L’ordinanza n. 9116/2024 del Consiglio di Stato, Sezione Quinta, rinvia all’Adunanza Plenaria per risolvere il contrasto interpretativo riguardante le conseguenze processuali del mancato tempestivo deposito della sentenza appellata nel giudizio amministrativo. Il caso trae origine da un appello contro una sentenza del TAR Sardegna in cui l’appellante, oltre a contestare la revoca della concessione di occupazione di suolo pubblico, aveva chiesto il risarcimento dei danni, richieste entrambe respinte o dichiarate improcedibili.

Il Collegio esamina due orientamenti giurisprudenziali emersi sull’interpretazione dell’art. 94 del Codice del Processo Amministrativo (c.p.a.), il quale disciplina il deposito degli atti necessari all’ammissibilità dell’appello. Il primo orientamento distingue tra mancato deposito assoluto, che comporta l’inammissibilità, ed errori materiali nel deposito di un documento errato, che sarebbero sanabili mediante regole generali come l’errore scusabile. Il secondo orientamento, invece, attribuisce all’art. 94 una lettura più rigorosa, estendendo la decadenza al mancato deposito di tutti gli atti indicati, inclusi la sentenza appellata e la prova delle notifiche.

Il Collegio evidenzia che la norma è formulata in modo ambiguo, ma la sua lettura deve essere coerente con i principi di continuità rispetto al regime processuale previgente, stabilito dall’art. 36 del r.d. n. 1054 del 1924, che già considerava inammissibile l’appello per il mancato deposito tempestivo di tali atti. Inoltre, viene sottolineato il rilievo processuale del deposito della prova delle notificazioni, considerato indispensabile per la regolare instaurazione del contraddittorio, come ribadito da costante giurisprudenza del Consiglio di Stato.

Il Collegio respinge altresì soluzioni che tentano di aggirare la questione attraverso il giudizio sul merito o che “declassano” il vizio a mera irregolarità formale sanabile, evidenziando che tali approcci mancano di un fondamento normativo. La decisione sottolinea inoltre la rilevanza dell’avverbio “unitamente” utilizzato dall’art. 94 c.p.a., che lega inscindibilmente il deposito del ricorso a quello degli atti accessori.

Infine, il rinvio all’Adunanza Plenaria mira a chiarire se il mancato tempestivo deposito della sentenza appellata debba determinare l’inammissibilità dell’appello o se, in ossequio ai principi del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e di proporzionalità, il giudizio possa proseguire qualora la sentenza sia agevolmente reperibile nei sistemi informatici della giustizia amministrativa. L’Adunanza Plenaria è così chiamata a fornire un’interpretazione univoca dell’art. 94 c.p.a., bilanciando la necessità di certezza processuale con i principi costituzionali di tutela del diritto di azione.

Pubblicato il 13/11/2024

  1. 09116/2024 REG.PROV.COLL.
  2. 00854/2024 REG.RIC.           

REPUBBLICA ITALIANA

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

ORDINANZA DI RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA

sul ricorso numero di registro generale 854 del 2024, proposto da

– OMISSIS -, in proprio e nella qualità di titolare e legale rappresentante della ditta individuale “- OMISSIS -”, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Roberto Fozzi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Oristano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna (Sezione Prima) n. 00- OMISSIS -/2023, resa tra le parti,

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 il Cons. Antonino Masaracchia; nessuno presente per le parti;

  1. I) I fatti di causa.
  2. – Nel presente giudizio è appellata la sentenza del TAR Sardegna, meglio individuata in epigrafe, che si è pronunciata sul ricorso proposto dall’odierno appellante, il quale gestisce un esercizio di somministrazione di alimenti e bevande in Oristano, piazza Tharros n. 17.

Il ricorrente, in primo grado, aveva impugnato il provvedimento del Comune di Oristano che gli ha revocato la concessione di occupazione di suolo pubblico (a lui in precedenza rilasciata con atto prot. n. 320, del 10 maggio 2018), chiedendo il risarcimento dei danni. Il TAR ha dichiarato improcedibile la domanda annullatoria (in quanto, nelle more del giudizio, il ricorrente ha ottenuto un nuovo titolo di occupazione di suolo pubblico) e ha respinto la domanda risarcitoria, avendo riscontrato la mancanza del presupposto dell’illegittimità dell’atto impugnato.

Incardinato il giudizio di appello presso questa Sezione, il Presidente, con decreto 29 marzo 2024, n. 567, reso ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. amm., ha individuato e segnalato alle parti un possibile profilo in rito, tale da consentire l’immediata definizione del giudizio. Tale profilo consiste nel fatto che l’appellante, entro il termine perentorio per il deposito dell’atto di appello, non ha provveduto al deposito della sentenza appellata.

