Con la sentenza n. 7717 del 23 settembre 2024, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul tema della responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione in ambito di appalti pubblici, concentrandosi in particolare sulla quantificazione del danno risarcibile in caso di violazione dei doveri di buona fede e correttezza nelle trattative precontrattuali. La controversia trae origine dalla decisione di una Stazione Appaltante di revocare la procedura di gara in autotutela, con il conseguente reclamo del partecipante escluso, che lamentava un pregiudizio economico dovuto alla sua legittima aspettativa sull’esito positivo della gara.
Nel decidere la causa, il Consiglio di Stato ha affermato che, in ipotesi di responsabilità precontrattuale della P.A., il risarcimento del danno non può essere rapportato all’utile atteso dalla futura esecuzione del contratto, bensì va commisurato all’interesse contrattuale negativo. Tale interesse comprende il danno emergente, ossia le spese inutilmente sostenute dal partecipante per la preparazione e partecipazione alla procedura, e il lucro cessante, che riguarda le opportunità alternative perdute a causa della fiducia mal riposta nella prosecuzione del negoziato. La ratio alla base di questa quantificazione risiede nel fatto che la responsabilità precontrattuale non implica un danno da inadempimento contrattuale, bensì una lesione della libertà negoziale della parte privata che è stata indotta, a causa della condotta della P.A., a impegnare risorse in una trattativa inutile.
Il Collegio ha richiamato il principio di diritto sancito dall’art. 1337 c.c., che impone anche alla Pubblica Amministrazione un obbligo di buona fede nelle trattative, specificando che, secondo consolidata giurisprudenza, la P.A. non è esente da doveri di correttezza e lealtà, al pari di un soggetto privato, quando opera nella fase precontrattuale (Cons. Stato, Sez. IV, 3 luglio 2023, n. 6441). È stato inoltre ribadito che la responsabilità precontrattuale della P.A. è configurabile non solo nei casi di illegittimità del provvedimento amministrativo di autotutela, come revoca o annullamento degli atti di gara, ma anche laddove la condotta della P.A. si dimostri scorretta, pur non essendo contraria a specifiche norme di diritto pubblico. A tale proposito, il Consiglio di Stato ha richiamato la sentenza della Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 11656 del 12 maggio 2008, che qualifica la responsabilità precontrattuale come una forma di responsabilità da comportamento scorretto, e non da provvedimento, che tutela la libertà di autodeterminazione nelle trattative piuttosto che un interesse legittimo all’aggiudicazione.
La decisione esamina inoltre la particolarità della responsabilità precontrattuale nella fase di project financing, chiarendo che la revoca della dichiarazione di pubblico interesse non costituisce di per sé un fondamento per il risarcimento, salvo che il proponente abbia effettivamente sviluppato un affidamento qualificato e non colpevole sull’avanzamento della procedura. Tale orientamento è stato recentemente confermato dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 7930 del 24 agosto 2023 e dal TAR Molise, Campobasso, sez. I, nella sentenza n. 231 del 9 agosto 2023.
In definitiva, il Consiglio di Stato ha consolidato l’orientamento secondo cui la responsabilità precontrattuale della P.A. trova fondamento nella violazione delle regole di buona fede e correttezza durante le trattative, non derivando dalla legittimità o illegittimità dell’atto amministrativo, ma dalla lesione dell’interesse del privato a non subire un danno derivante da una trattativa gestita senza la dovuta lealtà. La sentenza quindi rappresenta un’ulteriore conferma della tutela dell’affidamento e della libertà negoziale del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione, anche in assenza di un vincolo contrattuale effettivo.
Pubblicato il 23/09/2024
- 07717/2024REG.PROV.COLL.
- 05490/2021 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5490 del 2021, proposto da
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Gaetanino Longobardi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di Oricola, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Camerini, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Milizie n. 1;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo (Sezione Prima) n. 00248/2021, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Oricola;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 marzo 2024 il Cons. Diana Caminiti e uditi per le parti gli avvocati Longobardi e Camerini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.La – OMISSIS -. (d’ora in poi anche “- OMISSIS -” o “la società”) ha interposto appello avverso la sentenza del Tar Abbruzzo, sez. I, 7 maggio 2021 n. 248 che ha dichiarato inammissibile la domanda impugnatoria da essa proposto avverso la Delibera della Giunta Comunale di Oricola n. 23 del 28/03/2019 di revoca/annullamento, in autotutela, della delibera di Giunta Comunale n. 12 del 19/02/2019, avente ad oggetto: Approvazione studio di fattibilità e dichiarazione di pubblico interesse della proposta ex art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016. Per realizzazione tempio crematorio” nonché avverso la deliberazione n. 13 del 29.3.2019 del Consiglio comunale che, in sede di approvazione del piano triennale delle opere pubbliche, ha deliberato lo stralcio del progetto in questione e rigettato il ricorso quanto alla domanda risarcitoria per responsabilità precontrattuale, ovvero in subordine quanto alla richiesta di indennizzo ex art. 21 quinquies l. 241/90.
- Con il ricorso di prime cure la società rappresentava di avere presentato in data 29.8.2018 istanza al Comune di Oricola per la costruzione e gestione, mediante finanza di progetto, di un tempio crematorio nei pressi del cimitero comunale.
2.1. Con deliberazione della Giunta comunale n. 12 del 19.2.2019 il Comune dichiarò l’opera di pubblico interesse, indicando la ricorrente come “soggetto promotore” del progetto, ne approvò lo studio di fattibilità, ai sensi dell’art. 183, comma 15, d.lgs. n. 50/2016, e stabilì di inserirlo nel piano triennale delle opere pubbliche 2019-2021.
2.2. In seguito, senza averne dato preventiva comunicazione alla società, la Giunta comunale, con deliberazione n. 23 del 28.3.3019, dispose la revoca/annullamento in autotutela della deliberazione n. 12 del 19.2.2019; quindi, con deliberazione n. 13 del 29.3.2019, il Consiglio comunale in sede di approvazione del piano triennale delle opere pubbliche deliberò lo stralcio del progetto in questione.
