La sentenza n. 9169 del 2024 del Consiglio di Stato, sezione VI, ha affermato l’insussistenza dei presupposti per il rilascio dell’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica e urbanistica, confermando il rigetto di un’istanza riferita alla realizzazione abusiva di un muro di contenimento in pietra, nonché ad opere accessorie di stabilizzazione del terreno, quali la stesura di materiale stabilizzante sulla scarpata. Il Collegio ha ribadito il principio per cui, ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, del D.lgs. n. 42/2004, la sanatoria paesaggistica postuma è subordinata a condizioni tassative e non può essere concessa per interventi che abbiano determinato la creazione di nuove superfici utili o volumi, l’incremento di quelli legittimamente realizzati, né per opere che abbiano prodotto un’alterazione irreversibile dell’assetto originario del territorio tutelato.
Nella fattispecie, il Consiglio di Stato ha ritenuto dirimente il parere negativo espresso dalla Soprintendenza, che ha qualificato la stesura di materiale stabilizzante come realizzazione di una nuova superficie calpestabile, incompatibile con il regime di sanatoria previsto dall’art. 167 del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Tale intervento, alterando in modo significativo il contesto paesaggistico originario e risultando visibile nell’ambito sottoposto a vincolo, confligge con le esigenze di conservazione del bene protetto, comportando un impatto lesivo non sanabile in sede postuma.
La pronuncia si inserisce nell’ambito di una rigorosa applicazione del principio generale di non sanabilità degli abusi paesaggistici, sia formali che sostanziali, salvo i limitati casi previsti dalla norma, quali l’impiego di materiali difformi da quelli prescritti o la realizzazione di interventi qualificabili come manutenzione ordinaria o straordinaria. L’orientamento si allinea a precedenti consolidati (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4936/2021; Sez. IV, n. 3422/2019), evidenziando come la tutela del paesaggio, quale interesse primario di rilevanza costituzionale, imponga una verifica rigorosa delle condizioni di ammissibilità degli accertamenti di compatibilità, in funzione della salvaguardia del valore estetico e culturale dei luoghi sottoposti a vincolo.
Pubblicato il 15/11/2024
- 09169/2024REG.PROV.COLL.
- 10720/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 10720 del 2021, proposto da
– OMISSIS -, rappresentati e difesi dagli avvocati Domenico Maria Arlini e Laura Cefalo, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Laura Cefalo in Roma, via Giunio Bazzoni 3;
contro
Comune di Sacco, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Emilio Forrisi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
Ministero della Cultura, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti
Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), n. 0- OMISSIS -/2021, resa tra le parti, per l’annullamento dei seguenti provvedimenti:
– provvedimento del Comune di Sacco prot. n. 4309 del 27/11/2019, recante il diniego di accertamento di conformità paesaggistica ed urbanistica;
– ordinanza del Comune di Sacco di demolizione e ripristino dello stato dei luoghi n. 1 del 1/2/2021;
– ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Sacco e del Ministero della Cultura;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2024 il Cons. Oreste Mario Caputo;
Nessuno è comparso per le parti costituite;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
- E’ appellata la sentenza in forma semplificata del Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda), n. 0- OMISSIS -/2021, di reiezione del ricorso e motivi aggiunti proposti dai sig.ri – OMISSIS – avverso, rispettivamente, il diniego opposto (n. 4309 del 27.11.2019) dal Comune di Sacco all’istanza d’accertamento di conformità paesaggistica ed urbanistica, e l’ordinanza di demolizione e rispristino dello stato dei luoghi (n. 01 del 01.02.2021) emessa dal medesimo Comune.
- I ricorrenti, comproprietari di terreno sito nel Comune di Sacco, catastalmente identificato al foglio 11, particelle 220, 221 e 526, ricadente in zona agricola E nella zona D del Parco Nazionale del Cilento, hanno realizzato un muro di contenimento in pietra, al fine di stabilizzare la scarpata esistente con la sistemazione della parte superficiale con misto granulometrico ed altre opere di sistemazione e riassetto del terreno, oggetto d’istanza di sanatoria urbanistica e paesaggistica.
Al parere della competente Soprintendenza favorevole con la prescrizione di ridurre l’altezza a minimo 2 m. fuori terra, faceva seguito nel corso del procedimento la verifica del mancato rispetto delle prescrizioni: da cui il primo diniego d’accertamento di conformità, impugnato dai ricorrenti ed annullato con sentenza del TAR, n. 366 del 2019, per violazione dell’art. 10 bis l 241/1990.