Il decreto ha dunque fissato la camera di consiglio per la conseguente definizione in rito della causa.

  1. – Il Comune di Oristano, pur regolarmente chiamato, non si è costituito nel presente giudizio di appello.
  2. – Alla camera di consiglio dell’11 luglio 2024, dunque, la causa è stata trattenuta in decisione.
  3. II) La questione controversa.

Il Collegio è dell’avviso che vada esaminata funditus la questione in rito sollevata con il decreto presidenziale reso ai sensi dell’art. 72-bis cod. proc. amm., avente ad oggetto il mancato deposito della sentenza appellata entro i termini e con le modalità indicate dall’art. 94 cod. proc. amm. e le conseguenze di tale inadempimento sul giudizio di appello.

Come di seguito si passa a riferire, è infatti attualmente rinvenibile un contrasto giurisprudenziale, recentemente maturato tra le Sezioni di questo Consiglio di Stato, in ordine all’esatta identificazione di tali conseguenze: secondo un primo, e forse più esteso, orientamento, il mancato deposito della sentenza comporta l’inammissibilità del giudizio di appello; secondo altro indirizzo (a sua volta articolato in diversi percorsi di lettura), invece, all’inadempimento di quell’onere non conseguono rilevanti effetti in rito, ben potendo il giudizio proseguire verso la decisione nel merito.

III) Il quadro normativo di riferimento e gli indirizzi giurisprudenziali.

La disposizione da cui partire è l’art. 94 cod. proc. amm., che, sotto la rubrica “Deposito delle impugnazioni”, così recita: “Nei giudizi di appello, di revocazione e di opposizione di terzo il ricorso deve essere depositato nella segreteria del giudice adito, a pena di decadenza, entro trenta giorni dall’ultima notificazione ai sensi dell’articolo 45, unitamente ad una copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni”.

La norma individua le incombenze che, successivamente alla notifica dell’atto di appello, sono richieste alla parte appellante: deposito del ricorso; deposito della sentenza impugnata; deposito della prova delle eseguite notificazioni. Tuttavia, solo per la prima di dette incombenze sembra che venga operato un chiaro e diretto collegamento con la sanzione della “decadenza”, in caso di mancato rispetto dei termini; per le altre due (deposito della sentenza e deposito della prova delle eseguite notificazioni) si richiede che l’adempimento avvenga “unitamente” al deposito del ricorso, ma, stante la letterale formulazione, potrebbe sembrare che il richiamo alla decadenza, di cui alla parte precedente della norma, non le riguardi direttamente.

L’oggettiva ambiguità della norma ha favorito il formarsi dei diversi orientamenti, prima accennati.

III.1. – Secondo una prima impostazione, seguita ad esempio da questa Sezione con la recente sentenza 20 febbraio 2024, n. 1663, l’art. 94 cod. proc. amm. fisserebbe l’onere di deposito della sentenza appellata a pena di inammissibilità (cfr. anche, ex plurimis, Cons. Stato, Sez. III, 14 giugno 2011, n. 3619; Sez. IV, 25 marzo 2014, n. 1455; questa Sez. V, 28 maggio 2014, n. 2773, nonché, più di recente, sentenze 20 febbraio 2024, n. 1685, 19 marzo 2024, n. 2621, 13 dicembre 2023, n. 10761, e 7 febbraio 2023, n. 1300; Sez. VI, sentenza 27 gennaio 2023, n. 955; Sez. VII, sentenza 19 dicembre 2023, n. 11016). Tanto varrebbe, peraltro, pure nell’attuale regime di processo amministrativo telematico (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 19 febbraio 2019, n. 1136; Sez. IV, 3 giugno 2021, n. 4246, e 26 aprile 2022, n. 3174; Sez. VI, 17 novembre 2020, n. 7133; questa Sezione V, sentenza 4 giugno 2024, n. 5000). L’assunto è motivato con riguardo ad esigenze di ordine pubblico processuale, indisponibili per le parti private, strumentali al regolare svolgimento del giudizio (Cons. Stato, Sez. VI, 3 giugno 2022, n. 4520; questa Sez. V, sentenza 11 ottobre 2023, n. 8858). Nella medesima prospettiva, è stato precisato che le regole sul deposito della sentenza costituiscono oggetto di puntuali doveri delle parti, derivanti dai canoni di sinteticità, chiarezza, leale collaborazione ed economia processuale (Cons. giust. amm., 22 settembre 2022, n. 955; più di recente, di questa Sezione, cfr. la sentenza 20 febbraio 2024, n. 1680).