2.3. Entrambe le deliberazioni venivano impugnate innanzi al Tar per l’Abbruzzo con i seguenti motivi di ricorso:
1) Violazione dell’art. 21 octies, c. q, l. n. 242/12991; violazione degli artt. 42 e 48 d.lgs. n. 267/2000; eccesso di potere per sviamento del potere di annullamento; violazione dei criteri di correttezza e buona fede; la deliberazione n. 12 del 19.2.2019, oltre a prospettare una questione d’incompetenza della Giunta comunale, al solo scopo di recedere dalla finanza di progetto, in tesi attorea sarebbe intrinsecamente errata in quanto la variante urbanistica richiesta dal progetto sarebbe necessaria solo nella fase dell’attuabilità dell’opera, successiva all’approvazione del progetto preliminare, riconducibile alla competenza residuale della Giunta;
2) Mancato espletamento di un procedimento volto alla revoca del ricorso alla procedura di project financing; difetto assoluto d’istruttoria; eccesso di potere; sviamento; superamento dei limiti posti alla discrezionalità amministrativa; violazione degli obblighi di correttezza e buona fede, nonché degli artt. 97 Cost., 41 CDUE, l. n. 241/1990, 183, d.lgs. n. 50/2016, 1337 e 1338 cod. civ.; violazione del legittimo affidamento; recesso ad nutum comminato dall’amministrazione.
Il Comune avrebbe illegittimamente ritenuto opportuno, senza alcun preavviso, non proseguire con l’approvazione della variante, in violazione dell’obbligo di collaborazione e dell’affidamento della ricorrente e senza aver condotto alcuna istruttoria; la Giunta, pur volendo ritenere che si fosse posta correttamente la questione di competenza, avrebbe dovuto adoperarsi, stante l’affidamento ingenerato nel promotore, nel sostenere i propri atti dinanzi al Consiglio Comunale, anziché disporne l’annullamento/revoca;
3) Eccesso di potere; contraddittorietà di comportamenti e manifestazioni di volontà dell’ente; difetto di motivazione; incongruità e grave superficialità della stessa; violazione dei principi di logicità e ragionevolezza; il Comune non avrebbe condotto accertamenti istruttori, né allegato circostanze di fatto tali da giustificare il superamento della riconosciuta adeguatezza funzionale e fattibilità del progetto, adducendo deboli giustificazioni, come l’incertezza normativa e la preoccupazione dei cittadini residenti, senza darne alcun riscontro, tanto più che proprio in sede di pubblicazione dello schema del Piano triennale delle opere pubbliche, dal quale il progetto era stato stralciato, si sarebbe presentata l’occasione per assumere le osservazioni dei cittadini.
La ricorrente formulava infine espressa richiesta di risarcimento dei danni in misura pari alle spese sostenute per la redazione del progetto, per la costituzione e gestione del soggetto contraente e per promuovere il giudizio o, in subordine, di liquidazione, in suo favore, dell’indennizzo ex art. 21 quinquies l. n. 241/1990.
- Il giudice di prime cure con la sentenza di epigrafe indicata ha in primo luogo dichiarato inammissibile la domanda impugnatoria, accogliendo sul punto l’eccezione formulata dal Comune, sulla base della considerazione che la deliberazione della Giunta comunale del 19.2.2019 di approvazione dello studio di fattibilità, dichiarazione di pubblico interesse e inserimento del progetto proposto dalla ricorrente nel piano triennale delle opere pubbliche 2019-2021 fosse un mero atto interno, al pari della deliberazione a contrarre di cui all’art. 32 comma 2 del d.lgs. n. 50/2016, che, in più, individua gli elementi essenziali del contratto e segna quindi una fase più avanzata rispetto all’approvazione dello stato di fattibilità di una qualsivoglia proposta progettuale e del suo inserimento nel piano triennale delle opere pubbliche, previa verifica della sostenibilità finanziaria.
Pertanto, secondo il giudice di prime cure, se non era impugnabile detta deliberazione, a maggior ragione non lo sarebbe stato l’atto di ritiro, per cui alla società ricorrente, in qualità di promotore, non poteva spettare una posizione differenziata e qualificata.
3.1. Sulla base dei medesimi rilievi è stata esclusa la legittimazione a richiedere l’indennizzo.
3.2. Il primo giudice ha infine rigettato la domanda di risarcimento per responsabilità precontrattuale, posto che la ricorrente non poteva avere maturato alcun affidamento alla conclusione del contratto.
- Con il presente atto di appello la – OMISSIS – formula le seguenti censure avverso la sentenza di prime cure:
1) Violazione dell’art. 183, c. 15, d. lgs. n. 50/2016. Errato e travisato inquadramento giuridico della fattispecie, in particolare con riferimento alla delibera della G. C. di dichiarazione di pubblico interesse della proposta di finanza di progetto e di attribuzione della qualifica di “promotore”. Mancata considerazione dei dati giurisprudenziali. Motivazione apodittica e gravemente insufficiente. Mancato esame dei motivi di ricorso. Conseguente omissione di pronuncia sugli stessi in violazione dell’art. 112 c.p.c..
In tesi di parte appellante la sentenza sarebbe erronea nella parte in cui aveva dichiarato inammissibile l’azione impugnatoria, qualificando l’atto impugnato e l’atto ritirato come meri atti interni non attribuitivi di alcuna posizione di vantaggio alla società.
2) Mancata ed errata considerazione dei dati giurisprudenziali. Violazione dell’art. 183, c. 15, d. lgs. n. 50/2016. Violazione e travisamento del principio di diritto posto dall’Ad. plen. del Consiglio di Stato con decisione n. 5/2018. Motivazione apodittica ed insufficiente. Violazione degli art. 1337 e 1338 che proteggono il legittimo affidamento nei rapporti con l’amministrazione, nonché degli artt. 97 Cost. e 41 CDUE.
