La sentenza n. 9117 del 2024 del Consiglio di Stato, sezione IV, affronta la questione della definizione di ristrutturazione edilizia, con specifico riferimento alla demolizione e successiva ricostruzione di edifici, chiarendo come tale intervento sia stato ridefinito nel tempo dalla normativa e dalla giurisprudenza. In particolare, la pronuncia analizza l’evoluzione dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 380/2001, modificato dall’art. 30 del D.L. n. 69/2013, che ha introdotto tre tipologie di demolizione e ricostruzione rientranti nella nozione di ristrutturazione edilizia. La prima tipologia è caratterizzata dalla contestualità temporale degli interventi, con l’obbligo di rispettare la volumetria preesistente; la seconda, invece, consente una non contestualità tra demolizione e ricostruzione, a condizione che sia rispettata la consistenza preesistente; la terza riguarda interventi in zone sottoposte a vincolo, nei quali, a partire dalle modifiche introdotte nel 2020, è richiesta una ricostruzione fedele, ossia rispettosa della sagoma, dei prospetti, del sedime, delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente, senza alcun incremento volumetrico.
La pronuncia sottolinea che, con la modifica normativa del 2013, il legislatore ha superato il requisito della continuità fisica e temporale tra demolizione e ricostruzione, tradizionalmente richiesto per qualificare l’intervento come ristrutturazione edilizia. Tuttavia, la consistenza dell’immobile deve essere documentalmente comprovata, come previsto dall’art. 9-bis del D.P.R. n. 380/2001. La demolizione comporta, in via generale, l’eliminazione fisica e giuridica della volumetria esistente, con la conseguenza che la ricostruzione è preclusa se, successivamente alla demolizione, intervengono nuovi strumenti di pianificazione territoriale o urbanistica che non consentano la realizzazione di nuove costruzioni.
La sentenza colloca tali principi nell’ambito di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale che, partendo dall’art. 31 della L. n. 457/1978, aveva tradizionalmente qualificato la ristrutturazione edilizia come un intervento volto al recupero e alla modernizzazione di edifici preesistenti, richiedendo una relazione di continuità esteriore tra l’edificio originario e quello risultante dall’intervento. Tale continuità implicava, prima della novella del 2013, non solo il rispetto della volumetria e della sagoma, ma anche la contestualità delle operazioni di demolizione e ricostruzione. La modifica normativa del 2013, invece, ha eliminato tale requisito, subordinando l’intervento al solo rispetto della consistenza preesistente e ampliando così la portata della ristrutturazione edilizia anche agli interventi non immediatamente consequenziali alla demolizione.
La sentenza richiama, inoltre, precedenti giurisprudenziali rilevanti, tra cui Cons. Stato, Sez. VI, n. 616/2023, che evidenzia l’effetto estintivo della demolizione rispetto alla volumetria, e Cons. Stato, Sez. II, n. 721/2022, che sottolinea l’obbligo di fedeltà agli elementi tipologici e volumetrici dell’edificio preesistente nelle zone vincolate. In tale contesto, la pronuncia in esame conferma che la normativa del 2013 e le successive integrazioni del 2020 perseguono un equilibrio tra l’esigenza di recupero del patrimonio edilizio e il rispetto delle normative urbanistiche e paesaggistiche applicabili. La decisione ribadisce, pertanto, che la ricostruzione, sebbene qualificabile come ristrutturazione edilizia, rimane soggetta al rispetto delle previsioni normative e pianificatorie vigenti al momento dell’intervento, a tutela dell’interesse pubblico in materia urbanistica.
Pubblicato il 13/11/2024
- 09117/2024REG.PROV.COLL.
- 06656/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6656 del 2021, proposto dal sig. – OMISSIS -, rappresentato e difeso dall’avvocato Alfonso Viscusi, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
contro
il Comune di Pietrasanta, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Marco Orzalesi, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;
nei confronti
della Unione dei Comuni Alta Versilia, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.a.r. per la Toscana, sezione Terza, n. – OMISSIS – del 28 dicembre 2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Pietrasanta;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 settembre 2024 il consigliere Giuseppe Rotondo;
Viste le conclusioni delle parti come da verbale.