In questa prospettiva, è stato anche rimarcato che l’onere di deposito della sentenza appellata costituisce espressione di un elementare (quanto gratuito, non essendo l’acquisizione di detta copia assoggettata ad oneri fiscali) dovere di collaborazione della parte con il giudice di appello (e dell’impugnazione in generale), “affinché quest’ultimo, attraverso la consultazione del fascicolo digitale di appello, possa immediatamente e velocemente individuare, nella moltitudine di atti processuali digitalizzati, la sentenza impugnata, senza bisogno di accedere al fascicolo di primo grado” (Cons. giust. amm., Sez. giur., n. 965 del 2022). Si è peraltro evidenziato che tale onere non può considerarsi “sproporzionato o irragionevole”, nemmeno alla luce della giurisprudenza della Corte EDU spesso invocata dalla parte inadempiente, essendo richiesto solo “il deposito della sentenza, che costituisce oggetto dell’appello, entro un termine ragionevole decorrente dalla notifica dell’appello. Siffatto adempimento non è sproporzionato e non è fine a sé stesso rispondendo a elementari ragioni di ordinato svolgimento del giudizio” (così, di questa Sezione, la sentenza 5 aprile 2024, n. 3154). Tanto più che la legge chiede il deposito di una mera copia semplice della sentenza, e non di una copia autentica (cfr., di questa Sezione, la sentenza 12 febbraio 2024, n. 1384, e la già richiamata sentenza n. 2773 del 2014).

Questo indirizzo appariva piuttosto consolidato, tanto che più volte, anche di recente, non si sono rinvenuti gli estremi per rimettere la questione all’Adunanza plenaria (cfr., ad esempio, la sentenza 8 maggio 2024, n. 4135, della Sez. IV), rimarcandosi che “[q] uest’ultima può essere investita da una Sezione semplice solo se la Sezione rileva che su una questione di diritto vi è contrasto di giurisprudenza ovvero se la questione può dare luogo a contrasto di giurisprudenza (art. 99 c.p.a.). Nella specie non vi è alcun contrasto di giurisprudenza sulla questione che la causa pone” (così, di questa Sezione, la sentenza 20 febbraio 2024, n. 1678).

III.2. – Tuttavia, prendendo le mosse da altri spunti di tenore opposto, alla questione è stata di recente fornita, ex professo, una diversa impostazione.

Ci si riferisce, in particolare, alla sentenza 22 maggio 2024, n. 4542, della Sez. VI, che, nel ricostruire la questione, ha anzitutto dato conto di due letture alternative dell’art. 94 cod. proc. amm., da ultimo invalse nella giurisprudenza delle Sezioni, volte a riconoscere la possibilità di far ugualmente proseguire il giudizio nonostante il mancato tempestivo deposito della sentenza appellata.

III.2.1. – Secondo un primo indirizzo “ortopedico”, il giudizio di appello sarebbe “improcedibile” ovvero “inammissibile” (senza, peraltro, che simile alternativa venga sciolta) “soltanto laddove sia carente in senso assoluto la produzione della sentenza gravata (Cons. Stato, Sez. IV, sentenza n. 4488 del 2020; altro e più risalente precedente della Sezione IV, ossia la sentenza n. 1455 del 2014, aveva parlato di “improcedibilità”, e non di inammissibilità, del giudizio di appello).

In questa prospettiva, l’accesso al merito sarebbe inibito solo nel caso di mancata produzione di alcuna copia (anche semplice) della sentenza impugnata, di contro tuttavia ammettendosi la possibilità di deposito della stessa nei termini ex art. 73 cod. proc. amm. (Cons. Stato, Sez. VI, n. 7133 del 2020); e potendosi, ancora, ben configurare l’errato deposito di una ordinanza istruttoria in luogo della sentenza gravata quale causa di un emendabile “errore materiale” (Cons. giust. amm., n. 843 del 2021; contra, peraltro, Cons. giust. amm., n. 960 e n. 962 del 2022).