Secondo parte appellante erroneo sarebbe anche il capo della sentenza che aveva escluso la responsabilità precontrattuale, essendosi in presenza di un recesso ad nutum.
Sarebbe peraltro evidente, in tesi attorea, l’affidamento ingenerato dall’Amministrazione nel promotore, laddove il primo giudice aveva anche omesso di considerare la violazione dell’art. 1338 c.c. denunciata con il ricorso.
3) Errata considerazione dei danni subiti dalla società appellante
La sentenza di prime cure avrebbe erroneamente affermato che i danni non sarebbero conseguenza del recesso ex abrupto del Comune dalla procedura di finanza di progetto avendo – OMISSIS – s.r.l. “assunto liberamente” i costi diretti alla presentazione della propria proposta, aderendo ad una tesi insostenibile secondo cui l’affidamento del “promotore” non fruirebbe di alcuna protezione.
- La – OMISSIS – ha pertanto riproposto nella presente sede i motivi del ricorso di prime cure non esaminati dal Tar.
- Il comune appellato con la memoria di discussione ha eccepito l’improcedibilità dell’appello sulla base del rilievo che la Regione Abruzzo aveva nelle more promulgato la l.r. 29.11.2021 n. 23 che all’articolo 36 ha sostituito l’interamente l’articolo 30 della l.r. 41/2012, per cui l’opera di cui è causa, in forza della normativa sopravvenuta, non sarebbe comunque realizzabile.
Ha comunque insistito per il rigetto dell’appello.
- La – OMISSIS – con la memoria di replica ha controdedotto alle osservazioni del Comune, assumendo come la normativa sopravvenuta non potrebbe avere alcun rilievo rispetto al presente giudizio.
7.1. Il Comune a sua volta ha replicato agli assunti difensivi dell’appellante, con memoria depositata in data 29 febbraio 2024.
- La causa è stata trattenuta in decisione all’esito dell’udienza pubblica del 21 marzo 2024.
DIRITTO
- Viene in decisione l’appello avverso la sentenza in epigrafe indicata che, nel rigettare il ricorso proposto dall’odierna appellante, ha più specificatamente dichiarato inammissibile la domanda impugnatoria avanzata avverso la delibera di Giunta comunale di annullamento/revoca della precedente delibera di approvazione dello studio di fattibilità e dichiarazione di pubblico interesse della proposta ex art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016, relativa alla realizzazione di tempio crematorio e rigettato la domanda risarcitoria e la domanda, presentata n via subordinata, di indennizzo, ex art. 21 quinquies l. 241/90.
- In limine litis va precisato come la memoria di replica depositata dal Comune debba intendersi irrituale, in quanto, non avendo parte appellante depositato memoria di discussione diretta, ma la sola memoria di replica, era inibita la presentazione di una memoria di replica alla memoria di replica della controparte, ferma restando la possibilità di esperire difese orali all’udienza di discussione.
10.1. Ed invero, come evincibile expressis verbis dal dato normativo di cui all’art. 73 comma 1 c.p.a., le memorie di replica sono previste per il precipuo ed esclusivo fine di consentire di rispondere alle deduzioni contenute nei documenti e nelle nuove memorie depositate dalle controparti in vista dell’udienza di discussione; ne segue che la replica è inammissibile qualora la controparte non abbia depositato documenti e memoria conclusionale e che il suo oggetto deve restare, comunque, contenuto nei limiti della funzione di contrasto alle difese svolte nella memoria conclusionale avversaria [ex multis Cons. Stato, sez. VI, 23 giugno 2021, n. 4815; in senso analogo Cons. Stato, Sez. III, 28 marzo 2022, n. 2249 secondo cui, ai sensi del comma 1 dell’art. 73, del d.lgs. n. 104/2010, le repliche sono ammissibili solo ove conseguenti ad atti della parte resistente ulteriori rispetto a quelli di risposta alle iniziative processuali della parte ricorrente stessa (ricorso, motivi aggiunti, memorie, documenti, ecc.); la ratio legis si individua, oltre che nel garantire la par condicio delle parti e l’elusione dei termini per la presentazione delle memorie, nell’impedire la proliferazione degli atti difensivi].
- Sempre in via preliminare va delibata l’eccezione di improcedibilità dell’appello formulata dal Comune, da intendersi peraltro circoscritta all’azione impugnatoria, che il giudice di prime cure ha considerato inammissibile.
11.1. Ed invero, secondo quanto affermato dal Consiglio di Stato, nella sua più autorevole composizione (Ad. Plen. n. 4 del 2011 e ribadito da Ad. Plen. n. 10 del 2011 e n. 9 del 2014), la norma positiva enucleabile dal combinato disposto degli artt. 76, co. 4, c.p.a. e 276, co. 2, c.p.c., impone di risolvere le questioni processuali e di merito secondo l’ordine logico loro proprio, assumendo come prioritaria la definizione di quelle di rito rispetto a quelle di merito, e fra le prime la priorità dell’accertamento della ricorrenza dei presupposti processuali (nell’ordine, giurisdizione, competenza, capacità delle parti, ius postulandi, ricevibilità, contraddittorio, estinzione), rispetto alle condizioni dell’azione
- L’eccezione è fondata, per cui alcuna utilità potrebbe riceverebbe parte appellante dall’accoglimento dei motivi esperiti avverso il decisum di prime cure che si è pronunciato sull’inammissibilità dell’azione impugnatoria.