Riattivato il procedimento, acquisito il parere (cfr.,7315 del 24.05.2019) negativo dell’Ente Parco, la Soprintendenza ha comunicato i motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza e, di seguito, ha espresso (cfr., n. 3317 del 19.09.2019) parere contrario.
- Il Comune di Sacco, a conclusione del procedimento, ha formalizzato (cfr., 27.11.2019 prot. 4309) il diniego definitivo d’accertamento di conformità.
La motivazione del diniego impugnato elenca le difformità ostative alla sanatoria sintetizzabili nell’altezza dei muri eccedente il limite massimo di mt 2; nell’aumento di superficie utile di mq. 600; nella stesura di terreno stabilizzante anziché coltivato; nell’alterazione delle pendenze del terreno.
- Nei motivi di gravame, i ricorrenti hanno contestato in fatto i rilievi fondanti il diniego impugnato, qualificando le opere come interventi di manutenzione ordinaria suscettibili, ex art. 167 d.lgs. 42/2004, di sanatoria paesaggistica.
- Con sentenza in forma semplificata ex artt. 60 e 74 c.p.a., il Tar “stante la manifesta infondatezza del ricorso principale e dei suoi motivi aggiunti”, ha respinto il gravame.
I giudici di prime cure hanno ritenuto insanabili le opere in contestazione ex art. 167, commi 4 e 5, D.Lgs. 42/2004, “atteso che creano nuovo volume e nuova superficie e, come tali, inibiscono l’operatività dell’art. 167 D.Lgs. 42/2004”.
In fatto, la relazione istruttoria del Comune resistente n. 1217 del 5.04.2019, si sottolinea in sentenza, specifica che le opere in esame vertono in area agricola E del PRG, qualificata precisamente “zona destinata alla conservazione dell’ambiente, per cui non è consentita l’edificazione di nuovi edifici né ampliamenti di quelli esistenti” e dalla visione della documentazione fotografica versata in atti, “emerge chiaramente la consistenza dei manufatti, che, per le loro connotazioni ben visibili sono evidentemente sussumibili nell’alveo categoriale dei nuovi volumi e delle nuove superfici, come tali insuscettibili di sanatoria postuma ex art. 167 D.Lgs.”
- Appellano la sentenza i sig.ri – OMISSIS -. Resistono il Comune di Sacco. E il Ministero della cultura
- All’udienza pubblica del 17 ottobre 2024 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
- Mette conto precisare che tutti i cinque motivi d’appello fondano l’erroneità della sentenza di primo grado denunciando l’illegittimità del provvedimento di diniego di accertamento di conformità paesaggistica ed urbanistica in relazione alla violazione delle stesse norme di cui all’art. 167 d.lgs. 22/1/2004 n. 42 s.m.i., nonché all’art. 31 ess. d.P.R. 6/6/2001 n. 380 s.m.i.
I motivi d’appello si differenziano unicamente per la diversa declinazione in cui è articolato l’errore di giudizio: insufficiente motivazione della sentenza (primo motivo); insufficiente istruttoria (secondo motivo); errata qualificazione delle opere realizzate (terzo motivo); omesso vaglio critico della relazione tecnica depositata in giudizio dal Comune (quarto motivo); omesso riscontro della eseguibilità tecnica del ripristino dei luoghi ordinato dal Comune (quinto motivo).
Il dato di fatto da cui muovono le censure, scrutinate congiuntamente, è che le opere sono state realizzate per salvaguardare l’assetto dei luoghi interessato da eventi sismici di smottamento e esondazione.
In contrario, la relazione tecnica del Comune (d. 8.5.2021) restituisce una realtà di fatto opposta:
il muro di sostegno del piazzale abusivo ha la sola funzione di reggere e mantenere il terreno riportato ed utilizzato per realizzare il piazzale di 600 mq ca., anch’esso abusivo.
Pertanto, le opere realizzate non vanno annoverate tra quelle di presidio del territorio e l’esecuzione dei lavori di ripristino riguardanti parte dei muri di contenimento e dei terrapieni, oltre che il piazzale ricompreso tra i due muri al fine di ristabilire il naturale andamento della scarpata, secondo quanto previsto nella DIA 1926/2011, non pregiudica la stabilità del pendio, né incide sulla sicurezza della SP 11 ma va a ripristinare le condizioni dei luoghi modificate dall’intervento antropico eseguito.
