della tutela “in forma specifica” della situazione soggettiva fatta valere, divenuta, tuttavia, impossibile, con conseguente conversione dell’obbligazione imposta dall’Amministrazione.

15.2. Del resto, sul piano più propriamente dogmatico, l’esecuzione in forma specifica si riferisce alla situazione giuridica soggettiva di obbligo (arg. ex artt. 2930-2933 c.c.), e, quindi, nel caso di specie, all’obbligo che deriva dalla pronuncia giurisdizionale per l’Amministrazione, la quale è, quindi, tenuta ad ottemperare alla sentenza, dando proprio esecuzione allo specifico obbligo che insorge dal titolo giurisdizionale. La parola giudicato va quindi letta come sinonimo piuttosto di vincolo precettivo di merito da cui insorge l’obbligo di esecuzione in forma specifica. Diversamente opinando, inoltre, si determinerebbe una duplice aporia nel sistema. In primo luogo, l’ottemperanza per equivalente (art. 112, comma 3) finirebbe per essere sottoposta a presupposti ulteriori rispetto all’ottemperanza in forma specifica, a cui si riferisce l’art. 112, comma 2, lett. b), c.p.a., che, invero, non avrebbero giustificazione sul piano del sistema delle tutele. Né tale giustificazione potrebbe affermarsi in considerazione del fatto che nell’ipotesi di ottemperanza per equivalente vi è, comunque, un esborso di denaro pubblico e, quindi, si imporrebbe una stabilità processuale del titolo giuridico presupposto in forza del quale se ne afferma la debenza. Infatti, una simile affermazione non terrebbe conto della circostanza che l’esecuzione delle sentenze amministrative di cui all’art. 112, comma 2, lett. b), c.p.a. riguarda anche i casi di cui all’art. 34, comma 1, lett. c), c.p.a., rispetto ai quali il legislatore non ha, quindi, avvertito alcuna esigenza di peculiare e differente tutela. In secondo luogo, deve considerarsi come il giudicato formale sia indicato come presupposto necessario per il diverso rimedio di cui all’art. 112, comma 3, primo periodo, c.p.a., in considerazione del diverso momento di maturazione dell’obbligo al pagamento di somme dovute a titolo di rivalutazione ed interessi. In questa ipotesi, il passaggio in giudicato formale è, quindi, presupposto persino ontologico dello specifico rimedio; ma tale ratio non può ravvisarsi nella diversa ipotesi del secondo periodo, ove, tra l’altro, il legislatore non ha ritenuto – in modo di significativo – di ripetere la medesima formula. Un’interpretazione come quella proposta dal Comune risulta, quindi, non conforme: i) al dato propriamente dogmatico che ancora la tutela all’obbligo e non al titolo da cui deriva, con la conseguenza che è la sussistenza di un vincolo precettivo fondativo di un obbligo che occorre propriamente accertate per verificare i presupposti della disposizione; ii) al dato sistematico legato al sistema di esecuzione del Giudice amministrativo, che esclude la possibilità di differenziare i presupposti dell’ottemperanza per equivalente dall’ottemperanza in forma specifica; iii) al dato propriamente letterale della disposizione di cui all’art. 112, comma 3, secondo periodo, ove difetta un presupposto che è, invece, espressamente previsto – in modo del tutto logico – per il rimedio del primo periodo; iv) alla natura rimediale dell’istituto che offre – come spiegato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio – specifico ristoro alla parte nei casi di impossibilità di ottenere il bene della vita con l’esecuzione in forma specifica della pronuncia giudiziaria, anche in deroga al sistema di cui agli artt. 1218 e 1256 c.c.

15.3. Del resto, non può omettersi di osservare come una interpretazione come quella proposta dal Comune – che imponesse come nel caso di specie di attendere l’eventuale giudizio di Cassazione (che in questo modo verrebbe pressoché sempre promosso con intuibili finalità dilatorie) – finirebbe per allontanare nel tempo la tutela, in un settore del contenzioso nel quale – come tutta la vicenda sta a dimostrare – il tempo non è un elemento secondario né una variabile indipendente.

15.4. In ultimo, la prospettazione del Comune non risulta in linea – come in parte già anticipato – con la specifica morfologia dell’istituto, che non regola alcun aspetto connesso alla stabilità formale della decisione giudiziaria ma concerne, al contrario, gli effetti che derivano dalla statuizione e, in particolare, l’obbligo dell’Amministrazione di porre in essere le prestazioni conseguenti alla sentenza per potere concedere “in natura” il bene della vita (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria n. 2/2017, punto 15). Prestazione che, ove divenuta impossibile, viene convertita – anche in deroga alle previsioni di cui agli art. 1218 c.c. e 1256 c.c. – in un obbligo risarcitorio avente ad oggetto l’equivalente monetario del bene della vita che avrebbe potuto fare materiale ingresso nel patrimonio giuridico del privato. Trattandosi, quindi, di una regola che ha chiara portata anche sostanziale, la nozione di giudicato a cui la stessa fa riferimento deve, quindi, ritenersi riferita al vincolo precettivo produttivo di effetti giuridici che – in ragione dell’accoglimento della domanda – soddisfano il bisogno di tutela giurisdizionale fatto valere in giudizio (c.d. Rechtsschutzbedürfnis), attuando il c.d. Ordnungsziel di diritto sostanziale perseguito dalla parte ricorrente. La tesi del Comune termina, invece, per ipotizzare una nozione di giudicato di carattere meramente processuale, in contrasto, quindi, con la stessa ricostruzione dell’istituto offerta dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio, che, al contrario, ha rimarcato proprio gli aspetti sostanziali della figura, segnalando che la portata processuale della norma attiene solo all’ammissibilità dell’azione risarcitoria in sede di ottemperanza, anche in unico grado.