- Ed invero, come allegato dal Comune di Oricola, la Regione Abruzzo ha promulgato la l.r.. 29.11.2021 n. 23 che all’articolo 36 ha sostituito l’interamente l’articolo 30 della l.r. 41/2012 prevedendo:
– al comma secondo, l’adozione del Piano Regionale di Coordinamento per il rilascio delle autorizzazioni regionali alla realizzazione dei crematori da parte dei Comuni secondo i criteri di cui all’articolo 6 della legge 130/2001, tenuto conto delle caratteristiche territoriali, della tutela della salute pubblica e della compatibilità ambientale, in conformità al d.lgs. 152/2006;
– al terzo comma, le indicazioni che il redigendo Piano Regionale deve contenere ai fini della definizione dei parametri indicati nei successivi punti sub lettere a-h;
– al quarto comma, che “nelle more dell’approvazione del Piano di cui al comma 2 è sospesa la realizzazione di nuovi impianti crematori”
Le norme introdotte dalla sopra indicata legge regionale hanno pertanto sospeso la possibilità di realizzazione di qualsiasi nuovo impianto crematorio, vanificando, l’accoglimento della domanda impugnatoria, posto che l’annullamento dei provvedimenti comunali impugnati in prime cure giammai consentirebbe la realizzazione del nuovo impianto, non avendo la – OMISSIS – mai ottenuto il rilascio dei titoli e delle autorizzazioni occorrenti.
Peraltro in data 23.12.2022 la Regione Abruzzo ha proceduto all’approvazione del Piano Regionale di coordinamento per il rilascio delle autorizzazioni alla realizzazione dei forni crematori prevedendo, al punto 4, primo comma, che “i crematori devono essere costruiti all’interno dei cimiteri, come previsto dall’art. 78 del D.P.R, 10.9.1990 n. 285…”.
La proposta della soc. – OMISSIS – prevede la realizzazione, mediante procedura di accordo di programma, di un forno crematorio in area esterna al cimitero di Oricola, per cui il procedimento attivato dalla presentazione della proposta non potrebbe condurre alla realizzazione dell’impianto, non potendo lo stesso essere posizionato, come nella proposta presentata, all’esterno del cimitero di Oricola.
Il Piano Regionale approvato ha disciplinato, infatti, al punto 16, il procedimento autorizzativo per la realizzazione dei forni crematori solo “all’interno del recinto del cimitero”.
13.1. Né appare condivisibile, quanto alla domanda impugnatoria, la prospettazione di parte appellante secondo la quale la normativa sopravvenuta non potrebbe avere riflessi nel presente giudizio, dovendosi avere riguardo alla normativa vigente all’epoca della presentazione del progetto.
13.1.1. Costituisce infatti ius receptum il principio secondo il quale la P.A., in sede di rinnovazione di qualunque atto amministrativo annullato in via giurisdizionale, è chiamata ad effettuare un nuovo apprezzamento delle esigenze da soddisfare, prendendo in debita considerazione anche i nuovi elementi di fatto e di diritto eventualmente sopravvenuti al provvedimento impugnato nelle more del giudizio; unico sbarramento temporale al potere – dovere delle amministrazioni di prendere in conto le sopravvenienze normative consiste, secondo la giurisprudenza ormai pacifica – nella notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso passata in giudicato e della quale si deve dare esecuzione cristallizzando al momento della notificazione la regola del caso concreto, pur in presenza di nuove norme contrastanti, le quali restano inopponibili al vincitore in giudizio che chiede l’ottemperanza al giudicato (Cons. Stato, sez. V, 06 novembre 2015, n. 5079 con richiamo alla fondamentale pronuncia dell’Adunanza plenaria 8 gennaio 1986 n. 1).
Ed invero l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 8 gennaio 1986, n. 1, con riguardo alla questione della disciplina urbanistica da far valere in occasione del riesame di un progetto edilizio, conseguente all’annullamento del diniego di concessione o alla declaratoria del silenzio-rifiuto serbato dall’Amministrazione, nella ricerca di un punto di giusto equilibrio tra due principi di eguale valore (da un lato, effettività della tutela giurisdizionale, dalla quale discende la regola che gli effetti della sentenza risalgono al momento della proposizione della domanda; dall’altro, la preminenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati, seppur meritevoli di tutela), ha ritenuto che restano inopponibili all’interessato le modificazioni della normativa di piano intervenute successivamente alla notificazione della sentenza di accoglimento del ricorso; a tale stregua deve riconoscersi al privato, che abbia ottenuto un giudicato favorevole, un interesse pretensivo a che l’Amministrazione valuti la possibilità di introdurre una variante che recuperi, in tutto o in parte, l’originaria previsione del piano abrogato, posta a suo tempo a base della domanda di concessione. L’insegnamento dell’Adunanza Plenaria ha trovato poi seguito nella successiva giurisprudenza (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 24 dicembre 2008, n. 6535).
- Peraltro, pur volendo superare l’improcedibilità prospettata nella presente sede e l’inammissibilità rilevata dal primo giudice, occorre rilevare come l’accoglimento del primo motivo di appello, con cui si contesta la sentenza nel punto in cui ha dichiarato inammissibile l’azione impugnatoria, giammai potrebbe condurre nel merito all’accoglimento dell’appello, posto che le censure formulate in prime cure e riproposte nella presente sede sono comunque infondate.
14.1. Giova al riguardo richiamare la giurisprudenza in materia secondo la quale nel giudizio amministrativo l’art. 101 c.p.a. – che fa riferimento a “specifiche censure contro i capi della sentenza gravata” – deve essere coordinato con il principio di effetto devolutivo dell’appello, in base al quale è rimessa al giudice di secondo grado la completa cognizione del rapporto controverso, con integrazione e/o correzione – ove necessario – della motivazione della sentenza appellata e senza che rilevino, pertanto, le eventuali carenze motivazionali di quest’ultima (ex multis Cons. Stato, sez. V, 26 aprile 2021, n. 3308; Id. 17 gennaio 2020, n. 430; Id. 13 febbraio 2017, n. 609).