A questo filone possono essere ricondotte pure quelle pronunce che, in vista dello scopo ultimo di superare la pur rilevata causa di inammissibilità e di procedere con la decisione nel merito, conferiscono rilievo – in modo più o meno stringente – alla “volontà” della parte di depositare la sentenza appellata. In questa prospettiva, si è talvolta ritenuto che il vizio di inammissibilità per mancato deposito della sentenza deve in effetti ritenersi sussistente, ma che, al contempo, esso sia “superabile” avuto riguardo al reale intendimento della parte, desumibile da circostanze di fatto relative al suo comportamento processuale: “l’indicazione della copia della sentenza di primo grado è contenuta per due volte nel foliario depositato unitamente al ricorso (una volta genericamente come sentenza notificata e una volta con gli estremi, benchè erroneamente indicati […]), cosicché il mancato deposito della stessa è verosimilmente da attribuire a una svista dell’appellante, che, però, con il suddetto foliario aveva espresso la volontà di provvedere al deposito” (così sentenze 29 maggio 2024, n. 4831, n. 4832, n. 4833 e n. 4834, della Sezione VII; analogamente, anche sentenza 8 maggio 2024, n. 4130, sempre della Sezione VII, ove si rimarca quanto segue: “è indubbia la volontà della parte di procedere al deposito dell’atto, peraltro già presente nella medesima banca dati e tramite di essa agevolmente consultabile da questo giudice. Tale volontà risulta, infatti, dimostrata per tabulas dalle risultanze di causa e dall’espressa menzione della sentenza impugnata nel foliario, oltre che dalla predisposizione, allegazione e sottoscrizione digitale dell’attestato di conformità della sentenza, presente nel modulo di deposito originario”). L’effettiva volontà della parte di effettuare il deposito, ostacolata da una “svista” ovvero da “inconvenienti informatici” (cfr., in tal senso, l’ordinanza 22 gennaio 2024, n. 683, della Sezione VII), ma desumibile dalla mera “indicazione” della sentenza appellata nel foliario (cfr. sentenza 12 febbraio 2024, n. 1388, della Sezione VI), viene altre volte fatta assurgere a ragione di declassamento del vizio da “inammissibilità” a “mera irregolarità formale sanabile”, e ciò “a differenza dei casi in cui l’appellante abbia omesso di depositare la copia della sentenza gravata senza neppure manifestare l’intento di provvedervi”; si rinvengono dunque gli estremi per l’assegnazione alla parte di un termine per provvedere al corretto deposito (in tal senso, la già citata ordinanza n. 683 del 2024 della Sezione VII). Per converso, qualora la parte abbia omesso non solo di depositare la sentenza, ma anche di menzionarla nel foliario, e non sia poi neanche stata in grado di fornire adeguate spiegazioni nel corso dell’udienza di discussione, la declaratoria di inammissibilità non può essere evitata (cfr. sentenza 12 febbraio 2024, n. 1392, nonché la già cit. sentenza n. 1388 del 2024, entrambe della Sezione VI): da ciò, però, potendosi desumere che eventuali mere “spiegazioni” offerte oralmente in udienza potrebbero condurre il Giudice a superare la pur rilevata causa di inammissibilità.

In modo non distante da questo indirizzo, talvolta si è anche ritenuto opportuno “prescindere dall’esaminare la suddetta questione”, accantonando quindi la disamina del vizio di inammissibilità per mancato tempestivo deposito della sentenza appellata, per “anda [re] direttamente al merito del ricorso, ritenendo infatti più utile e maggiormente satisfattiva dell’interesse sostanziale delle parti una pronuncia che regoli in via definitiva il rapporto sostanziale fra le stesse, anziché arrestarsi al profilo di rito” (così sentenza 18 marzo 2024, n. 2571, della Sezione VII; cfr. anche le sentenze 17 settembre 2024, n. 7622 e n. 7623, della Sezione II, resa in un giudizio per revocazione, nonché la sentenza 13 giugno 2024, n. 5299, sempre della Sezione II). In proposito, si è anche fatto riferimento al principio della “ragione più liquida” di decisione, con richiamo alla sentenza dell’Adunanza plenaria 27 aprile 2015, n. 5 (così, da ultimo, sentenza 22 ottobre 2024, n. 8469, della Sezione VII). Ciò è stato ritenuto opportuno pure allorquando la causa – superato in tal modo il profilo di inammissibilità ex art. 94 cod. proc. amm. – non è comunque approdata al giudizio di merito, in quanto giudicata improcedibile per cessazione della materia del contendere ovvero comunque inammissibile per altra ragione (cfr., in tal senso, sentenza 26 febbraio 2024, n. 1848, della Sezione VII).

III.2.2. – Secondo un indirizzo ancora alternativo, volto parimenti a salvaguardare, ma in modo ancor più radicale, l’azione proposta in appello, la sanzione della decadenza prevista dall’art. 94 cod. proc. amm. si riferirebbesia per ragioni testuali, che in ragione di un’esegesi necessariamente adeguatrice ed evolutiva – al mancato (tempestivo) deposito del ricorso, e non anche di ‘copia della sentenza impugnata e alla prova delle eseguite notificazioni’ (adempimenti indicati in una separata e successiva parte della disposizione)” (Cons. Stato, Sez. III, sentenza 8 marzo 2023, n. 2403).

