Con la sentenza n. 29134 del 12 novembre 2024, la Corte di Cassazione, Sez. II, si è pronunciata sulla questione relativa al diritto all’indennizzo per le opere realizzate da un terzo su terreno altrui con materiali propri. In particolare, il ricorso riguardava il termine di decorrenza della prescrizione per il diritto all’indennizzo, in relazione a un edificio prefabbricato installato su un terreno di proprietà altrui senza il consenso esplicito del proprietario, ma con una promessa di donazione da parte di quest’ultimo, mai formalizzata.

Il Tribunale di Tivoli, in primo grado, aveva dichiarato prescritto il diritto all’indennizzo, ma la corte d’appello aveva accolto parzialmente la domanda della ricorrente, condannando i proprietari del fondo. I proprietari, quindi, avevano proposto ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione, nel valutare il ricorso, ha confermato il principio dell’accessione stabilito dall’art. 936 c.c., secondo cui il proprietario del suolo acquisisce la proprietà delle costruzioni fatte su di esso da un terzo con materiali propri, ma ha precisato che tale principio non preclude, in alcuni casi, il riconoscimento del diritto all’indennizzo a favore del terzo.

La Corte ha ribadito che l’art. 936 c.c. riconosce al terzo il diritto all’indennizzo nelle ipotesi in cui le opere siano realizzate senza opposizione del proprietario del fondo e in buona fede, ovvero nel caso in cui il proprietario, venuto a conoscenza delle opere, non eserciti lo ius tollendi entro sei mesi dalla notizia dell’incorporazione. In tale contesto, il proprietario ha la facoltà di scegliere se esercitare il diritto di rimozione dell’opera (ius tollendi) o mantenere le opere, in ogni caso con l’obbligo di corrispondere l’indennizzo.

In particolare, la Corte ha stabilito che il termine di decorrenza della prescrizione per far valere il diritto all’indennizzo non coincide con il momento in cui il bene è rilasciato, ma con il momento in cui il proprietario del fondo non può più esercitare lo ius tollendi. Questo accade, ad esempio, quando decorrono i sei mesi dalla conoscenza delle opere o nel caso di consapevolezza immediata e assenza di opposizione da parte del proprietario. L’obbligo di pagamento dell’indennizzo scatta, quindi, non dal rilascio del bene, ma dal momento in cui il proprietario non può più opporsi all’opera realizzata.

La Corte ha inoltre ribadito che, qualora le opere siano eseguite con la consapevolezza del proprietario e senza sua opposizione, quest’ultimo è obbligato al pagamento dell’indennizzo, anche se il titolo su cui si fonda l’esecuzione delle opere (ad esempio, una concessione non valida) sia nullo. L’indennizzo, dunque, ha origine dal vantaggio economico che l’opera realizzata comporta per il proprietario del fondo, il quale non può esercitare lo ius tollendi a partire dal momento in cui le opere sono definitivamente incorporate nel suo fondo e non può più procedere con la rimozione.

Cass. civ., sez. II, ord.,12 novembre 2024, n. 29134

Rilevato che:

  1. B. S. citò in giudizio B. L. e P. F. onde ottenere la loro condanna al pagamento di un indennizzo di euro 250.000,00, per un prefabbricato da lei sistemato, a sue spese, su un fondo di proprietà dei convenuti, e da essi acquistato per accessione, che, alla presenza di testimoni, avevano dichiarato di volerle donare, e di cui si erano, invece, assicurati il rilascio nel 2012, dopo avere ottenuto la concessione in sanatoria.

Costituitisi in giudizio, B. L. e P. F. eccepirono la prescrizione e, nel merito, l’infondatezza della domanda,

spiegando a loro volta domanda riconvenzionale volta al riconoscimento del risarcimento dei danni derivanti

dall’illecita occupazione del fondo.

Con sentenza n. 974/2019, il Tribunale di Tivoli dichiarò la prescrizione del diritto azionato e rigettò la

domanda riconvenzionale.