FATTO e DIRITTO
- Il presente giudizio ha ad oggetto la domanda di annullamento:
– del diniego di rilascio di permesso di costruire n. 1391606 del 14 agosto 2019, emesso ad esito della sentenza del T.a.r. per la Toscana, sez. III n. 277/2019, relativamente all’intervento di ristrutturazione edilizia per Recupero di volume crollato con accorpamento ad annesso agricolo esistente e cambio di destinazione d’uso (pratica edilizia ST 71/2016);
– dell’art. 9 delle n.t.a. del regolamento urbanistico del Comune di Pietrasanta, laddove nella definizione di Ricostruzione limita detti interventi ai volumi demoliti, per fatti accidentali o cause naturali entro tre anni dall’evento.
- Questi gli aspetti essenziali della vicenda.
2.1. Il ricorrente-appellante è proprietario del terreno sito in Pietrasanta, località Barbasciutta in Via Salesiani, urbanisticamente classificata come “Zona a verde alberato di rispetto”.
Su tale area veniva realizzato abusivamente un box in lamiera, successivamente condonato in forza della concessione edilizia in sanatoria n. 23/s/1998 rilasciata alla sig.ra Mary Cristine Burges.
Successivamente, la Polizia Municipale del Comune di Pietrasanta accertava (rapporto n. 12 del 17 maggio 2010) che nella detta area “è stato spostato un box in lamiera delle dimensioni di circa mt. 3,50 di larghezza, mt 6 di lunghezza, per un’altezza di mt. 2,70, ponendolo su di un nuovo massetto in calcestruzzo di un’altezza pari a circa cm. 10. Il residuo della vecchia piattaforma non è stato rimosso”.
Con ordinanza n. 42/2010, il Comune ingiungeva la demolizione del manufatto in quanto l’intervento edilizio “consistente nella rimozione/demolizione e successiva ricostruzione del box costituisce un’ipotesi di esecuzione d’opera in assenza di titolo autorizzativo”.
Il sig. – OMISSIS – ottemperava all’ordinanza (verbale di P.M. del 14 gennaio 2011).
Circa sei anni dopo, e precisamente il 9 giungo 2016, il sig. – OMISSIS – presentava al Comune di Pietrasanta la richiesta di permesso di costruire prot. n. 18783 volta a realizzare “intervento di cui all’art. 134 L.R.T. n. 65/2014” e, più precisamente, il “recupero di volume crollato a causa di eventi franosi con accorpamento ad annesso agricolo esistente e cambio di destinazione d’uso a civile abitazione”.
Il Comune negava l’intervento con provvedimento id. 1173182 del 18 febbraio 2017.
Il T.a.r., con sentenza n. 277 del 22 settembre 2019, accertava che:
– ai fini della ristrutturazione edilizia ricostruttiva eseguita a mezzo del recupero di un volume demolito e già assentito, con concessione in sanatoria n. 23/1998, “non vi sono impedimenti alla demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria di un manufatto preesistente, eventualmente crollato o demolito, purché sia possibile accertarne la precedente consistenza. Tutte le predette condizioni appaiono sussistere nel caso di specie”;
– “… Del resto, anche l’art. 9 delle NTA del RU comunale, nella definizione di sostituzione edilizia, ammette la ricostruzione dei volumi preesistenti e demoliti, sia pure con la limitazione temporale del triennio dalla demolizione”;
– “Infine, merita rilevare che “l’art. 19 lettera g) del RU del Comune di Pietrasanta ammette “per gli annessi agricoli esistenti e realizzati da soggetti diversi da imprenditori agricoli, finalizzati all’agricoltura materiale, sono consentiti gli interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, ristrutturazione edilizia, sostituzione edilizia, senza aumenti di superficie e volume”; il che è quanto avvenuto nella fattispecie”.
Il Comune, all’esito della pronuncia (non impugnata) riavviava il procedimento istruttorio per la definizione dell’originaria richiesta di permesso di costruire presentata dal sig. – OMISSIS – in data 9 giugno 2016.
In data 26 luglio 2019, il Comune comunicava i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, rilevando sostanzialmente che il box in lamiera, inizialmente legittimato con concessione edilizia n. 23/s/1998, era stato rimosso e ricostruito abusivamente dal – OMISSIS – e dallo stesso demolito definitivamente in ottemperanza all’ordinanza di demolizione n. 42/2010.
In data 14 agosto 2019, lo stesso Comune adottava il definitivo diniego di rilascio del permesso di costruire (n. 1391606 del 14 agosto 2019).