L’interpretazione della disposizione di cui all’art. 94 cod. proc. amm. deve anzitutto tenere conto del fatto che  […] in caso di omesso deposito della sentenza impugnata per il giudice di appello è agevole procedere ‘all’acquisizione di copia della sentenza gravata dal sistema informatico della Giustizia amministrativa, che consente di reperire la pronuncia di primo grado, agevolmente e con certezza circa la sua autenticità, senza onerare a tal fine parte appellante e senza differimenti della decisione’ (in termini Cons. St., sez. IV, 13 luglio 2020 n. 4488)”. Si è quindi concluso che “anche alla luce di tale obiettivo dato non appare praticabile una lettura dell’art. 94 cod. proc. amm. implicante conseguenze irragionevoli e sproporzionate – rispetto all’adempimento omesso – sull’esercizio del diritto di difesa” (così Cons. Stato, Sez. III, n. 2403 del 2023, cit.).

III.2.3. – In adesione a queste letture, la recente decisione della Sezione IV n. 4542 del 2024 è pervenuta a giudicare non inammissibile l’appello, in una fattispecie nella quale la parte appellante era incorsa “in un mero errore materiale, dovuto alla circostanza di aver depositato in questa fase del giudizio una sentenza resa all’esito di un altro contenzioso di primo grado, di analogo tenore […], proposto da altri soggetti avverso il medesimo Comune odierno appellato”; sì che il Collegio ha ritenuto possibile acquisire copia della sentenza gravata dal sistema informatico della Giustizia amministrativa, “che consente di reperire la pronuncia di primo grado, agevolmente e con certezza circa la sua autenticità, senza onerare a tal fine parte appellante e senza differimenti della decisione”.

  1. IV) Osservazioni critiche sui vari orientamenti.

IV.1. – Osserva questo Collegio che il primo dei due orientamenti, che propugna la decadenza in caso di mancato tempestivo deposito della sentenza appellata, e la conseguente inammissibilità del giudizio di appello, potrebbe non apparire soddisfacente alla luce sia di un’interpretazione letterale dell’art. 94 cod. proc. amm., sia di una più ampia riflessione di natura sistematica.

Dal punto di vista letterale, giova osservare che la norma separa nettamente, nella sua formulazione testuale, l’onere del deposito del ricorso rispetto agli altri incombenti che vengono rimessi alla responsabilità della parte appellante (deposito della decisione appellata e deposito della prova delle eseguite notificazioni). A ben vedere, la sanzione della decadenza è confinata in un inciso che il legislatore, in modo evidentemente voluto e consapevole, ha collocato nella parte della disposizione riferita esclusivamente al deposito del ricorso. Del resto, la previsione della decadenza, con il conseguente effetto definitivo e irreparabile sull’azione proposta, richiede un chiaro ed esplicito ancoraggio che sia rinvenibile, senza equivoci di sorta, nel testo della norma processuale, non potendosi di certo ammettere un’estensione, in via meramente interpretativa, del raggio applicativo della sanzione.

Dal punto di vista sostanziale, deve ricordarsi che le forme degli atti processuali non sono «fine a se stesse», ma sono funzionali alla migliore qualità della decisione di merito (Corte cost., sentenza n. 77 del 2007), essendo deputate al conseguimento di un determinato scopo, coincidente con la funzione che il singolo atto è destinato ad assolvere nell’ambito del processo (Corte cost., sentenza n. 148 del 2021, punto 4.3. del Considerato in diritto). L’affermazione di principio non può non valere anche per gli incombenti processuali che sono imposti sotto forma di onere, i quali parimenti devono risultare giustificati da un interesse superiore, idoneo a dar conto del sacrificio che viene imposto alla parte in termini di perdita definitiva dell’azione pur intrapresa. Il nesso tra quel sacrificio e il perseguimento dell’interesse superiore viene declinato, dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la logica del giudizio di proporzionalità, nel senso che l’adempimento processuale richiesto alla parte deve essere proporzionato agli effetti che ne derivano (in tal senso, ancora, la sentenza n. 148 del 2021 della Corte costituzionale, richiamata anche da molte delle pronunce di questo Consiglio di Stato che criticano l’orientamento qui in esame: cfr., ad esempio, la già richiamata ordinanza n. 683 del 2024 della Sezione VII).

Alla luce dei dubbi esegetici che la formulazione testuale dell’art. 94 cod. proc. amm. suscita, si dovrebbe, pertanto, dare seguito a quegli orientamenti, come riepilogati e sostenuti da ultimo dalla sentenza n. 4542 del 2024 della Sezione VI, che si fanno carico del menzionato giudizio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il fine perseguito, giungendo ad espellere, dal nostro ordinamento processuale, ipotesi di decadenza (e, quindi, di definitiva perdita del diritto di difesa in giudizio) che appaiono sovrabbondanti rispetto all’interesse che si vorrebbe proteggere. Ne dovrebbe, quindi, discendere un’interpretazione “costituzionalmente orientata” dell’art. 94 cod. proc. amm., in ossequio alla quale, come di recente affermato, “le esigenze di carattere processuale poste a fondamento della soluzione finora seguita dalla giurisprudenza prevalente possono essere efficacemente soddisfatte con la fissazione di un termine, come condizione di procedibilità del gravame, per la produzione in giudizio di copia della sentenza impugnata” (così la sentenza 22 maggio 2024, n. 4548, della Sezione VI).

