Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 8141 del 10 ottobre 2024, ha ribadito un principio di rilievo in materia di validità degli atti amministrativi, sancendo che l’assenza di una formale sottoscrizione in calce a un provvedimento di rigetto non ne determina di per sé l’invalidità, purché siano presenti elementi sufficienti a identificare la sicura provenienza dell’atto dall’amministrazione. Nel caso di specie, il Collegio ha sottolineato che, sebbene la firma rappresenti lo strumento principale per attribuire giuridicamente e psichicamente l’atto all’agente amministrativo, il suo difetto non implica necessariamente un vizio di legittimità dell’atto, qualora si possa comunque individuare in modo certo l’ente emanante e il funzionario responsabile.

La decisione si fonda sui principi di correttezza e buona fede che devono caratterizzare i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, escludendo che la leggibilità della firma o l’autografia della sottoscrizione possano costituire requisiti essenziali di validità. Il Consiglio di Stato ritiene, infatti, che tali elementi formali debbano essere considerati alla luce dell’interesse pubblico a garantire la certezza del diritto e la stabilità degli atti amministrativi, specialmente laddove la provenienza dell’atto sia comunque desumibile dai dati testuali presenti nel provvedimento o nella documentazione correlata. Nello specifico, è sufficiente che il provvedimento rechi indicazioni esplicite sull’ente competente, sulla qualifica e sull’ufficio del funzionario responsabile, permettendo così di attribuirne con certezza l’origine, senza pregiudicare la validità dell’atto per il solo difetto di sottoscrizione.

Questa interpretazione trova conferma in precedenti giurisprudenziali (Cons. Stato, sez. IV, 7 luglio 2000, n. 4356; Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712), che hanno già affermato come la mancanza della firma non inficia la legittimità dell’atto, a condizione che altri elementi documentali rendano chiara la sua origine amministrativa. La decisione del Consiglio di Stato si richiama anche alla Cassazione (Cass. sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375), la quale ha ribadito la possibilità per l’interessato di ricorrere al giudice per verificare la reale provenienza dell’atto. Tale orientamento valorizza un approccio sostanziale agli atti amministrativi, privilegiando la trasparenza e la riconoscibilità della funzione pubblica rispetto a formalismi non essenziali.

In questo caso, il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del TAR Puglia n. 657/2022, sottolineando come le norme procedurali e i principi generali in materia non siano volti a sancire un’interpretazione formalistica delle irregolarità, ma a garantire che la provenienza e la responsabilità dell’atto siano comunque chiare e riconoscibili, nel rispetto della funzione amministrativa e dei diritti dei cittadini.

Pubblicato il 10/10/2024

  1. 08141/2024REG.PROV.COLL.
  2. 00072/2023 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 72 del 2023, proposto da
-OMISSIS-, rappresentata e difesa dall’avvocato Francesco Nanula, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Barletta, non costituito in giudizio;
Arca Puglia Centrale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Maricla Candeliere, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia n. 00657/2022, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Arca Puglia Centrale;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 ottobre 2024 il Cons. Massimo Santini e uditi per le parti gli avvocati Manula e Candeliere;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. L’odierna appellante chiedeva la assegnazione in regolarizzazione di un alloggio ERP abusivamente occupato.

La domanda veniva rigettata, dal Comune di Barletta, per assenza del “presupposto temporale” ossia l’abusiva occupazione dell’immobile per almeno un triennio precedente alla entrata in vigore della legge regionale n. 10 del 2014.

  1. Il provvedimento di rigetto veniva impugnato dinanzi al TAR Bari il quale rigettava il ricorso della richiedente per le seguenti ragioni:

2.1. Pur in assenza di firma autografa, il provvedimento di rigetto risulta comunque attribuibile alla competente PA;

2.2. Non è stata fornita la benché minima dimostrazione circa la abusiva occupazione dell’alloggio nel triennio precedente alla entrata in vigore della legge regionale n. 10 del 2014.