15.5. In ragione di quanto esposto, non può, quindi, accogliersi l’eccezione del Comune, non potendosi ritenere insussistenti i presupposti previsti dall’art. 112, comma 3, c.p.a. in ragione della proposizione del ricorso per Cassazione per eccesso di potere giurisdizionale articolato da – OMISSIS -, non ponendo la regola in questione il passaggio in giudicato formale della sentenza del Giudice amministrativo quale presupposto per la sua applicazione. Fermo restando, ovviamente, il diritto alla ripetizione nel caso di eventuale accoglimento del ricorso per Cassazione di – OMISSIS -, che determinerebbe la caducazione della sentenza da cui discende quel vincolo precettivo su cui si fonda, come spiegato, la regola in esame.

  1. Il Comune ha, inoltre, dedotto l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a., evidenziando che: i) la sentenza n. 9576/2023 della Sezione non aveva affermato la spettanza del bene della vita e, in particolare, il diritto all’aggiudicazione di – OMISSIS – e il subentro nel contratto; ii) difettava l’antigiuridicità della condotta serbata dall’Amministrazione dopo la sentenza della Sezione, considerato che il Comune Comune aveva, in primo luogo, disposto l’aggiudicazione in favore di – OMISSIS – – seguito della nuova valutazione dell’offerta di – OMISSIS – ordinata dalla Sezione – e aveva, di seguito, negato il subentro di – OMISSIS -, all’esito di una valutazione in ordine ai rischi di un possibile subentro e “nell’esercizio della discrezionalità riconosciuta a quest’ultima nel tratto lasciato libero dal dictum giurisdizionale”; iii) dalla sentenza della Sezione derivava un mero “risultato procedimentale” e non sostanziale; iv) pertanto, “non sarebbe [stato] possibile riconoscere l’equivalente in denaro del bene della vita che la parte ricorrente avrebbe avuto titolo di ottenere in natura in base al giudicato atteso il mancato riconoscimento della fondatezza sostanziale del diritto all’aggiudicazione e del diritto al subentro” (ff. 12-14 della memoria di replica del Comune). Inoltre, il Comune ha escluso la sussistenza della “responsabilità oggettiva dell’amministrazione, in assenza del nesso di causalità tra la condotta contestata all’amministrazione di asserita impossibilità di esecuzione del giudicato e i danni prodotti”. A sostegno di questa tesi il Comune ha evidenziato che: i) assumeva rilievo il D.P.C.M. dell’8.9.2023, che aveva inserito l’intervento nel piano complessivo delle opere olimpiche, con conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 125 c.p.a.; ii) le valutazioni in ordine al subentro effettuate dal r.u.p. e tutti i provvedimenti presupposti richiamati costituivano ulteriori elementi idonei ad incidere sulla sussistenza del nesso causale.

16.1. Le deduzioni del Comune non possono essere condivise per le ragioni di seguito esposte.

16.2. In relazione al tema legato alla declaratoria della spettanza del bene della vita si rinvia alle considerazioni già esposte, avendo già il Collegio illustrato le ragioni di infondatezza di questa argomentazione.

16.3. In ordine alla carenza di antigiuridicità della condotta dell’Amministrazione, deve, invece, evidenziarsi quanto segue.

16.3.1. L’Adunanza plenaria di questo Consiglio ha chiarito che la previsione di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a. ha introdotto un rimedio alla impossibilità di esecuzione in forma specifica della sentenza, in un’ottica eminentemente rimediale, quale quella che si è andata delineando a partire dalle sentenze n. 204/2004 e 191/2006 della Corte Costituzionale. Inoltre, nel caso di danni connessi all’impossibilità di esecuzione in forma specifica del giudicato il rimedio presenta i caratteri della responsabilità oggettiva, non essendo ammessa alcuna prova liberatoria fondata sulla carenza dell’elemento soggettivo e potendosi escludere la responsabilità solo in caso di insussistenza originaria o sopravvenuta del nesso di causalità.