Ciò, tanto più in una cornice ricostruttiva che non è in grado di individuare, con il rigore che sarebbe richiesto dalla posta in gioco, qual è, con esattezza, l’interesse superiore da preservare mediante la sanzione massima della decadenza. Non appaiono soddisfacenti, in questa prospettiva, i generici riferimenti – compiuti da quelle decisioni che, in caso di mancato tempestivo deposito della sentenza appellata, sposano la soluzione dell’inammissibilità – a finalità di “ordine pubblico processuale”, ovvero ai principi di sinteticità, chiarezza, leale collaborazione ed economia processuale. Si tratta, infatti, di principi i quali, a loro volta, sono meramente strumentali e serventi rispetto al fine ultimo del processo e non paiono, pertanto, idonei a sorreggere un così incisivo sacrificio del diritto di difesa della parte. Tanto più che – come si accennava – la cornice del processo amministrativo telematico offre, oggi, una facile via di accesso, per il giudice, alla conoscenza in forma ufficiale della sentenza appellata: la mera consultazione del sito ufficiale della giustizia amministrativa rende immediata tale conoscenza e realizza, dunque, lo scopo perseguito dall’art. 94 cod. proc. amm., beninteso purché la parte abbia quantomeno allegato gli estremi numerici della pronuncia appellata.

IV.2. – Al tempo stesso, tuttavia, il Collegio dubita della “tenuta” anche degli altri, e contrapposti, orientamenti interpretativi, come più innanzi riepilogati sulla scorta della recente sentenza n. 4542 del 2024 della Sezione VI.

In linea generale, può qui anzitutto osservarsi che la possibilità, per il giudice, di accedere alla sentenza impugnata tramite il sito della giustizia amministrativa può risultare, di per sé, non decisiva ai fini di ritenere sempre superabile l’inerzia della parte onerata al suo deposito. Pur nel contesto attuale del processo amministrativo telematico, infatti, “la circostanza che copia della sentenza sia, di fatto, accessibile attraverso il sistema informatico della Giustizia Amministrativa non esime il difensore dal deposito dell’atto, stante la chiara previsione del vigente art. 94 c.p.a., in difetto di una norma che esplicitamente esoneri la parte dal produrre la sentenza e, soprattutto, autorizzi il giudice della causa a fondare la decisione su un documento autonomamente reperito nel sistema informatico e ritenuto fidefacente”. Nella stessa sede si è aggiunto che, de iure condito, “l’obbligo della parte di produrre la copia della sentenza impugnata è funzionale anche a dare certezza all’organo giudicante del contenuto della decisione sulla quale è chiamato a pronunciarsi, nonché ad assicurare che in qualsiasi momento, e quindi anche in condizione di eventuali malfunzionamenti del sistema informativo, il testo della decisione impugnata sia disponibile al fascicolo della causa, nella versione fidefacente. In quest’ottica si può spiegare il fatto che l’art. 94 c.p.a. non sia stato, sino ad ora, modificato, nonostante l’implementazione del sistema NSIGA” (così, di recente, la sentenza 16 aprile 2024, n. 3479, della Sezione II).

Può anche ricordarsi che, in base a quanto di recente ritenuto da questa Sezione, l’onere del deposito non potrebbe considerarsi soddisfatto neppure mediante l’indicazione, rinvenibile nell’atto di appello, del link ipertestuale alla sentenza impugnata. Si è infatti osservato che simile espediente “non è dissimile da qualsiasi altro strumento o accorgimento che, lungi dal comportare l’inserimento del documento nel fascicolo di causa, semplicemente indichi il luogo ove quel documento può essere trovato. A ciò, tuttavia, non corrisponde l’istituto processuale del deposito in giudizio, che consiste piuttosto, come è noto, nel porre il documento direttamente nella disponibilità del giudice e delle altre parti, mediante suo fisico inserimento nel fascicolo processuale” (sentenza 20 febbraio 2024, n. 1663).