  1. La sentenza di primo grado formava oggetto di appello per i motivi di seguito indicati:

3.1. Erroneità nella parte in cui non sarebbe stato considerato che alcuna firma digitale sarebbe stata apposta sul gravato provvedimento. In ogni caso, anche a voler ritenere apposta la firma digitale, l’atto non è poi stato trasmesso in via telematica ma soltanto a mezzo del messo notificatore;

3.2. Erroneità per omessa considerazione del difetto di motivazione in capo al provvedimento di rigetto.

  1. Si costituiva in giudizio ARCA Puglia per chiedere il rigetto del gravame.
  2. Alla pubblica udienza del 3 ottobre 2024 le parti rassegnavano le proprie rispettive conclusioni ed il ricorso in appello veniva infine trattenuto in decisione.
  3. Quanto al primo motivo di appello, l’assenza di formale sottoscrizione del provvedimento di rigetto non elide la possibilità di attribuire comunque, all’amministrazione comunale appellata, la effettiva “provenienza” del medesimo atto.

Si veda al riguardo la pacifica giurisprudenza sulla assenza di firma dei provvedimenti tributari o amministrativi in generale secondo cui, più da vicino: “Sebbene la firma apposta in calce ad un provvedimento o ad un atto amministrativo costituisce lo strumento per la sua concreta attribuibilità, psichica e giuridica, all’agente amministrativo che risulta averlo formalmente adottato, è pur vero che la giurisprudenza ha recentemente (e condivisibilmente) osservato, anche in omaggio al più generale principio di correttezza e buona fede cui debbono essere improntati i rapporti tra pubblica amministrazione e cittadino, che non solo la “non leggibilità” della firma, ma anche la stessa autografia della sottoscrizione non possono costituire requisiti di validità dell’atto amministrativo, ove concorrano elementi testuali (indicazione dell’ente competente, qualifica, ufficio di appartenenza del funzionario che ha adottato la determinazione, emergenti anche dal complesso dei documenti che lo accompagnano), che permettono di individuare la sua sicura provenienza (C.d.S., sez. IV, 7 luglio 200, n. 4356; sez. VI, 29 luglio 2009, n. 4712); è stato anche rilevato (Cass. sez. lav., 10 giugno 2009, n. 13375) che l’atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall’amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento dell’effettiva provenienza dell’atto stesso dal soggetto autorizzato a firmarlo” (Cons. Stato, sez. V, 2 gennaio 2024, n.29; Cons. Stato, sez. V, 28 maggio 2012, n. 3119). Elementi questi (indicazione ente competente, qualifica, ufficio, etc.) che nel caso di specie non solo risultano ad una attenta lettura degli atti in contestazione ma che neppure hanno formato oggetto di più specifica contestazione da parte della difesa di parte appellante.

Alla luce dei rilievi sopra evidenziati, il primo motivo di appello deve dunque essere rigettato.

  1. Quanto al secondo motivo di appello, con cui si evidenza l’assenza di motivazione in capo al provvedimento di rigetto, esso risulta generico in quanto l’appellante non ha mai dimostrato idonea documentazione (es. certificato di residenza oppure atti di accertamento per mano di pubblici ufficiali) onde dimostrare l’occupazione a partire almeno dal 2011.

Di contro la difesa di parte appellante ha solo genericamente affermato che: “costituisce un dato di fatto inoppugnabile e incontestabile che il Comune, nell’ambito del provvedimento adottato, abbia omesso di considerare la circostanza in questione” (pag. 11 atto di appello).

Anche dalla estrema genericità della formulazione di tale censura deriva dunque il rigetto, altresì, del secondo motivo di appello,

  1. In conclusione il ricorso in appello è infondato e deve essere rigettato. Con compensazione in ogni caso delle spese di lite stante la peculiarità della esaminata questione.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Presidente

Valerio Perotti, Consigliere

Alberto Urso, Consigliere

Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere

Massimo Santini, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Massimo Santini

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.