L’amministrazione comunale, dopo avere esposto la situazione di fatto nonché richiamato il regolamento urbanistico e la legge regionale n. 64/2014, così motivava il diniego: “le osservazioni contenute nella memoria non potevano essere accolte perché si rilevava, in via preliminare, come si fondassero su una ricostruzione delle circostanze di fatto non corrispondente al vero; in particolare non costituiva “fatto pacifico” la circostanza che l’annesso fosse stato rimosso/smontato in conseguenza di una frana, tale circostanza, assunta a fatto pacifico (ma in realtà era stata contestata), riferita in maniera generica e senza un riferimento temporale/data precisa, era smentita da prove documentali certe da cui emergeva quanto segue:
– con condono n. 23/s/1998 era stato legittimato il box in lamiera;
– a seguito di sopralluogo effettuato in data 3.02.2010 gli agenti del Comando accertavano e contestavano (con rapporto n. 12/2010) che il box in lamiera era stato spostato ponendolo su di un nuovo massetto … il residuo della vecchia piattaforma non era stato rimosso”;
– nell’immediatezza della contestazione e nell’ambito del procedimento d’infrazione avviato e culminato con l’ordinanza di demolizione n. 42 dell’ 8.11.2010, il signor – OMISSIS – non faceva mai presente di aver dovuto eseguire in via indifferibile e urgente lo spostamento del box;
– solo successivamente il signor – OMISSIS – con nota prot. 45930 del 13.11.2010 presentava istanza ex art. 7 Reg. Ed. per opere indifferibile ed urgenti (dovute a eventi meteo datati 30-31/10 e 1-2/11 del 2010), istanza respinta con nota prot. 48134/2010 in quanto “il box risultava già spostato in precedenza e in assenza di titolo, così come da rapporto del Comando n. 12/2010”;
– alla luce dei fatti correttamente ricostruiti l’originaria consistenza del box condonato era venuta meno con la rimozione volontaria dello stesso e la ricostruzione abusiva (comprensiva di basamento in calcestruzzo) in una zona differente del mappale, ricostruzione sanzionata con ordinanza di demolizione ottemperata dall’interessato”.
- Il sig. – OMISSIS – impugnava il diniego innanzi al T.a.r. per la Toscana (nrg 1393/2019) deducendo i seguenti motivi.
- I) Eccesso di potere per travisamento dei fatti e dei presupposti – eccesso di potere per difetto di istruttoria – eccesso di potere per irragionevolezza e contraddittorietà della motivazione – violazione dell’art. 3 comma 1 lett. d) del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 – violazione degli artt. 71 e 134 l.r.t. 10 novembre 2014 n. 6 – violazione degli artt. 9, 14 e 19 del R.U. del comune di Pietrasanta:
- a) l’Amministrazione comunale dopo il primo annullamento giurisdizionale del diniego di permesso aveva l’obbligo di riesaminare la questione in maniera compiuta e nella sua interezza, “sollevando, una volta per tutte, tutte le questioni che ritenga rilevanti, senza potere in seguito tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati”, ne consegue quindi che il presente ricorso si deve oggi concentrare sull’unico motivo in esso contenuto (l’assenza di un volume legittimo da ricostruire), senza che vi si rinvengano altri potenziali motivi concorrenti di rigetto dell’istanza, neppure impliciti;
- b) rimane del tutto indifferente il motivo per il quale il volume che si intende ricostruire (c.e. 23/s/1998) è stato demolito: quel che conta, infatti, ai fini dell’ammissibilità dell’intervento, è soltanto la possibilità di dimostrare che tale volume esisteva ed era legittimo giacché l’art. 3 c. 1 lett. d) del d.p.r. 380/2001, che rappresenta la fonte primaria “di principio” in materia qualifica come ristrutturazione la ricostruzione di manufatti “crollati o demoliti” purché ne sia possibile accertare e dimostrare la precedente consistenza;
- c) l’animus del proponente l’intervento, ossia il motivo per cui è stata posta in essere la demolizione, non è un motivo ostativo all’intervento;
- d) la preesistenza del volume legittimato è pacificamente dimostrabile, come del resto accertato anche dal T.a.r. con la sentenza n. 277/2019 per il quale “il fabbricato ricostruito conserva le stesse dimensioni di quello demolito”;
- e) neppure potrebbe invocarsi l’art. 9 delle NTA del RU comunale vigente ratione temporis, che apparentemente restringe l’ambito di applicazione dell’art. 3 c. 1 lett. d) del d.p.r. 380/2001 ai soli volumi crollati o demoliti per cause accidentali o naturali poiché tale disposizione è del tutto ultronea e di essa non può che darsi un’interpretazione conforme ai principi della materia, che sono soltanto quelli del d.p.r. 380/2001 tra i quali le “cause” della demolizione non vengono in rilievo, trattandosi infatti della qualificazione di un intervento edilizio che ha come ratio quella di consentire il recupero di un volume legittimo senza eccedere i limiti originari di esso.