16.3.2. L’Adunanza plenaria ha, inoltre, chiarito come l’obbligazione risarcitoria ex lege in esame richieda la ricorrenza dei presupposti costituiti dalla riconducibilità dell’impossibilità di ottenere in forma specifica l’esecuzione del giudicato alla condotta del soggetto dal quale si pretende il risarcimento e dall’insussistenza di una causa di giustificazione della condotta, “la cui presenza precluderebbe l’insorgenza della responsabilità e, dunque, la nascita dell’obbligazione risarcitoria ex lege”. In ordine al primo requisito, l’Adunanza plenaria ha affermato come debba darsi applicazione ai principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p., fermo restando il regime probatorio operante nel processo amministrativo e costituito dalla regola della preponderanza dell’evidenza. Inoltre, trattandosi di responsabilità di natura contrattuale opera il principio secondo il quale spetta al creditore di allegare e provare l’esistenza del titolo, mentre è onere della parte debitrice provare il caso fortuito (inteso come specifico fattore capace di determinare autonomamente il danno), comprensivo del fatto del terzo (che abbia avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno), rimanendo a suo carico il fatto ignoto in quanto inidoneo a eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell’accadimento.

16.4. Declinando questi principi al caso di specie, deve osservarsi, in primo luogo, come l’impossibilità di ottenere il bene della vita in forma specifica sia, chiaramente, dipeso dalla condotta dell’Amministrazione, sia antecedente che successiva alla sentenza di questo Consiglio. Sul punto, assumono peculiare rilievo, in primo luogo, la decisione dell’Amministrazione di disporre l’avvio dei lavori in via d’urgenza in data 18.7.2023, nonostante vi fosse ancora un cospicuo lasso temporale prima delle olimpiadi invernali del 2026 e anche prima del “test” costituito dalla Coppa del Mondo del gennaio del 2025. Inoltre, l’Amministrazione ha provveduto a stipulare il contratto in data 25.9.2023, poco più di un mese prima dall’udienza pubblica del 26.10.2023 dinanzi a questo Consiglio. Vi è stata, quindi, da parte del Comune una significativa accelerazione sia dell’attività amministrativa che dell’attività esecutiva, e, come nel caso deciso dall’Adunanza plenaria n. 2/2017, l’attività successiva alla pubblicazione della sentenza di primo grado è risultata “connotata dall’assenza di qualsiasi forma di cautela rispetto al possibile esito del giudizio di appello” (punto 36), nonostante la particolare celerità del rito appalti, confermata dalla pubblicazione della sentenza di questo Consiglio appena dodici giorni dopo la celebrazione dell’udienza pubblica.

16.4.1. La carenza di cautela da parte dell’Amministrazione risulta aggravata dalla circostanza che queste decisioni sono state assunte all’esito della sentenza di primo grado del T.R.G.A., la quale aveva accolto plurimi motivi di ricorso di – OMISSIS – in relazione all’offerta di – OMISSIS -, mentre aveva accolto un’unica censura di quest’ultima (ritenuta, poi, infondata dalla Sezione) in relazione all’offerta dell’a.t.i. Pertanto, la sentenza di primo grado aveva già evidenziato la sussistenza di criticità, ben maggiori si direbbe dal lato di – OMISSIS – rispetto a quello di – OMISSIS -, che avrebbero consigliato particolare prudenza nelle decisioni e, prima ancora, acribia nelle nuove valutazioni.

16.5. Dopo la pubblicazione della sentenza della Sezione l’Amministrazione ha provveduto ad ottemperarvi solo parzialmente, disponendo l’aggiudicazione in favore di – OMISSIS – in data 7.12.2023, ma demandando al r.u.p. le verifiche per il possibile subentro. Nell’effettuare tali verifiche il r.u.p. ha avviato, solo in data 15.1.2024, un procedimento di verifica dell’offerta di – OMISSIS – che ha, tuttavia, archiviato in data 15.2.2024, determinando, quindi, un rallentamento nell’attività amministrativa di cui l’Amministrazione non ha fornito in giudizio alcuna spiegazione che giustificasse questa dilazione nelle verifiche che la sentenza aveva imposto di concludere entro trenta giorni dalla comunicazione (e, quindi, entro il 7.12.2024) e che sono state effettuate mantenendo il precedente contratto e non sospendendo i lavori, come invece richiesto nelle diffide di – OMISSIS -.

16.6. In sede processuale l’Amministrazione ha, poi, dedotto che il subentro sarebbe stato, comunque, possibile ma che, in ragione di proprie valutazioni discrezionali, lo stesso era stato negato con il provvedimento del 7.2.2024, il quale aveva richiamato il D.P.C.M. dell’8.9.2023, con cui l’intervento era stato inserito nel piano delle opere per le Olimpiadi invernali del 2026. Occorre, invero, evidenziare come le possibilità di subentro sia stato state rese progressivamente più esigue proprio dalla condotta della stessa Amministrazione, che, come sopra esposto, non ha concluso tempestivamente i procedimenti di verifica dello stesso consentendo, altresì, la prosecuzione dei lavori. Anche in questo caso è mancata la necessaria cautela e prudenza, ben potendo l’Amministrazione sospendere i lavori per il tempo necessario ad effettuare tali verifiche, che, come già spiegato, si sarebbero dovuto effettuare entro 30 giorni, senza, quindi, che potesse ipotizzarsi uno stallo rilevante nelle attività di cantiere. E ciò, a fortiori, in considerazione della relazione tecnica fornita dal legittimo aggiudicatario che aveva anche prestato una fideiussione a garanzia della chiusura dei lavori entro i termini previsti.