- Onde delibere dette censure, va in primis qualificata la delibera di G.M. n. 23 del 28/03/2019, formalmente di revoca/annullamento della delibera di Giunta Comunale n. 12 del 19/02/2019 avente ad oggetto: “Approvazione studio di fattibilità e dichiarazione di pubblico interesse della proposta ex art. 183, comma 15, del d.lgs. n. 50/2016. Per realizzazione tempio crematorio”.
15.1.Ed invero da un’attenta disamina della delibera de qua si evince come la stessa vada qualificata quale atto di annullamento in autotutela per incompetenza della Giunta, mentre le ragioni di inopportunità che apparentemente potrebbero indurre a configurare un atto di tipo misto, ovvero in parte di revoca, sono a sostegno, non già dell’atto di ritiro in autotutela – rispetto al quale rilievo assorbente assume l’accertata incompetenza della Giunta, non potendo la stessa esprimere valutazione di opportunità su un atto non rientrante nella sua competenza – ma della decisione della medesima Giunta di non richiedere al Consiglio Comunale l’approvazione della variante e dunque di esercitare la sua azione propulsiva in merito, oltre che a sostegno dell’interesse pubblico all’adozione dell’atto di autotutela ex art. 21 nonies comma 1 l. 241/90, nella formulazione applicabile ratione termporis, secondo cui “Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell’articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell’articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall’organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all’adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo”.
15.2. Infatti nella medesima Delibera è expressis verbis affermato: “Considerato che:
-l’opera oggetto dell’iniziativa progettuale presentata non è prevista nel vigente Piano Regolatore Generale di questo Comune e né nella variante generale al P.R.G. adottata con delibera di Consiglio Comunale n. 18 del 28/04/2004 e che, pertanto, l’approvazione del progetto è subordinata all’approvazione in Consiglio Comunale della variante urbanistica al P.R.G. diretta alla realizzazione dell’opera, previa acquisizione dei pareri di legge e imposizione del vincolo preordinato all’esproprio sulle aree interessate dalla realizzazione dell’opera;
– ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. n. 267/2000 è il Consiglio Comunale ad essere competente sulla programmazione triennale e sull’elenco annuale delle opere pubbliche, anche in merito all’adozione di pareri, trattandosi, in linea di principio, comunque di un’attività generale e di indirizzo; rispetto a tale ambito non è prevista nessuna eccezione in termini di competenza residuale nella titolarità di altri organi;
– in assenza di una norma specifica di attribuzione alla Giunta, ogni valutazione destinata ad incidere sulla programmazione in termini di inserimento di specifici interventi, non potrà che appartenere in via esclusiva al Consiglio Comunale, quale titolare della funzione generale de qua (Tar Campania, Napoli, sentenza 24 ottobre 2016, n. 4838);
– la competenza del Consiglio Comunale va riconosciuta anche riguardo al potere di approvazione del progetto preliminare su cui si fonda la proposta di finanza di progetto, essendo così stabilito dall’art. 19 del citato D.P.R. n. 327/2001 (testo unico in materia di espropriazioni per pubblica utilità), rispetto a varianti allo strumento urbanistico;
Rilevata pertanto una incompetenza della Giunta in ordine all’apprezzamento in sé della proposta di finanza di progetto ai sensi dell’art. 183, d.lgs. 50/2016, trattandosi anche da tale punto di vista di una prerogativa consiliare;
Dato atto, pertanto, che sussistono i presupposti per procedere all’annullamento con efficacia ex tunc della delibera di Giunta Comunale n. 12 del 19/02/2019, in ragione dell’incompetenza della Giunta a dichiarare l’interesse pubblico della proposta, vista la necessità di procedere ad una variante al piano urbanistico generale, previa acquisizione di tutti i pareri di legge e dell’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio”.
15.3. Alcun rilievo pertanto può attribuirsi alle ragioni di inopportunità successivamente esposte (“…Ritenuto che nell’incertezza della normativa attuale, in assenza del provvedimento interministeriale disciplinante la materia e in mancanza di una disciplina a livello regionale non è opportuno proseguire nel complesso iter diretto all’approvazione della variante del piano regolatore…) addotte non già a sostegno dell’atto di ritiro – da qualificarsi quale atto di annullamento ex art. 21 nonies l. 241/90 – ma della volontà di non “proseguire nel complesso iter diretto all’approvazione della variante al piano regolatore generale”, oltre che a sostegno della comparazione degli opposti interessi da effettuarsi in sede di adozione dell’atto di autotutela, come confermato dal richiamo, nella parte finale del provvedimento, alla circostanza che le superiori motivazioni corrispondono all’interesse pubblico che induce l’Amministrazione a procedere alla revoca/annullamento (revoca da intendersi riferita non già al ritiro dell’atto di approvazione del progetto – viziato geneticamente per l’accertata incompetenza della Giunta – ma alla decisione di non promuovere l’approvazione del progetto dinnanzi al competente Consiglio).
15.4. Ciò posto, i primi due motivi del ricorso di prime cure, riproposti in questa sede si appalesano in parte infondati – quanto all’annullamento della Delibera di G.M. per vizio di incompetenza – ed in parte inammissibili, quanto alla decisione di “non proseguire nel complesso iter diretto all’approvazione della variante al piano regolatore generale”, venendo in rilievo sicuramente in parte qua il carattere endoprocedimentale riscontrato dal primo giudice.
- Le doglianze formulate sul provvedimento per la parte relativa al ritiro in autotutela, ex art. 21 nonies l. 241/90, sono per contro destituite di fondamento, stante l’incompetenza della Giunta sia in ordine all’approvazione della variante, sia in ordine all’inserimento dell’opera nel Piano triennale delle Opere pubbliche.
Rileva in questi termini il recente precedente di questa Sezione di cui alla sentenza n. 9298 del 2023, da cui non vi è ragione di discostarsi, che ha affrontato analoga fattispecie in sede di appello avverso la sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. I, 24 ottobre 2016, n. 4838, richiamata nel provvedimento oggetto dell’odierna impugnativa, seppure relativa a fattispecie regolata dall’art. 153 comma 19 d.lgs. 163/2006.