Il giudizio di gravame, incardinato dalla medesima B. S., si concluse, nella resistenza di B. L. e P. F., con la

sentenza n. 1151/2024, pubblicata il 19/2/2024, con la quale la Corte d’Appello di Roma accolse parzialmente

l’appello condannando gli appellati al pagamento della somma di € 35.600,00, oltre alle spese processuali.

  1. Contro la predetta sentenza, B. L. e P. F. propongono ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo,

illustrato anche con memoria. B. S. è rimasta invece intimata.

Considerato che:

  1. Con l’unico motivo di ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., perché i giudici di

merito non avevano deciso sulla base delle prove proposte dalle parti. Infatti il diritto della controparte al

pagamento dell’indennizzo per l’incremento di valore del terreno dei ricorrenti era prescritto al momento

della proposizione della relativa domanda, avvenuta il 9/8/2013, posto che la costruzione era stata realizzata

il 29/8/2000 o, comunque, il suo completamento il 31/3/2003. Era poi inammissibile la domanda avente ad

oggetto l’acquisto del fabbricato per accessione da parte di B. L. e P. F. a far data dal 11/1/2008, atteso che la

questione era già stata decisa con la sentenza n. 113C/2011 del 30/9/2011, ormai passata in giudicato, e con la

sentenza n. 55/13 emessa dal Tribunale di Tivoli, che aveva rigettato l’opposizione all’esecuzione intrapresa

da B. S.. Infine, il bene oggetto della controversia aveva costituito oggetto di illecito penale, tant’è che P. F. e

  1. L. avevano presentato, in data 27/2/2004, istanza di concessione edilizia in sanatoria, ottenuta l’1/1/2008,

ed erano stati soggetti a procedimenti penali per tali abusi, sicché nessun indennizzo avrebbe potuto essere

posto a loro carico, essendo il manufatto carente di valore per il fondo in quanto abusivo.

  1. Il motivo è fondato.

L’art. 936 cod. civ. stabilisce, che “quando le piantagioni, costruzioni od opere sono state fatte da un terzo

con suoi materiali, il proprietario del fondo ha diritto di ritenerle o di obbligare colui che le ha fatte a levarle”

(primo comma) e che “se il proprietario preferisce ritenerle deve pagare a sua scelta il valore dei materiali e il

prezzo della manodopera oppure l’aumento di valore recato al fondo”, salvo che dette costruzioni e opere

siano state fatte a sua scienza e senza opposizione o siano state fatte dal terzo in buona fede, restando in tal

caso preclusa la facoltà del proprietario di chiederne la rimozione (quarto comma).

La suddetta disposizione non deroga al principio dell’accessione, in base al quale il proprietario del suolo

acquista la proprietà delle costruzioni fatte su di esso da un terzo con materiali propri, e non riconosce,

quindi, né attribuisce al terzo alcuna possibilità di acquistare la proprietà del suolo sul quale ha

indebitamente costruito, ma gli riconosce soltanto, nelle ipotesi previste dal quarto (opere o costruzioni fatti

dal terzo a scienza e senza opposizione del proprietario del suolo o in buona fede) e dal quinto comma

(decorso di sei mesi dalla notizia dell’incorporazione), la possibilità, rispettivamente, di ottenere l’attribuzione

del valore dei materiali e del prezzo della mano d’opera o dell’aumento di valore arrecato al fondo (diritto

all’indennizzo) e di sottrarsi all’onere di provvedere alla rimozione a sue spese dell’opera eseguita su suolo

altrui (obbligo di ottemperare allo ius tollendi) (Cass., Sez. 2, 15/3/1973, n. 751), mentre al proprietario è data

la facoltà di scegliere tra la ritenzione delle opere e l’esercizio dello ius tollendi entro sei mesi dalla notizia

dell’incorporazione, al fine di non rendere la di lui condizione del tutto dipendente dal fatto più o meno

arbitrario del terzo (Cass., Sez. 2, 20/7/1962, n. 1949), salvo che le opere siano state eseguite a sua scienza e

senza opposizione o in buona fede.