- II) Con riferimento all’art. 9 delle n.t.a. del R.U. comunale: violazione dell’art. 117, comma 3, Cost. – violazione degli artt. 1, 2, 3, comma 1, lett. d), e 44 del d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 – violazione degli artt. 71, 95 e134 della l.r. Toscana 10 novembre 2014 n. 65 – violazione dell’art. 55 della l.r. Toscana 3 gennaio 2015 n. 1:
- a) tale disposizione regolamentare (che consente l’intervento di ricostruzione solo per fatti accidentali o cause naturali edifici crollati dimostrati entro tre anni dall’evento) è illegittima per contrasta con la disciplina nazionale e regionale in materia di definizione degli interventi edilizi nonché per irragionevolezza e illogicità.
3.1. Si costituiva, per resistere, il Comune di Pietrasanta.
3.2. Il T.a.r. per la Toscana, con la sentenza n. – OMISSIS -/2020, respingeva il ricorso sul presupposto della sopravvenuta inesistenza del volume da recuperare a seguito della demolizione dell’edificio e della volontà di ricostruzione manifestata a notevole distanza di tempo.
- Ha appellato il sig. – OMISSIS -, che censura la sentenza per i seguenti motivi.
- I) Violazione e falsa applicazione dei principi ricavabili dall’art. 3, comma 1, lett. d), d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 quanto alla definizione di ristrutturazione per ripristino di edifici demoliti o crollati – Travisamento dei fatti e dei presupposti.
- II) Devoluzione del secondo motivo del ricorso di primo grado.
4.1. Si è costituito, per resistere, il Comune di Pietrasanta.
4.2. Con ordinanza presidenziale n. 246/2024, è stata chiesta alle parti di manifestare la persistenza dell’interesse alla decisione.
4.3. Il Sig, – OMISSIS -, con nota depositata il 12 marzo 2924, ha manifestato il proprio interesse alla decisione.
- In date 31 maggio, 7 e 12 giugno del 2024 le parti hanno depositato memorie conclusive e di replica.
- All’udienza del 25 settembre 2024, la causa è stata trattenuta per la decisione.
- L’appello è infondato.
- Nella questione controversa viene in rilievo l’applicazione della disposizione contenuta nell’art. 3, comma 1, lett. d, del d.p.r. n. 380/2001 nel testo ratione temporis vigente all’epoca della avvenuta demolizione, risalente quanto meno all’anno 2010, epoca in cui la Polizia municipale accertava (con rapporto del 17 maggio 2010) l’avvenuta traslazione, abusiva, del box su altra area censurata con l’ordinanza di demolizione n, 42 del 2010).
- Il testo era il seguente: “Ai fini del presente testo unico si intendono per: … interventi di ristrutturazione edilizia”, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente.
- Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti.
- Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica”.
- Giova osservare che, nel corso degli ultimi anni il legislatore ha ampliato la definizione di ristrutturazione edilizia.
- In particolare, la disposizione contenuta all’art. 3, comma 1, lett d), d.p.r. n.380/2001, è stata modificata dall’art. 30 del d.l. n. 69/2013, nella parte in cui prevede che “Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza”.
- La norma, come novellata nel 2013, non pone un limite temporale di operatività.
- Tale circostanza ha posto in dubbio che si potesse ricostruire un edificio demolito ormai da anni (nella fattispecie 6), definendo tale intervento quale ristrutturazione edilizia con tutto ciò che ne consegue in termini di titolo abilitativo, contributo di costruzione, disciplina urbanistico-edilizia locale applicabile al caso concreto.
- In relazione a queste evenienze, il Consiglio di Stato (sezione VI, sentenza n. 616/2023) ha di recente chiarito che la demolizione determina l’eliminazione, fisica e giuridica, della volumetria esistente, di modo che la ricostruzione dell’edificio è, sempre in linea di principio, preclusa nel caso in cui, in epoca posteriore al suo abbattimento/crollo, entrino in vigore nuovi strumenti di governo del territorio (id est: piani regolatori, ma anche piani paesaggistici) i quali impediscano la realizzazione di nuove costruzioni.