IV.2.1. – Venendo, più nello specifico, ad esaminare il primo degli orientamenti più permissivi, già menzionato supra al punto III.2.1. – in disparte la non sciolta alternativa tra l’esito dell’inammissibilità e quello dell’improcedibilità, che pure richiederebbe un attento esame – occorre osservare che esso poggia su un concetto di “carenza in senso assoluto” del deposito della pronuncia appellata il quale, tuttavia, non trova sicuri riscontri nell’art. 94 cod. proc. amm. La norma, infatti, si limita a chiedere il deposito di “una copia della sentenza impugnata”, senza distinguere le modalità con le quali ciò debba o possa avvenire. Non ha molto senso, in altri termini, impostare la questione a seconda di come il deposito venga concretamente compiuto, distinguendosi tra i casi in cui venga depositata, per mero errore materiale, una decisione diversa da quella occorrente (la quale, comunque, sia stata quantomeno “indicata” dalla parte, con conseguente non inammissibilità del giudizio) e i casi in cui, invece, non venga depositato alcunché (con conseguente inammissibilità). La norma, invero, chiede il deposito della sentenza e non si occupa della fattispecie del deposito erroneo di altro provvedimento: fattispecie che, piuttosto, andrebbe trattata alla stregua dei generali canoni processuali che passano per la salvaguardia del diritto di difesa di tutte le parti del processo, per la regola di par condicio delle parti e, qualora ritenuta applicabile, per la norma sull’errore scusabile e conseguente rimessione in termini della parte in difetto.

Analogamente, la soluzione del “declassamento” del vizio di inammissibilità, ricondotto a mera irregolarità formale sanabile, mediante la valorizzazione dell’effettiva volontà della parte in ordine al deposito della sentenza (volontà che – si assume – è rimasta ostacolata da inconvenienti di mero fatto, quali la “svista” o il “difetto informatico” non assistito da prova), non appare del tutto soddisfacente, in quanto non corrisponde ad alcuna positiva previsione di legge: e ciò, sia che si ritenga che l’art. 94 cod. proc. amm. estenda la decadenza al mancato deposito della sentenza (ipotesi, questa, che invero non potrebbe consentire alcun “declassamento” del vizio), sia che si ritenga, al contrario, che detta norma non estende la causa di decadenza (nel qual caso, non si avrebbe nemmeno una mera irregolarità formale richiedente una “sanatoria”).

Né può essere utilmente seguita la strada che predilige di “prescindere” dalla questione, pur rilevata, di inammissibilità, per l’opportunità di scendere direttamente al giudizio di merito: si tratta, infatti, di una soluzione di mera convenienza processuale, che non aiuta a risolvere la questione giuridica e che, soprattutto, presuppone una sorta di “disponibilità”, da parte del Giudice, dell’eccezione processuale di parte, non sempre predicabile.

IV.2.2. – Non appare soddisfacente, peraltro, neanche il secondo degli orientamenti più permissivi, quello supra richiamato al punto III.2.2. Infatti, nel contesto letterale dell’art. 94 cod. proc. amm., è bensì vero che i due adempimenti menzionati nell’ultima parte della disposizione (il deposito della sentenza impugnata e il deposito della prova delle notificazioni) sono collocati in posizione separata rispetto all’onere del deposito del ricorso, ma ciò non pare poter consentire di concludere nel senso che la decadenza si riferisca solo a quest’ultimo. Semmai, pare al Collegio che ciò provi troppo: ne discenderebbe, infatti, che non si produce decadenza in caso di mancato deposito (non solo della sentenza appellata, ma anche) della prova delle eseguite notificazioni, essendo quest’ultimo adempimento parimenti menzionato nella parte finale e separata della disposizione. Il che, tuttavia, è smentito dalla giurisprudenza costante di questo Consiglio di Stato, secondo cui il mancato tempestivo deposito della prova delle eseguite notificazioni, incidendo sulla regolare instaurazione del contraddittorio, comporta l’inammissibilità dell’appello, non differentemente da quanto già prescriveva, ancor prima del codice del processo amministrativo, l’art. 36 del r.d. n. 1054 del 1924 (cfr., ex plurimis, la sentenza 22 novembre 2011, n. 6139, della Sezione III, nonché la sentenza 20 giugno 2011, n. 3699, di questa Sezione V).

Piuttosto, è semmai l’evidente continuità con tale precedente normativo che conduce a ritenere preferibile una lettura unitaria dell’art. 94 cod. proc. amm., tale da far confluire nel medesimo esito processuale (quello della decadenza) tutti e tre gli inadempimenti ivi prefigurati: non solo quello indicato dalla prima parte (il mancato tempestivo deposito del ricorso in appello), ma anche gli altri due, pur se menzionati nell’ultima e separata parte della disposizione. Ciò, esattamente in linea con quanto stabiliva l’art. 36, quarto e quinto comma, del r.d. n. 1054 del 1924 che, pacificamente, estendeva l’inammissibilità anche al caso del mancato tempestivo deposito sia della sentenza appellata, sia della prova delle eseguite notificazioni (rimarcano la continuità tra il regime processuale ante codice e quello oggi stabilito dall’art. 94 cod. proc. amm. anche le sentenze 21 aprile 2023, n. 4046, della Sezione II, e 26 aprile 2022, n. 3174, della Sezione IV).