Quest’ultima condizione preclude, infatti, al proprietario il diritto di esercitare lo ius tollendi, imponendogli

dunque il pagamento dell’indennizzo, cui si correla il corrispondente diritto di credito del terzo, sussistente

anche quando questi abbia avuto la disponibilità del fondo e la concessione ad eseguire le opere predette

dal proprietario dello stesso fondo in base a titolo radicalmente nullo (Cass., Sez. 5, 16/1/2019, n. 904; Cass.,

Sez. 2, 20/07/1962, n. 1949).

L’obbligo di pagamento dell’indennizzo posto a carico del proprietario del fondo – da quantificarsi con

riferimento al momento in cui i materiali vengono impiegati e la mano d’opera viene prestata, atteso che è in

questo momento che si verifica da parte del costruttore la perdita e da parte del proprietario del suolo

l’acquisto dei materiali e contestualmente la prestazione e la ricezione dell’attività lavorativa (Cass., Sez. 2,

26/11/1988, n. 6380) -, sorge, dunque, quale effetto dell’avvenuta incorporazione, nel momento in cui il

predetto si trovi nelle condizioni di non poter esercitare lo ius tollendi e, dunque, allo scadere dei sei mesi

dalla conoscenza delle opere ovvero immediatamente in caso di sua consapevolezza e non opposizione,

senza che assuma rilevanza la facoltà, data al terzo, di esercitare il diritto di scelta sulle modalità di

pagamento dello stesso (valore dei materiali e prezzo della mano d’opera, oppure aumento di valore

arrecato al fondo) e senza che incida la mancata dimostrazione, da parte sua, del quantum in relazione ad

entrambi i parametri entro i quali la scelta medesima può operare (sulle modalità di pagamento vedi Cass.

Sez. 2, 08/01/1996, n. 50; Cass., Sez. 2, 18/07/2002, n. 10441).

Posto, dunque, che il proprietario del fondo acquista la proprietà delle costruzioni o piantagioni fin dal

momento in cui esse vengono dal terzo eseguite con materiali propri e si inseriscono e si incorporano nel

suolo e che il diritto di credito all’indennizzo sorge, in capo ad esso, una volta che non possa più essere

esercitato lo ius tollendi, per essere decorsi i sei mesi all’uopo concessi dalla norma o per essere detto diritto

inibito dall’essere state eseguite, le opere considerate, a scienza del proprietario e senza opposizione da

parte sua o in buona fede (Cass., Sez. 5, 16/1/2019, n. 904; Cass., Sez. 2, 20/07/1962, n. 1949), è da questo

momento che decorre il termine prescrizionale per far valere questo diritto e non dal rilascio del bene,

trovando esso titolo nel vantaggio economico che da detta costruzione od opera deriva al proprietario del

fondo (sul titolo del diritto all’indennizzo vedi Cass., Sez. 2, 18/7/2002, n. 10441).

Nel caso in esame, giudici di merito hanno ritenuto di far decorrere il termine dalla data di rilascio del bene,

avvenuto nel 2012, peraltro genericamente valorizzando la prestazione di un consenso, da parte dei

proprietari del terreno, che, in quanto attributivo di un diritto di superficie, tale dovendosi qualificare il diritto

di colui che abbia ottenuto dal proprietario del suolo una concessione ad aedificandum (Cass., Sez. 2,

13/10/1976, n. 3409), avrebbe dovuto rivestire la forma scritta ai sensi dell’art. 1350 cod. civ., costituendo

esso uno ius in re aliena.

Deriva da quanto esposto l’accoglimento della censura, con assorbimento dei restanti rilievi e rinvio per

nuovo esame.

  1. In conclusione, dichiarata la fondatezza della censura, il ricorso deve trovare accoglimento, con

conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa

composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa

composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.