16.7. L’Amministrazione ha, quindi, adottato il provvedimento del 7.2.2024, che, come esposto, aveva fatto, in primo luogo, riferimento all’inserimento dell’intervento nel piano delle opere olimpiche e alla conseguente applicazione della previsione di cui all’art. 125 c.p.a. Tale circostanza non può, tuttavia, ritenersi causa sopravvenuta, esclusiva ed estranea alla condotta dell’Amministrazione, e, quindi, tale da elidere il nesso di causalità, come pare suggerito dalla difesa comunale. Deve, infatti, considerarsi come la previsione di cui all’art. 125, comma 3, c.p.a. si limiti a disciplinare i poteri del Giudice amministrativo, con la preclusione, nel caso di intervenuta stipulazione del contratto relativo all’esecuzione di infrastrutture di carattere strategico (ma, nel tempo, la previsione, per i ripetuti richiami esterni, ha finito per applicarsi a molte altre fattispecie), di ogni declaratoria giudiziale d’inefficacia e di ogni eventuale subentro nel contratto, e con la limitazione delle relative statuizioni alla sola condanna al risarcimento del danno in forma equivalente. Si tratta, quindi, di una regola ad esclusiva portata processuale, volta a limitare i poteri del Giudice ma non anche i poteri dell’Amministrazione, imponendo alla stessa scelte vincolate e precludendo l’esercizio dei poteri stabiliti dall’ordinamento (cfr., Consiglio di Stato, Sez. IV, 5 maggio 2016, n. 1798). In sostanza, da questa disposizione non poteva ricavarsi alcun vincolo per l’Amministrazione, trattandosi di regola relativa alla sola tipologia di tutela giurisdizionale e non anche ai poteri dell’Amministrazione, che, quindi, non può evocare la disposizione quale causa giustificatrice della propria condotta; in altri termini, l’inserimento dell’intervento nel Piano delle opere olimpiche non può ritenersi situazione che obbligava la stazione appaltante ad escludere il subentro di – OMISSIS – nel contratto, e, quindi, non può configurare una causa sopravvenuta idonea ad escludere il nesso di causalità tra la condotta dell’Amministrazione e l’evento di danno.

16.7.1. Del resto, non può omettersi di considerare come l’inserimento dell’opera nel piano era avvenuta in una fase avanzata del giudizio di cognizione e tale circostanza era stata anche stigmatizzata nel decreto cautelare monocratico n. 433/2024, nel quale era stato sollecitato il contraddittorio delle parti in ordine alla possibilità di “ascrivere una determinata opera tra quelle strategiche quando il giudizio è ormai in corso, incidendo a processo iniziato (e, anzi, in stato avanzato) sulle tutele in concreto accordabili dal giudice, nell’alternativa tra quella in forma specifica e quella per equivalente”. Pertanto, l’Amministrazione era stata resa edotta delle problematiche che tale circostanza poneva sul piano processuale – ai fini del rispetto della stessa parità delle parti (art. 1, comma 1, c.p.a.) – e tale consapevolezza avrebbe ulteriormente imposto particolare attenzione prima di procedere ad un utilizzo – comunque indebito – della regola, nonché una possibile rivisitazione della decisione di negare il subentro, che – tra l’altro – è stata assunta senza neppure attendere l’esito dell’istanza cautelare monocratica contenuta nel ricorso depositato in pari data (preannunciato nei contenuti con le diffide del 10.1.2024 e del 29.1.2024) e decisa con decreto pubblicato in data 8.2.2024.

16.7.2. In ultimo, non può omettersi di evidenziare come questa cautela era particolarmente necessaria in considerazione dei rischi di esporsi al risarcimento di danni di non irrilevante entità, dei quali l’Amministrazione non poteva non ritenersi consapevole, considerato, ex aliis, che tale rischio era stato configurato: i) nell’ordinanza cautelare n. 3369/2023 della Sezione; ii) nella stessa sentenza n. 9579/2023, che aveva chiarito come fosse ancora possibile dare integrale soddisfazione all’interesse legittimo della parte, e che, solo in caso di successiva impossibilità di esecuzione del giudicato, sarebbe stato possibile richiedere la diversa tutela di cui all’articolo 112, comma 3, c.p.a. (punto 45.5.). Pertanto, era ragionevole attendersi una particolare attenzione e cautela, tenuto conto che l’impossibilità di ottenere il bene della vita per la parte privata si sarebbe potuta tradurre in maggiori costi per la collettività, nonché nel mancato perseguimento del pubblico interesse che non coincide solo nella celere esecuzione di un’opera pubblica ma anche nella qualità della stessa, assicurata dai meccanismi della gara pubblica attraverso la quale si seleziona il miglior offerente, come confermato anche gli studi più recenti sulla portata semantica del principio del risultato non disgiunto dal principio di concorrenza, entrambi in funzione di un risultato che sia “il miglior risultato possibile” del quale si fa espressa menzione all’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 36/2023. Nel caso di specie, la miglior offerta è, in ultimo, risultata quella dell’a.t.i., il cui progetto non è stato, tuttavia, realizzato in quanto è divenuta impossibile la tutela in forma specifica della propria situazione soggettiva, e tale situazione incide, altresì, sulla collettività, sia in quanto deve provvedersi al risarcimento del danno con ulteriore esborso di denaro pubblico, sia in quanto si vanifica l’interesse a vedere realizzata l’opera ritenuta migliore all’esito delle valutazioni di gara.