Del resto, il mantenimento della continuità con l’art. 36 del r.d. n. 1054 del 1924 non può ritenersi estraneo agli intendimenti del legislatore delegato del 2010, il quale – giova ricordare – era chiamato a muoversi pur sempre nel rispetto degli orientamenti della “giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori” (art. 44, comma 1, della legge n. 69 del 2009). In tale contesto, ben avrebbe potuto il legislatore delegato introdurre innovazioni nelle norme processuali vigenti purché, tuttavia, ciò avesse formato esplicito oggetto di disciplina e avesse risposto a precisi principi e criteri direttivi della legge di delega. Nel caso di specie, invece, la formulazione dell’art. 94 cod. proc. amm. non si discosta grandemente da quella del previgente art. 36 r.d. n. 1054 del 1924 e, soprattutto, non è tale – pur nella sua oggettiva ambiguità – da far ritenere introdotta un’innovazione (quella relativa alla non inammissibilità dell’appello, nell’ipotesi di mancato tempestivo deposito della prova delle eseguite notificazioni) che non trova riscontri nella legge-delega e che si discosterebbe notevolmente rispetto a quanto era pacificamente ricostruito dalla giurisprudenza in base al precedente sistema.

Piuttosto, una conferma della perdurante vigenza della regola di inammissibilità dell’appello per mancato deposito della prova delle eseguite notificazioni si ritrae, nel sistema del codice del processo amministrativo, anche dall’art. 45, dovendosi evidenziare “che, alla stregua di quanto dispone l’art. 45, comma 3, l’adempimento dell’onere del deposito della prova dell’avvenuto perfezionamento della notifica del ricorso per il destinatario è indispensabile affinché la domanda introdotta possa essere esaminata, in quanto la parte che si avvale della facoltà di cui al comma 2 dell’art. 45 cit. (ovverosia del deposito del ricorso senza la prova dell’avvenuta notificazione) è tenuta a depositare la documentazione comprovante la data in cui la notificazione si è perfezionata anche per il destinatario, cosicché, in assenza di tale prova le domande introdotte con l’atto di gravame non possono essere esaminate” (così, di recente, sentenza 29 aprile 2024, n. 3868, della Sezione II).

Se, dunque, nonostante l’ambiguità della lettera dell’art. 94 cod. proc. amm., non pare possano residuare dubbi in ordine al fatto che il mancato tempestivo deposito della prova delle eseguite notificazioni conduce all’inammissibilità dell’appello, altrettanto dovrebbe concludersi per quanto riguarda le conseguenze del mancato tempestivo deposito della sentenza appellata, trattandosi di adempimento che condivide, con l’altro menzionato onere, la relativa norma (e formulazione ambigua) di riferimento. Ciò, vieppiù alla luce dell’avverbio (“unitamente”) che viene utilizzato dall’art. 94, idoneo a collegare, in modo inscindibile, la prima parte della norma (che pone la sanzione della decadenza per il mancato deposito tempestivo del ricorso) alla sua seconda parte (che impone di affiancare il ricorso, all’atto del suo deposito, alla sentenza appellata e alla prova delle effettuate notifiche); ed anche in linea con la rubrica dell’art. 94, che accomuna sotto la dicitura “Deposito delle impugnazioni” tutti e tre gli adempimenti poi indicati dalla disposizione, suggerendone un regime unico.

  1. V) Formulazione del quesito e deferimento all’Adunanza plenaria.

Stante quanto precede, il Collegio è dell’avviso che l’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, ai sensi dell’art. 99 cod. proc. amm., debba pronunciarsi sul rilevato contrasto giurisprudenziale al fine di chiarire se, in caso di mancato tempestivo deposito della sentenza appellata, il giudizio di appello debba essere dichiarato inammissibile, per il formarsi della decadenza di cui all’art. 94 cod. proc. amm., ovvero se – in ossequio ai principi del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e di proporzionalità tra il fine perseguito dalla legge e la sanzione prevista per il mancato adempimento dell’onere processuale – esso possa comunque proseguire, avendo il giudice la possibilità di reperire facilmente la decisione appellata (i cui estremi siano indicati dalla parte appellante) presso il sistema informatico della giustizia amministrativa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, non definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, ne dispone il deferimento all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, nei sensi indicati in motivazione.

Manda alla Segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza e, in particolare, per la trasmissione del fascicolo di causa e della presente ordinanza al segretario incaricato di assistere all’Adunanza plenaria.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Diego Sabatino, Presidente

Sara Raffaella Molinaro, Consigliere

Giorgio Manca, Consigliere

Marina Perrelli, Consigliere

Antonino Masaracchia, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Antonino Masaracchia

Diego Sabatino

 

 

 

IL SEGRETARIO