16.1.Ed invero la previsione dell’art. 183 comma 15 d.lgs. 50/2016 vigente ratione temporis, in termini analoghi alla previsione di cui al previgente art. 153 comma 19 d.lgs. 163/2006, prevede che “Gli operatori economici possono presentare alle amministrazioni aggiudicatrici proposte relative alla realizzazione in concessione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, incluse le strutture dedicate alla nautica da diporto, non presenti negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente. La proposta contiene un progetto di fattibilità, una bozza di convenzione, il piano economico-finanziario asseverato da uno dei soggetti di cui al comma 9, primo periodo, e la specificazione delle caratteristiche del servizio e della gestione. (…) L’amministrazione aggiudicatrice valuta, entro il termine perentorio di tre mesi, la fattibilità della proposta. A tal fine l’amministrazione aggiudicatrice può invitare il proponente ad apportare al progetto di fattibilità le modifiche necessarie per la sua approvazione. Se il proponente non apporta le modifiche richieste, la proposta non può essere valutata positivamente. Il progetto di fattibilità eventualmente modificato, è inserito negli strumenti di programmazione approvati dall’amministrazione aggiudicatrice sulla base della normativa vigente ed è posto in approvazione con le modalità previste per l’approvazione di progetti; il proponente è tenuto ad apportare le eventuali ulteriori modifiche chieste in sede di approvazione del progetto; in difetto, il progetto si intende non approvato. Il progetto di fattibilità approvato è posto a base di gara, alla quale è invitato il proponente”.
16.2. Il rinvio operato dal comma de quo alla normativa vigente in ordine all’approvazione dei progetti ed in ordine all’inserimento negli atti di programmazione, deve condurre all’affermazione della competenza del Consiglio comunale, tanto per l’approvazione del progetto in variante allo strumento urbanistico, quanto per l’inserimento nel programma triennale delle opere pubbliche.
Infatti l’art. 19 del d.p.r. n. 327 del 2001, ai primi due commi, stabilisce che «quando l’opera da realizzare non risulta conforme alle previsioni urbanistiche, la variante al piano regolatore può essere disposta con le forme di cui all’ articolo 10, comma 1, ovvero con le modalità di cui ai commi seguenti. L’approvazione del progetto preliminare o definitivo da parte del Consiglio comunale, costituisce adozione della variante allo strumento urbanistico».
L’art. 42 del d.lgs. 8 agosto 2000 n. 267, al secondo comma, lettera b), affida alla competenza del Consiglio l’approvazione dei «programmi, relazioni previsionali e programmatiche, piani finanziari, programmi triennali e elenco annuale dei lavori pubblici, bilanci annuali e pluriennali e relative variazioni, rendiconto, piani territoriali ed urbanistici, programmi annuali e pluriennali per la loro attuazione, eventuali deroghe ad essi, pareri da rendere per dette materie».
Dal disposto dell’art. 183 comma 15 d.lgs. 50 del 2016 si evince peraltro che il modello procedimentale consta di tre fasi: la prima, inerente alla presentazione della proposta di finanza di progetto, in cui si esprime la valutazione dell’interesse pubblico ovvero di fattibilità, di competenza dell’organo di governo; la seconda, ove avviene l’inserimento dell’opera dichiarata di pubblico interesse nella programmazione triennale, con sottoposizione ad approvazione del progetto di fattibilità, sempre a cura dell’organo di governo; l’ultima, che prevede l’indizione di una gara sul progetto approvato, rimessa alla competenza della dirigenza.
Con riferimento all’individuazione dell’organo di governo competente per le prime due fasi, va condivisa la prospettazione della delibera impugnata, dell’individuazione dello stesso nel Consiglio comunale; infatti, ai sensi della normativa del T.U.E.L. è l’assemblea ad essere competente sulla programmazione triennale e sull’elenco annuale delle opere pubbliche, anche in merito all’adozione di pareri, trattandosi, in linea di principio, comunque di un’attività generale e di indirizzo; rispetto a tale ambito non è prevista nessuna eccezione in termini di competenza nella titolarità di altri organi; quindi, in assenza di una norma specifica di attribuzione alla Giunta, ogni valutazione destinata ad incidere sulla programmazione in termini di inserimento di specifici interventi, non potrà che appartenere in via esclusiva al Consiglio comunale, quale titolare della funzione generale de qua.
La competenza del Consiglio va inoltre riconosciuta anche riguardo al potere di approvazione del progetto di fattibilità su cui si fonda la proposta di finanza di progetto, essendo così stabilito dall’art. 19 del citato d.p.r. n. 327/2001 rispetto a varianti allo strumento urbanistico (ex multis Cons. Stato, sez. IV, 22 settembre 2014 n. 4762 secondo cui “fatta salva l’ipotesi nella quale l’approvazione del progetto comporti una variante allo strumento urbanistico (di competenza del Consiglio Comunale), ai sensi del combinato disposto degli artt. 42 e 48, d.lgs. 18 agosto n. 2000 n. 267 l’approvazione di un progetto preliminare di opera pubblica appartiene alla competenza generale residuale della Giunta municipale (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 19 giugno 2014 n.3116; Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 gennaio 2006 n. 295)”.
- Pertanto essendo l’annullamento fondato sull’evidente incompetenza della Giunta all’approvazione del progetto di fattibilità in variante allo strumento urbanistico e all’inserimento dell’opera nella programmazione triennale, ed avendo in ogni caso la Giunta provveduto alla comparazione degli opposti interessi, nel valutare le ragioni di inopportunità alla prosecuzione dell’iter presso il competente Consiglio comunale, evidenziando la prevalenza dell’interesse pubblico all’adozione dell’atto di autotutela rispetto all’interesse del privato, anche in ragione dell’ampia discrezionalità amministrativa in ordine all’individuazione dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera, non rileva la circostanza che la società non abbia avuto la comunicazione di cui all’art. 7 l. 241/90, avendo l’Amministrazione dimostrato in giudizio che il procedimento non avrebbe potuto avere esiti diversi, ex art. 21 octies comma 2 seconda parte l. 241/90, applicabile come noto anche agli atti discrezionali.