16.8. Nella decisione di escludere il subentro l’Amministrazione ha, inoltre, fatto riferimento ai rischi di possibili ritardi per il completamento dell’opera. Sul punto si impongono, tuttavia, una serie di considerazioni, decisive nella prospettiva in esame, incentrata sul verificarsi di una situazione di impossibilità di conseguimento in forma specifica del bene della vita anelato dalla parte privata. Deve, infatti, considerarsi come simili rischi siano stati ingenerati dalla stessa Amministrazione con il proprio comportamento complessivo e, quindi, non possono costituire “ulteriori elementi idonei ad incidere sulla sussistenza del nesso causale” (f. 15 della memoria di replica del Comune). Infatti, queste situazioni sono la diretta conseguenza, da un lato, dell’accelerazione impressa dal Comune all’attività amministrativa successiva alla sentenza di primo grado (v., supra, punti 16.3-16.3.1) – e alla stessa attività esecutiva, essendo stata disposta la consegna dei lavori d’urgenza e non essendo stato neppure adottato un provvedimento di sospensione dei lavori dopo la sentenza della Sezione, che aveva imposto nuove valutazioni da effettuarsi in termini brevi; dall’altro lato, lo stesso Comune ha, però, tergiversato nell’effettuare tali valutazioni, concludendo nel termine di trenta giorni fissato dalla sentenza la sola verifica relativa all’aggiudicazione e demandando ulteriori verifiche al r.u.p., il quale, tuttavia, le ha terminate solo in data 7.2.2024, e, quindi, solo dopo tre mesi dalla pubblicazione della sentenza n. 9579/2023, che, come evidenziato, aveva ordinato di provvedere all’esecuzione (chiaramente integrale) della pronuncia entro il termine di trenta giorni. In ragione di tali condotte si sono, quindi, determinati o, comunque, radicalmente accresciuti quei rischi per il tempestivo completamento dell’opera che si sarebbero, ragionevolmente, evitati, ove si fosse adottato un comportamento maggiormente prudente e accorto. Inoltre, l’Amministrazione non ha neppure preso in considerazione la relazione tecnica della parte e la garanzia appositamente prestata dalla stessa sull’assunto della capacità di concludere i lavori entro il termine del 15.10.2024. Pertanto, in questo quadro non può ritenersi che questi elementi possano ritenersi idonei ad elidere il nesso causale, ma, al contrario, confermano la chiara imputabilità all’Amministrazione della sopravvenuta impossibilità di ottenere il bene della vita in forma specifica. In ultimo, si constata come alcuna incidenza abbia avuto, sul punto, l’ordinanza cautelare n. 850/2024 della Sezione, che è stata pubblicata solo in data 8.3.2024, e che, inoltre, ha esaminato la sola tematica relativa alla violazione o elusione del giudicato, lasciando, quindi, impregiudicata per l’Amministrazione la possibilità di adottare provvedimenti che evitassero di rendere impossibile il conseguimento del bene della vita, con conseguente insorgenza dell’obbligazione risarcitoria.

  1. In ragione delle circostanze sin qui esposte, deve, quindi, affermarsi la sussistenza del nesso causale e dell’antigiuridicità della condotta del Comune di Anterselva, con conseguente integrazione dei presupposti di cui all’art. 112, comma 3, c.p.a.
  2. Affermata la sussistenza dell’an debeatur, il Collegio deve, quindi, accertarne il quantum.