- La nozione di ristrutturazione contenuta nel d.p.r. n. 380/2001 trova origine nell’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa al disposto di cui all’art 31 della L. n. 457/1978 – secondo cui erano interventi di ristrutturazione edilizia “quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, la eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti”.
- La norma è stata interpretata dalla giurisprudenza nel senso che “la nozione di ristrutturazione edilizia, comprende anche gli interventi consistenti nella demolizione e successiva ricostruzione di un fabbricato, purché tale ricostruzione sia fedele, cioè dia luogo ad un immobile identico al preesistente per tipologia edilizia, sagoma e volumi, dovendo essere altrimenti l’intervento qualificato come di nuova costruzione (Cons. di Stato, Sez. II, n. 721 del 2 febbraio 2022; id. Sez. IV, 9 luglio 2010, n. 4462; Sez. IV, 5 ottobre 2010 n. 7310; Sez. IV, sentenza 10 agosto 2011, n. 4765, Sez. IV, sentenza 4 giugno 2013, n. 3056; Sez. II, 18 maggio 2020, n. 3153).
- Nel corso del tempo vi è stato il graduale abbandono del concetto di “fedeltà” della ricostruzione che consentiva di mantenere la ristrutturazione edilizia quale tipologia di intervento edilizio di recupero presupponendo la preesistenza e la conservazione di un edificio da rinnovare o modernizzare.
- Il tratto distintivo della ristrutturazione edilizia era costituito dall’esistenza, tra l’edificio preesistente all’intervento e l’edificio risultante dall’intervento, di una relazione di continuità, tale da essere percepita esternamente e da giustificare l’affermazione secondo cui l’edificio preesistente continuasse ad esistere anche dopo l’intervento di ristrutturazione (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2294 del 7 maggio 2015).
- Prima della modifica normativa operata dal legislatore nel 2013 – quindi, con riguardo alla fattispecie per cui è causa – questa particolare relazione di continuità tra edificio preesistente ed edificio risultante dalla ristrutturazione, implicava, con specifico riferimento alla ristrutturazione attuata attraverso la demolizione e ricostruzione, non solo il rispetto della volumetria, della sagoma e degli elementi distintivi, ma anche il fatto che le due operazioni, cioè la demolizione e la ricostruzione, avvenissero in un unico contesto, senza soluzione di continuità, comportando che la ricostruzione fosse già programmata al momento della demolizione/crollo spontaneo, dell’edificio da ricostruire.
- La modifica legislativa di cui all’art. 30, comma 1, lett. a) del d.l. n. 69/2013 ha inciso proprio su questo punto, modificando l’art. 3, comma 1, lett. d) del d.p.r. n. 380/2001, risolvendo la continuità tra esistente e ricostruito necessaria in precedenza e ponendo la condizione che la consistenza dell’immobile sia documentalmente comprovata (art. 9 bis, d.p.r. n. 380/2001).
- L’appellante fa leva proprio su questa modifica normativa per inferire l’illegittimità del diniego, sia sotto il profilo della irrilevanza della contestualità o contiguità temporale che della erronea previsione contenuta nell’art. 9 delle n.t.a. del R.U.
- E invero, a seguito della novella normativa del 2013, l’art. 3, comma 1, lett. d), del d.p.r. n. 380/2001 include nella ristrutturazione edilizia tre tipologie di demolizione e ricostruzione:
- (i) una connotata dalla unicità del contesto “temporale” di realizzazione dei vari interventi, con rispetto della volumetria preesistente;
- (ii) l’altra caratterizzata, all’opposto, dal fatto che la ricostruzione/ripristino risulta indipendente dalla demolizione, con possibilità di realizzare i due interventi anche a distanza di tempo, ma anche in questo caso con la necessità di rispettare la “preesistente consistenza”;
- (iii) da ultimo, la demolizione seguita da ricostruzione in zone tutelate, connotata dal rispetto della “preesistente consistenza” indipendentemente dalla contestualità, o meno, dei due interventi, con la precisazione che a partire dalle modifiche introdotte nel 2020 il legislatore ha richiesto, in tal caso, il rispetto di “sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria”, cioè una ricostruzione assolutamente “fedele” all’edificio preesistente.