Va peraltro rilevato come gli appellanti, nemmeno in questa sede, hanno comunque dimostrato in maniera convincente di poter essere in grado di suggerire elementi di conoscenza e di giudizio ulteriori e comunque tali da far determinare in modo diverso le scelte dell’Amministrazione procedente (arg. ex Cons. Stato, sez. IV, 15 maggio 2008, n. 2249; Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2010, n. 885; Cons. Stato, sez. VI, 04 dicembre 2009, n. 760; Cons. Stato, sez. VI, 20 maggio 2009, n. 3086).
17.1 Peraltro la circostanza che la valutazione di inopportunità (alla prosecuzione dell’iter) e di prevalenza dell’intesse pubblico (all’adozione dell’atto di autotutela) al riguardo formulata – ancorata in primis all’assenza di una normativa in materia – fosse fondata è dimostrata dal rilievo che la normativa e gli atti di programmazione regionali sopravvenuti, quali innanzi ricostruiti, hanno escluso la possibilità di realizzazione dell’opera de qua.
- Parimenti infondato si appalesa il terzo motivo del ricorso di prime cure, relativo all’asserito difetto di istruttoria, in quanto il Comune aveva chiaramente esplicitato le ragioni – nessuna delle quali necessitante di istruttoria tecnica, trattandosi di questioni di diritto – per le quali la delibera n. 12/2019 andava annullata
- Ciò posto, quanto alla domanda impugnatoria, può procedersi alla disamina della domanda risarcitoria, di cui al secondo e terzo motivo di appello, riferite alle spese sostenute, nelle quali peraltro parte appellante ricomprende erroneamente anche le spese di giudizio, che non attengono al risarcimento, ma alla liquidazione delle spese di lite avuto riguardo all’ordinaria regola della soccombenza, salva la ricorrenza dei presupposti per la loro compensazione.
Come correttamente ritenuto dal primo giudice “Quanto alle spese sopportate per l’introduzione del giudizio è evidente che non si tratta di perdite economiche conseguenti a scelte negoziali indotte da un affidamento suscitato dal Comune, in quanto la ricorrente se ne è fatta carico per accertare la responsabilità del Comune di Oricola, non già durante le “trattative” e in vista della stipula della convenzione, (Cass., Sez. III, 3 dicembre 2015 n. 24525; Cass., Sez. II, 10 marzo 2016 n. 4718), ma in un momento successivo alla decisione del Comune di adottare i provvedimenti impugnati”.
19.1. La domanda relativa al risarcimento delle spese sostenute, nei limiti pertanto dell’interesse negativo, va per contro attratta nell’ambito della responsabilità precontrattuale.
19.2. La stessa si appalesa infondata, dovendo condividersi la conclusione cui è pervenuto il primo giudice circa l’impossibilità di ravvisare rispetto alla fattispecie de qua un legittimo affidamento, sia pure integrando la motivazione nel senso di seguito precisato.
19.3. E’ opportuno premettere che le regole di legittimità amministrativa e quelle di correttezza operano su piani distinti ed autonomi e non si pongono in rapporto di pregiudizialità, nella misura in cui l’accertamento di validità degli atti impugnati non implica che l’amministrazione sia esente da responsabilità per danni nondimeno subiti dal privato destinatario degli stessi (sul punto, Cons. Stato, Sez. V, 12 luglio 2021, n. 5274).
Come noto infatti l’ordinaria possibilità che una responsabilità da comportamento scorretto sussista, nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento, è stata a più riprese affermata dalla giurisprudenza, che ha precisato come la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nelle procedure di affidamento di contratti pubblici è una responsabilità da comportamento illecito, che spesso non si traduce in provvedimenti illegittimi, ma presuppone la legittimità dei provvedimenti che scandiscono la parabola procedurale.
È altresì d’uopo delineare, in tale ambito, l’operatività del principio del legittimo affidamento, il quale viene in rilievo in presenza di una attività della pubblica amministrazione che fa sorgere nel destinatario l’aspettativa al mantenimento nel tempo del rapporto giuridico sorto a seguito di tale attività.
Si ritiene al riguardo doveroso richiamare sull’argomento le coordinate ermeneutiche sapientemente fornite da Ad. Plen. Cons. Stato con la nota sentenza del 29 novembre 2021, n. 21.
Pur sorto nei rapporti di diritto civile, con lo scopo di tutelare la buona fede ragionevolmente riposta sull’esistenza di una situazione apparentemente corrispondente a quella reale, da altri creata, l’affidamento è ormai considerato principio generale e canone ordinatore anche dei comportamenti delle parti coinvolte nei rapporti di diritto amministrativo, ovvero quelli che si instaurano nell’esercizio del potere pubblico.
A conferma della descritta evoluzione si pone l’art. 1, comma 2-bis, della legge 7 agosto 1990, n. 241, il quale dispone che: “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”. Tale regola di carattere generale dell’agire pubblicistico trae fondamento nei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento (art. 97, comma 2, Cost.) e appare ontologicamente connaturata ad una concezione del procedimento amministrativo inteso quale luogo di composizione del conflitto tra l’interesse pubblico primario e gli altri interessi, pubblici e privati, coinvolti nell’esercizio del primo.
Concepito in questi termini, il dovere di collaborazione e di comportarsi secondo buona fede ha quindi portata bilaterale, perché sorge nell’ambito di una relazione che, sebbene asimmetrica, è nondimeno partecipata; da ciò discende l’assoggettamento dell’agire amministrativo al generale dovere di «comportarsi secondo buona fede» enunciato dall’art. 1337 del codice civile (come chiarito dalla stessa Adunanza plenaria nelle precedenti pronunce del 5 settembre 2005, n. 6, e del 4 maggio 2018, n. 5).
