Con l’ordinanza n. 28350 del 5 novembre 2024, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno dichiarato inammissibile un ricorso per motivi di giurisdizione, presentato ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost., contro una sentenza del Consiglio di Stato che aveva parzialmente respinto un’impugnazione proposta avverso due sanzioni pecuniarie inflitte dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) per intese restrittive della concorrenza. La società ricorrente contestava la pronuncia del giudice amministrativo sostenendo, con il primo motivo, che la qualificazione dell’atto impugnato come amministrativo, anziché come provvedimento di natura sostanzialmente penale, avesse comportato la mancata applicazione delle garanzie previste dall’art. 6 § 1 CEDU, tra cui il diritto al riesame da parte di un tribunale dotato di giurisdizione piena. Secondo la società, tale erronea qualificazione avrebbe integrato un diniego di giurisdizione. Con il secondo motivo, la ricorrente lamentava l’omessa o insufficiente valutazione del materiale probatorio presentato a propria difesa, ritenendo che il Consiglio di Stato avesse arbitrariamente introdotto una regola processuale inesistente nell’ordinamento, in base alla quale devono essere considerati solo gli elementi di fatto a sostegno dell’esistenza dell’intesa restrittiva, escludendo quelli contrari.
Le Sezioni Unite, nel dichiarare il ricorso inammissibile, hanno ribadito che il diniego di giurisdizione rilevante ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost. si configura esclusivamente in presenza di un eccesso di potere giurisdizionale, inteso come sconfinamento nei limiti esterni della giurisdizione. Questo si verifica quando un giudice speciale afferma la propria giurisdizione invadendo la sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa (cosiddetta invasione), nega la propria giurisdizione sulla base di un erroneo presupposto che escluda la cognizione giurisdizionale in assoluto (cosiddetto arretramento), o si pronuncia su materie attribuite ad altro plesso giurisdizionale, negando o assumendo giurisdizioni non proprie. Tuttavia, non ricorre un diniego di giurisdizione qualora il giudice eserciti la propria funzione giurisdizionale in maniera scorretta, ad esempio adottando interpretazioni erronee o applicando in modo improprio norme sostanziali o processuali.
Richiamando il consolidato orientamento della giurisprudenza, anche costituzionale (Corte cost., sentenza n. 6 del 2018), le Sezioni Unite hanno sottolineato che le violazioni interne al modo di esercizio della giurisdizione non possono essere ricondotte nell’ambito delle questioni di giurisdizione. Pertanto, il mancato puntuale esame delle censure o l’erronea qualificazione del provvedimento non configurano un diniego di giurisdizione, bensì un cattivo esercizio della stessa, non censurabile attraverso il ricorso per cassazione. Allo stesso modo, la contestata insufficienza nella valutazione del materiale probatorio non integra una creazione di regole processuali inesistenti, ma un’erronea applicazione di quelle esistenti.
Le Sezioni Unite hanno inoltre richiamato la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, ricordando che le violazioni del diritto UE commesse da organi di vertice delle magistrature speciali, pur potendo essere rilevanti sotto il profilo della tutela comunitaria, non sono sindacabili dalla Corte di Cassazione attraverso il ricorso ex art. 111, comma 8, Cost. In conclusione, confermando i principi sopra esposti, le Sezioni Unite hanno dichiarato inammissibile il ricorso, confermando la sentenza del Consiglio di Stato (sez. VI, sentenza n. 671 del 19 gennaio 2023) e ribadendo la necessità di distinguere con precisione tra questioni di giurisdizione e violazioni interne di norme processuali o sostanziali.