- Il Tar ha correttamente assunto a paradigma di fatto la relazione tecnica comunale confortata da dati e rilievi tecnici oggettivi.
In essa si legge: “E’ stato realizzato un cordolo in cemento, in testa al primo muro di contenimento, non previsto nella DIA del 2011; l’altezza dei muri fuori terra risulta maggiore rispetto a quanto riportato nella DIA del 2011/1926 ed in particolare, per il primo muro era prevista un’altezza fuori terra di m. 2 fuori terra, mentre presenta un’altezza variabile da m. 4,35 a 3,65; per il secondo muro era prevista un’altezza fuori terra di m. 2, mentre presenta un’altezza variabile da m. 4 a 3,15; è stato realizzato un piazzale di contenimento tra il primo ed il secondo muro, non previsto nella DIA del 2011.., di circa mq 600”.
Nello specifico, quanto ai motivi d’appello, la sentenza appellata nella motivazione reca la ratio decidendi, qui condivisa: i commi 4 e 5 dell’art. 167, d.lgs. n. 42/2004 sanciscono, in linea di principio, la regola della non sanabilità ex post degli abusi, sia sostanziali che formali, aventi rilevanza paesaggistica.
L’accertamento postumo di compatibilità paesaggistica è, infatti, concedibile per gli interventi, realizzati in assenza o difformità dell’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; l’impiego di materiali diversi da quelli prescritti dall’autorizzazione paesaggistica; i lavori configurabili come interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi della disciplina edilizia (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 06.02.2019).
L’istruttoria, alla stregua delle acquisizioni documentali acquisite in giudizio di cui s’è dato conto, è esaustiva.
Quanto alla contestata tipologia edilizia delle opere abusive, ai fini dell’accertamento di conformità paesaggistica, l’impatto dell’intervento sull’originario assetto del territorio va verificato per qualsiasi opera edilizia calpestabile che può essere sfruttata per qualunque uso.
A riguardo, è dirimente il parere negativo della Soprintendenza laddove precisa che “la stesura di materiale stabilizzante, al posto del terreno coltivato, si configura come nuova superficie esclusa dalla sanatoria di cui all’art. 167 d.lgs. 42/2004…rilevato che le opere realizzate abusivamente risultano visibili e sono tali da alterare l’impatto del costruito nell’ambito tutelato confliggendo con le esigenze di conservazione dell’area”.
L’area di sedime delle opere, contrariamente al motivo d’appello che denuncia l’assenza di scrutinio sul punto, è ricompresa in zona agricola E del PRG all’interno del perimetro del Piano Paesistico Territoriale che vieta ogni tipo d’intervento che alteri lo stato dei luoghi.
Né, infine, è condivisibile l’affermazione, su cui riposa il motivo d’appello proposto avverso l’ordinanza di demolizione, a mente della quale il ripristino non sarebbe materialmente eseguibile.
I muri di contenimento, come rilevato dalla relazione tecnica, hanno la sola funzione di contenimento dei terrapieni artificiali: non svolgono alcuna funzione di contenimento e messa in sicurezza dell’intera area dal rischio di frane, posto che, come già precisato, gli interventi eseguiti vanno a modificare le pregresse condizioni di equilibrio statico del terreno.
- Conclusivamente, l’appello deve essere respinto.
- Le spese del presente grado di giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e vanno poste a favore del Comune appellato, mentre possono essere compensate nei confronti del Ministero della cultura. Nulla spese nei confronti dell’ Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni, che non si è costituito in giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna i sig.ri – OMISSIS -, in solido tra loro, al pagamento delle spese del grado di giudizio in favore del Comune di Sacco liquidate complessivamente in euro 4000,00 (quattromila) oltre diritti ed accessori di legge. Compensa le spese del giudizio nei confronti del Ministero della cultura e nulla verso l’Ente Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano ed Alburni.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:
Carmine Volpe, Presidente
Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore
Stefano Toschei, Consigliere
Lorenzo Cordi’, Consigliere
Thomas Mathà, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Oreste Mario Caputo |
Carmine Volpe |
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IL SEGRETARIO