18.1. Sul punto, operano i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di quantificazione del danno da mancato aggiudicazione/mancato subentro nel contratto (cfr.: Consiglio di Stato, Sez. VI, 14 novembre 2023, n. 9755, punto 5.1, e giurisprudenza ivi richiamata), secondo la quale: i) ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve offrire la prova dell’an e del quantum del danno che assume di aver sofferto; ii) nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l’interesse c.d. positivo, che ricomprende sia il mancato profitto (che l’impresa avrebbe ricavato dall’esecuzione dell’appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall’impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell’immagine professionale per non poter indicare in esso l’avvenuta esecuzione dell’appalto); iii) spetta all’impresa danneggiata offrire la prova dell’utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto, poiché nell’azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell’azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); iv) la valutazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità – o di estrema difficoltà – di una precisa prova sull’ammontare del danno; v) le parti non possono sottrarsi all’onere probatorio e rimettere l’accertamento dei propri diritti all’attività del consulente tecnico d’ufficio neppure nel caso di consulenza cosiddetta “percipiente”, che può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova, demandandosi al consulente l’accertamento di determinate situazioni di fatto, giacché, anche in siffatta ipotesi, è necessario che le parti stesse deducano quantomeno i fatti e gli elementi specifici posti a fondamento di tali diritti; vi) la prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni; vii) per la configurazione di una presunzione giuridicamente rilevante non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla base della regola della «inferenza necessaria»), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola della «inferenza probabilistica»), sicché il Giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici; viii) va esclusa la pretesa di ottenere l’equivalente del 10% dell’importo a base d’asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull’id quod plerumque accidit secondo il quale, allegato l’importo a base d’asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo); ix) anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulla somme liquidata a titolo di lucro cessante; x) il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell’aggiudicazione impugnata e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa; in difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l’impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che avrebbe potuto riutilizzare, usando l’ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all’aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum; xi) tale ripartizione dell’onere probatorio in materia di aliunde perceptum vale quanto meno nel settore degli appalti pubblici, ove deve affermarsi il meccanismo della presunzione semplice e atteso che, da un lato, non risulta ragionevolmente predicabile la condotta dell’impresa che immobilizza le proprie risorse in attesa dell’aggiudicazione di una commessa, o nell’attesa dell’esito del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere l’aggiudicazione, considerato che possono essere molteplici le evenienze per cui potrebbe risultare non aggiudicataria della commessa stessa, e, dall’altro, opera la regola di cui all’art. 1227, comma 2, c.c.

18.2. Declinando tali principi al caso di specie, il Collegio osserva, in primo luogo, come l’offerta economica dell’a.t.i. fosse stata pari a euro 17.061.088,38, di poco inferiore al prezzo a base della gara. L’a.t.i. ha stimato l’utile che avrebbe percepito in euro 3.018.448,20, equivalente al 21,4949% del costo delle prestazioni, pari a euro 14.042.640,18. In relazione agli elementi probatori forniti dall’a.t.i. a sostegno della domanda, deve, tuttavia, operarsi una distinzione tra alcune voci di utili che risultano supportate da puntuali e precise evidenze e le rimanenti voci.

18.3. In particolare, a sostegno della quantificazione, l’a.t.i. ha, in primo luogo, esaminato alcune posizioni rispetto alle quali il margine di guadagno conseguito sarebbe stato particolarmente elevato, tenuto conto dei diversi valori di mercato dei materiali rispetto a quelli indicati nella determinazione dei prezzi degli stessi da utilizzare nella commessa, sulla base dei quali è stata calcolata la base d’asta. Le percentuali di guadagno indicate da – OMISSIS – si sono fondate su un confronto tra i prezzi unitari indicati nel documento “stima lavori” e i costi che l’a.t.i. avrebbe, in ipotesi, sostenuto ove avesse sottoscritto il contratto di appalto. In relazioni a tali voci, la tabella riepilogativa versata in atti ha indicato come non fossero stati effettuati ribassi, e tale circostanza non è stata, comunque, specificamente contestata dall’Amministrazione; pertanto il differenziale tra costi e ricavi risulta, comunque, computato in parte qua su una base corretta, diversamente da quanto dedotto dal Comune.

18.3.1. Procedendo ad esaminare tali voci, si osserva che, per la posizione n. 02.04.72.02.c l’a.t.i. ha evidenziato come il prezzo unitario indicato (e non sottoposto a ribasso) fosse stato pari a 30,76 €/m², mentre il prezzo di mercato nel 2023 sarebbe stato nettamente inferiore, come comprovato dall’offerta di una Società (successiva ad una richiesta di preventivo da parte di Gasser), che, per le casserature relative alle mura, aveva indicato il prezzo in euro 9,10€/m², mentre per le casserature dei solai lo aveva indicato in 15,65 €/m². Il Comune ha contestato tale circostanza, evidenziando come la Società fornitrice non sarebbe stata in possesso di attestazione SOA e come i prezzi sarebbero stati “oltremodo bassi e non allineati con gli effettivi prezzi di mercato”. Deve, tuttavia, evidenziarsi come il possesso dell’attestazione SOA sia irrilevante, trattandosi di una mera fornitura di materiale senza posa in opera, mentre la seconda deduzione risulta generica e non suffragata da alcuna evidenza contraria. In relazione a questa posizione può ritenersi, quindi, sufficientemente supportata da adeguate evidenze la stima di utile non percepito, pari a euro 333.546,67 euro.

18.3.2. Omologhe considerazioni valgono anche con riferimento alla posizione n. 02.04.73.01.b, atteso che, anche in relazione a tale posizione, la tabella non ha indicato ribassi rispetto alla base d’asta e i prezzi unitari utilizzati divergono notevolmente dai costi che la Società avrebbe sostenuto. Pertanto, anche in relazione a tale voce, può ritenersi sufficientemente supportata da adeguate evidenze la stima di utile pari a euro 281.003,94.