- Sennonché, la giurisprudenza amministrativa sopra richiamata ha poi chiarito che la disposizione introdotta dall’art. 30 del d.l. n. 69/2013, secondo quanto previsto dal comma 6, trova applicazione dalla data di entrata in vigore della legge di conversione (legge 9 agosto 2013, n 98, pubblicata sulla G.U. 20/08/2013 n. 194).
- Consegue a tanto che la nuova fattispecie di ristrutturazione (nel testo previsto o dal Legislatore del 2013 e fatto proprio dall’appellante) trova attuazione solo se i fatti che ne sono presupposto (demolizione/crollo) sono avvenuti dopo la sua entrata in vigore.
- Nel caso di specie, la demolizione risale, come sopra anticipato, quanto meno alla data del 2010 (v. rapporto di P.M. 17 maggio 2010).
- Ragion per cui non trova applicazione la normativa entrata in vigore successivamente alla demolizione/crollo.
- Fintanto che l’interessato non manifesti l’intenzione di procedere alla ricostruzione nella realtà fisica, il fabbricato, infatti, non esiste più e quindi non può essere percepito come entità “virtualmente” ancora presente, con la conseguenza che le norme urbanistiche all’epoca vigenti (id est. art. 9 del R.U.) trovano corretta applicazione al caso di specie in quanto regolatrici dell’uso del suolo e non in contrasto con la definizione giuridica della ristrutturazione edilizia quale conferitagli ratione temporis nel diritto vivente.
- Legittimamente, pertanto, il Comune di Pietrasanta ha stabilito il limite temporale dei tre anni dall’evento per assentire la ricostruzione, trattandosi di una scelta pianificatoria non in contrasto con la nozione di ristrutturazione vigente nel contesto temporale in cui si è verificato l’evento della demolizione (2010), in cui ancora non operava la modifica poi introdotta all’articolo 3 con il d.l. n. 69/2013.
- In merito a quest’ultimo punto, questo Consiglio ha dato, pertanto, rilievo (v. sentenza n. 515/2023) alle scelte pianificatorie (come appunto quella di cui all’art. 9 del R.U. applicato ratione temporis) che possono essere state operate anche in ordine a questa tipologia d’intervento, in quanto diversamente si consentirebbe di lasciare il regime giuridico di un fondo in una situazione di incertezza giuridica che inciderebbe sulla capacità dell’amministrazione di programmare correttamente l’uso del territorio.
- La tipologia di ristrutturazione che prende in considerazione la novella del 2013, per cui il legame di continuità tra l’edificio preesistente e quello ricostruito è fittizio, poiché frutto di una scelta assunta a posteriori, implica che la volumetria rinveniente dalla demolizione o dal crollo di un edificio si estingue, salvo “rivivere” (ma questo, appunto, reso possibile solo a partire dalla entrata in vigore del d.l. n. 69/2013) nel momento in cui il privato manifesta concretamente, con la presentazione del titolo edilizio, l’intenzione di utilizzarla nuovamente.
- Nel caso di specie, l’intenzione di utilizzare la volumetria proveniente dalla demolizione è stata manifestata ben 6 anni (nel 2016) dopo la demolizione (2010).
- Il diniego, pertanto, trova fondamento sia nella nozione di ristrutturazione ratione temporis vigente all’epoca della demolizione (le due operazioni, demolizione e ricostruzione, attuate in un unico contesto, senza soluzione di continuità, implicando questo che la ricostruzione fosse già programmata al momento della demolizione dell’edificio da ricostruire), sia nella legittimità del presupposto limite temporale per la ricostruzione (tre anni dall’evento/demolizione) stabilito dall’art. 9 delle n.t.a. del R.U., a sua volta espressione della potestà pianificatoria, finalizzata a dare certezza giuridica ai rapporti in ordine alle modalità di utilizzo del suolo.
- In conclusione, per quanto sin qui esposto, l’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto.
- Le spese relative al presente grado di giudizio possono essere compensate a motivo della parziale novità della questione trattata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 settembre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Vincenzo Lopilato, Presidente FF
Silvia Martino, Consigliere
Giuseppe Rotondo, Consigliere, Estensore
Luca Monteferrante, Consigliere
Luigi Furno, Consigliere
|
||
|
||
L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
|
Giuseppe Rotondo |
Vincenzo Lopilato |
|
|
||
|
||
|
||
|
||
|
IL SEGRETARIO