Dirimente diviene l’individuazione del momento idoneo a far sorgere il legittimo affidamento, nonché delle circostanze e delle caratteristiche connaturanti lo stesso, temi su cui si sofferma il citato arresto dell’Adunanza Plenaria.
Quanto al primo aspetto, va evidenziato come la Corte di Cassazione abbia ripetutamente affermato la responsabilità precontrattuale della stazione appaltante “a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante” (ex multiis, Cass. Civ. Sez. I, n. 15260 del 03/07/2014).
La stessa giurisprudenza amministrativa, rifuggendo da rigidi apriorismi e con criterio elastico, ha negato rilievo dirompente all’intervenuta aggiudicazione definitiva, laddove ha in particolare stabilito che la verifica di un affidamento ragionevole sulla conclusione positiva della procedura di gara va svolta in concreto, in ragione del fatto che “il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura al momento della revoca, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo di responsabilità precontrattuale” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 luglio 2013, n. 3831).
Ed ancora, “nell’ambito di una procedura ad evidenza pubblica i presupposti della responsabilità precontrattuale dell’amministrazione pubblica consistono nell’affidamento ingenerato dal comportamento della stazione appaltante sull’esito positivo della procedura e nell’assenza di una giusta causa per l’inattesa interruzione delle trattative” (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 26/04/2021, n. 3303).
Per quanto attiene all’individuazione degli elementi costitutivi dell’affidamento legittimo, occorre tener conto che ciascun contraente assume un ineliminabile margine di rischio in ordine alla conclusione del contratto e che, perciò, non può confidare sempre e comunque sulla positiva conclusione delle trattative, dovendo le stesse aver raggiunto quantomeno un grado di sviluppo tale da rendere ragionevolmente prevedibile la stipula del contratto.
Individuato un primo requisito dell’affidamento tutelabile nella sua ragionevolezza e nel correlato carattere ingiustificato del recesso, (o dell’annullamento d’ufficio della procedura) il secondo consiste nel carattere colposo della condotta dell’amministrazione, nel senso che la violazione del dovere di correttezza e buona fede deve esserle imputabile quanto meno a colpa, secondo le regole generali valevoli in materia di responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cod. civ. (in questo senso, ancora Ad. plen., 4 maggio 2018, n. 5). A sua volta non deve essere inficiato da colpa l’affidamento del concorrente.
In conclusione, secondo il principio di diritto affermato nell’esaminata pronuncia, “nel settore delle procedure di affidamento di contratti pubblici la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione, derivante dalla violazione imputabile a sua colpa dei canoni generali di correttezza e buona fede, postula che il concorrente abbia maturato un ragionevole affidamento nella stipula del contratto, da valutare in relazione al grado di sviluppo della procedura, e che questo affidamento non sia a sua volta inficiato da colpa”.
Quanto alle poste risarcibili a titolo di responsabilità precontrattuale deve rammentarsi, come più volte affermato dalla giurisprudenza, che “nel caso in cui venga affermata la sussistenza di una responsabilità precontrattuale, il risarcimento del danno va parametrato non già all’utile che il contraente avrebbe potuto ritrarre dall’esecuzione del rapporto, ma al cosiddetto interesse contrattuale negativo, che copre sia il danno emergente (ossia le spese inutilmente sostenute per dare corso alle trattative), sia il lucro cessante (da intendersi come mancato guadagno rispetto a eventuali altre occasioni di contratto che la parte alleghi di avere perduto” (cfr. tra le altre, Cons. Stato, Sez. V, 12/07/2021, n. 5274).
- Ciò posto deve escludersi rispetto alla fattispecie de qua la presenza di un legittimo affidamento, alla stregua dei seguenti rilievi:
- a) in ragione della circostanza che la delibera giuntale era affetta da un macroscopico vizio di incompetenza, facilmente riscontrabile da un operatore del settore, per cui al riguardo non rileva in ogni caso il richiamo operato da parte appellante all’art. 1338 c.c, in quanto semmai vi fosse stato un affidamento lo stesso non poteva dirsi incolpevole;
- b) avuto riguardo alla circostanza la proposta collocava l’intervento su area destinata dal PRG ad usi diversi da quello cimiteriale, ed era quindi inattuabile senza la preventiva adozione di variante urbanistica e di variante al programma triennale delle OO.PP. , di spettanza del Consiglio comunale;
- c) per la circostanza che si è intervenuti in autotutela a breve distanza di tempo dalla delibera giuntale che ne era oggetto, ovvero a distanza di poco più di un mese, e quando la procedura competitiva non era stata neppure avviata, essendosi arrestato il procedimento alla fase di approvazione del progetto.
- Parimenti infondata, avuto riguardo alla qualificazione dell’atto di ritiro quale atto di annullamento, ex art. 21 nonies l. 241/90, è la richiesta subordinata, formulata in prime cure e riproposta in questa sede riferita all’indennizzo previsto dall’art. 21 quinquies l. 241/90 che presuppone la qualificazione dell’atto di ritiro quale atto di revoca, qualificazione da escludersi per le ragioni innanzi indicate, dovendo l’asserita revoca intendersi riferita ad un atto endoprocedimentale.
- Per le evidenziate ragioni l’appello va respinto.
- Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna parte appellante alla refusione delle spese di lite in favore del Comune di Oricola, liquidate in complessivi euro 5.000,00 (cinquemila/00), oltre oneri accessori, come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di Consiglio del giorno 21 marzo 2024 con l’intervento dei magistrati:
Diego Sabatino, Presidente
Valerio Perotti, Consigliere
Alberto Urso, Consigliere
Giuseppina Luciana Barreca, Consigliere
Diana Caminiti, Consigliere, Estensore
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Diana Caminiti |
Diego Sabatino |
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IL SEGRETARIO