18.3.3. In relazione alla posizione n. 02.05.01.01.A, una stima congrua dell’utile può effettuarsi tenendo conto del differenziale tra i prezzi unitari indicati dalla stazione appaltante e quelle utilizzati in altro appalto bandito nell’ottobre del 2023, che testimonia il decremento del costo dell’acciaio e, per converso, il margine di utile che l’a.t.i. avrebbe conseguito per questa posizione, tenuto conto del complessivo acciaio che avrebbe dovuto acquistare e impiegare. Pertanto, in relazione a tale voce, deve ritenersi congrua e adeguatamente provata la stima di utile non percepito, quantificato in euro 725.168,41.

18.3.4. In relazione alla posizione n. 02.05.01.02, è, altresì, supportata da evidenze la stima di utile operata dall’a.t.i., che ha, comunque, dimostrato i margini di utile che avrebbe percepito tenendo conto dei costi sostenuti per l’acquisto di alcuni distanziatori di rete come quelli necessari per l’esecuzione dell’opera. Considerando, per opportuno scrupolo, il costo del distanziatore di rete con il prezzo più elevato, il danno risulta congruamente stimato in euro 93.160,99.

18.3.5. In ultimo, per la posizione n. 02.05.02.01.a, possono mutuarsi le considerazioni esposte in relazione alla posizione n. 02.05.01.01.A, tenendo conto, quindi, del prezzo unitario indicato in altra gara del 2023, che testimonia il minor costo del materiale in questione, e, quindi, l’utile che la parte avrebbe conseguito in parte qua. Pertanto, appare congrua la stima di danno indicata, pari a euro 108.850,86.

18.4. In ordine alle rimanenti categorie, deve, invece, evidenziarsi come non sia possibile effettuare una stima precisa dei danni, dovendosi ricorrere ad una valutazione equitativa che tenga conto del valore dell’offerta detratte le voci di cui alla categoria SOA OG1 (rispetto alle quali l’a.t.i. ha effettuato un preciso computo – in precedenza esaminato – delle posizioni più significative). Dalla risultante di tale detrazione, può determinarsi il lucro cessante che l’a.t.i. avrebbe conseguito tenendo conto delle circostanze specifiche del caso di specie e, in particolare, delle percentuali indicate dalla stessa stazione appaltante (variabili dal 10 al 15 per cento), nonché dell’utile indicato dall’a.t.i. per i lavori suscettibili di subappalto (14,94 per cento); accanto a questi dati, occorre, altresì, considerare le ulteriori voci rispetto alle quali sarebbe, comunque, maturato un utile, ove non vi sono, tuttavia, indicazioni che rendano possibile una stima precisa del danno, nonché la fisiologica imprevedibilità dei costi delle lavorazioni, come dedotto, correttamente, dal Comune. In ragione del complesso dei fattori indicati, può stimarsi – in via necessariamente equitativa – un utile complessivo residuale pari al dieci per cento degli importi indicati nell’offerta dell’a.t.i., detratto il valore delle lavorazioni afferenti alla categoria OG1 (per le quali si stimano, comunque, congrui e satisfattivi gli importi in precedenza quantificati). La risultante di tale operazione – pari a euro 1.095.003,91 – deve aggiungersi alla quantificazione effettuata per le voci di cui alla categoria SOA OG1; di conseguenza, l’importo complessivo che può riconoscersi alla Società deve ritenersi pari a euro 2.636.734,58, considerata l’impossibilità di una stima analitica dell’utile, se non per talune delle voci indicate, e determinando una percentuale di utile nella misura – ritenuta congrua – di circa il 14 per cento complessivo del valore posto a base d’asta.

18.5. Dalla somma complessivamente determinata deve essere, comunque, decurtato il c.d. aliunde perceptum vel percipiendi, non essendovi prova certa da parte dell’a.t.i. di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione della commessa, anche considerato che: i) il rapporto tra le percentuali di lavori eseguiti dall’a.t.i. e quelle oggetto di subappalto (13.017/33.680 ore) non possono ritenersi prova idonea per riconoscere l’utile in misura integrale; ii) il lasso temporale di riferimento preso in considerazione dall’a.t.i. risulta computato per difetto, dovendosi considerare, quanto meno, il periodo ricompreso tra la data di consegna dei lavori a – OMISSIS – e la data del diniego di subentro; tale periodo temporale è pari a circa sette mesi, che è un tempo apprezzabile, nell’arco del quale è del tutto ragionevole ritenere che le imprese dell’a.t.i. abbiano eseguito, o, comunque, avrebbero potuto eseguire altri contratti fonte di guadagno. Tenuto conto della tipologia di attività svolta (che, nel presente momento storico, risulta caratterizzata da significativi incrementi, anche in considerazione dei numerosi interventi previsti, ex aliis, del P.N.R.R., nonché nello stesso Piano delle opere olimpiche), del contesto operativo di riferimento (e, quindi, dell’area di attività delle imprese dell’a.t.i., nella quale non difettano, certamente, interventi di realizzazione di opere pubbliche, trattandosi di area particolarmente sviluppata del Paese, nonché opere di edilizia privata) e delle caratteristiche soggettive dell’a.t.i. e, in particolare, della mandataria (che è una delle principali imprese edili altoatesine), risulta equo operare una decurtazione pari al 15 per cento del danno stimato a titolo di lucro cessante, che, è, quindi, determinato in euro 2.241.224,39.

18.6. Deve, invece, riconoscersi il danno curriculare, consistente nel mancato arricchimento del curriculum professionale delle Società parti dell’a.t.i. Tale danno consiste nel caso di specie nel vantaggio economicamente valutabile che l’esecuzione dello specifico appalta avrebbe, comunque, conseguito. Deve, infatti, considerarsi come si tratti, comunque, di un intervento di costruzione di un impianto nel quale verranno svolte alcune gare delle Olimpiadi invernali, e, quindi, l’opera sarà destinata ad ospitare un evento di rilevanza internazionale. La possibilità di eseguire una simile opera risulta, con ogni evidenzia, un’occasione particolarmente proficua per un’impresa di costruzione, che, certamente, ottiene un particolare vantaggio nel poter inserire – tra le opere realizzate – un intervento come quello di specie. Queste circostanze consentono di ritenere raggiunta la prova del nocumento, dovendosi considerare che per tipologie di danni come quello in esame gli elementi fattuali caratterizzanti una determinata vicenda ben possono costituire elementi in base ai quali è possibile affermare l’esistenza del pregiudizio lamentato (cfr., Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 agosto 2024, n. 7218). Quanto alla percentuale del danno si ritiene congrua quella indicata dall’a.t.i. (20 per cento), trattandosi – come spiegato – di un’opera destinata ad ospitare le Olimpiadi invernali (oltre che la Coppa del Mondo del 2025), e che, quindi, avrebbe dato eccezionale prestigio all’a.t.i.

18.7. In ragione delle circostanze indicate il danno complessivamente patito deve quantificarsi in euro 2.689.469,27. Tale somma, essendo determinata in via equitativa, può liquidarsi all’attualità e ritenersi perciò onnicomprensiva anche di eventuali pretese di rivalutazione e interessi anteriori alla data di pubblicazione della presente sentenza (cfr.: Consiglio di Giustizia Amministrazione per la Regione siciliana, 22 agosto 2022, n. 934; Id., 25 maggio 2023, n. 367). Su tale somma andranno computati, quindi, gli interessi legali dovuti dal giorno della pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.

  1. In definitiva, la domanda risarcitoria articolata nel ricorso per motivi aggiunti deve accogliersi e, per l’effetto, deve condannarsi il Comune di Rasun Anterselva a risarcire in favore dell’a.t.i. ricorrente il danno ex art. 112, comma 3, c.p.a., che si quantifica in euro 2.689.469,27 (comprensivo di eventuali pretese di rivalutazione e interessi anteriori alla data di pubblicazione della presente sentenza), oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al soddisfo.
  2. Si precisa che le questioni esaminate esauriscono la disamina dei motivi, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante; cfr., ex plurimis, Consiglio di Stato, Sez. VI, 2 settembre 2021, n. 6209; Id., 13 settembre 2022, n. 7949), con la conseguenza che gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
  3. In considerazione della condotta complessiva mantenuta dal Comune e dell’esborso di denaro pubblico che la presente sentenza comporta, si provvede a trasmettere copia della stessa alla Procura regionale presso la Corte dei Conti per il Trentino Alto-Adige per il seguito di eventuale competenza. Tale trasmissione risulta doverosa, a prescindere da ogni eventuale azione di rivalsa che il Comune ritenesse di dover esercitare nei confronti dell’impresa beneficiaria.
  4. Le spese di lite tra – OMISSIS – e il Comune seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Possono, invece, compensarsi le spese di lite tra – OMISSIS – e – OMISSIS -, essendo stata accolta esclusivamente la domanda risarcitoria formulata nei confronti del Comune di Rasun Anterselva.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta):

  1. i) dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso introduttivo del giudizio;
  2. ii) dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse la domanda di accertamento della nullità e di esecuzione della sentenza in forma specifica articolata nel ricorso per motivi aggiunti;

iii) accoglie la domanda di risarcimento del danno ex art. 112, comma 3, c.p.a., e, per l’effetto, condanna il Comune di Rasun Anterselva a risarcire all’a.t.i. ricorrente il danno pari a euro 2.689.469,27 (comprensivo di eventuali pretese di rivalutazione e interessi anteriori alla data di pubblicazione della presente sentenza), oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza al soddisfo;

  1. iv) pone a carico del Comune di Rasun Anterselva le spese di lite del presente giudizio, che liquida in complessivi euro 10.000,00 (diecimila/00), oltre accessori di legge, in favore dell’a.t.i. ricorrente; compensa le spese di lite tra l’a.t.i. e – OMISSIS -;
  2. v) invita la Segreteria della Sezione a trasmettere copia della presente sentenza alla Procura regionale presso la Corte dei Conti del Trentino Alto-Adige.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Hadrian Simonetti, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi’, Consigliere, Estensore

Thomas Mathà, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Lorenzo Cordi’

Hadrian Simonetti

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO