La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza C-126/23 del 7 novembre 2024, ha chiarito l’interpretazione dell’art. 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE, che riguarda l’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti. La pronuncia è intervenuta a seguito del rinvio pregiudiziale presentato dal Tribunale ordinario di Venezia, il quale chiedeva di valutare la compatibilità del sistema italiano di indennizzo, previsto dall’art. 11 della legge n. 122 del 2016 (come modificata), con i requisiti della direttiva europea. Tale norma, infatti, limita il diritto all’indennizzo di alcuni familiari della vittima di omicidio subordinandolo all’assenza di altri aventi diritto: in particolare, i genitori della vittima possono accedervi solo in assenza di coniuge superstite e di figli, mentre i fratelli e le sorelle ne hanno diritto solo se mancano anche i genitori. La normativa italiana è stata giudicata restrittiva per la sua struttura a cascata, che esclude alcuni familiari dal beneficio del risarcimento per il solo fatto dell’esistenza di altre categorie di aventi diritto, senza considerare elementi rilevanti come la convivenza o il carico economico a carico della vittima.

La Corte ha ribadito che, sebbene gli Stati membri abbiano margini di discrezionalità nel recepimento delle direttive, la direttiva 2004/80/CE impone loro di istituire un sistema di indennizzo adeguato e non simbolico, capace di includere non solo le vittime dirette ma anche i familiari stretti che subiscano, come “vittime indirette”, le conseguenze del reato. È stato quindi sottolineato che l’indennizzo deve essere commisurato alla gravità delle sofferenze subite dai familiari, contribuendo al ristoro del danno materiale e morale e basandosi su parametri concreti per garantire una compensazione equa. Secondo la Corte, la disposizione italiana, escludendo taluni familiari dal diritto all’indennizzo senza una valutazione delle specifiche condizioni, contrasta con il concetto di “indennizzo equo e adeguato” richiesto dalla direttiva, poiché non considera il grado di dipendenza economica o l’impatto derivato dalla perdita per questi familiari. Pertanto, la Corte ha dichiarato che un sistema di indennizzo come quello italiano, che subordina automaticamente il diritto all’indennizzo alla presenza di determinati aventi diritto senza ulteriori criteri di merito, non può essere ritenuto conforme ai requisiti previsti dal diritto europeo per l’equità dell’indennizzo.

SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

7 novembre 2024 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Cooperazione giudiziaria in materia penale – Direttiva 2004/80/CE – Articolo 12, paragrafo 2 – Sistemi nazionali di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti – Delitto di omicidio – Indennizzo dei familiari stretti della persona deceduta – Nozione di “vittime” – Sistema di indennizzo “a cascata” secondo l’ordine di devoluzione successoria – Normativa nazionale che esclude il versamento di un indennizzo agli altri familiari della persona deceduta in presenza di figli e di un coniuge superstite – Genitori, fratelli e sorelle della persona deceduta – Indennizzo “equo ed adeguato”»

Nella causa C‑126/23 [Burdene] ( 1 ),

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Tribunale Ordinario di Venezia (Italia), con ordinanza del 15 febbraio 2023, pervenuta in cancelleria il 2 marzo 2023, nel procedimento

UD,

QO,

VU,

LO,

CA

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri,

Ministero dell’Interno,

LA CORTE (Quinta Sezione),

Composta da I. Jarukaitis, presidente della Quarta Sezione, facente funzione di presidente della Quinta Sezione, D. Gratsias ed E. Regan (relatore), giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: C. Di Bella, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 21 febbraio 2024,

considerate le osservazioni presentate:

per QO e UD, da G. Sicchiero, avvocato;

per LO e VU, da M.G. Bergamo, F. Sicchiero e G. Sicchiero, avvocati;

per CA, da E. Pertile e G. Sicchiero, avvocati;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da E. De Bonis, S. Fiorentino e G. Palatiello, avvocati dello Stato;

per la Commissione europea, da E. Montaguti e S. Noë, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza dell’8 maggio 2024,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato (GU 2004, L 261, pag. 15), nonché degli articoli 20 e 21, dell’articolo 33, paragrafo 1, e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, i genitori, la sorella e i figli della vittima di un omicidio e, dall’altro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia) e il Ministero dell’Interno (Italia) in merito all’indennizzo da parte dello Stato italiano, a causa dell’insolvenza dell’autore di tale omicidio, del danno da essi subito per il fatto commesso da quest’ultimo.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Decisione quadro 2001/220/GAI

3

Ai sensi dell’articolo 1 della decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (GU 2001, L 82, pag. 1), intitolato «Definizioni»:

«Ai fini della presente decisione quadro s’intende per:

a)

“vittima”: la persona fisica che ha subito un pregiudizio, anche fisico o mentale, sofferenze psichiche, danni materiali causati direttamente da atti o omissioni che costituiscono una violazione del diritto penale di uno Stato membro;

(…)».

Direttiva 2004/80

4

I considerando 5 e 10 della direttiva 2004/80 sono così formulati:

«(5)

Il 15 marzo 2001 il Consiglio ha adottato la decisione quadro 2001/220/GAI (…). Questa decisione, basata sul titolo VI del trattato sull’Unione europea, consente alle vittime di chiedere un risarcimento da parte dell’autore del reato nell’ambito del procedimento penale.

(…)

(10)

Le vittime di reato, in molti casi, non possono ottenere un risarcimento dall’autore del reato, in quanto questi può non possedere le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni, oppure può non essere identificato o perseguito».

5

L’articolo 12 di tale direttiva, contenuto nel capo II della stessa, intitolato «Sistemi di indennizzo nazionali», così dispone:

«1.   Le disposizioni della presente direttiva riguardanti l’accesso all’indennizzo nelle situazioni transfrontaliere si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori.

2.   Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime».

6

All’interno del capo III di detta direttiva, intitolato «Disposizioni di attuazione», l’articolo 17 di quest’ultima, a sua volta intitolato «Disposizioni più favorevoli», così dispone:

«La presente direttiva non preclude agli Stati membri la possibilità di introdurre o mantenere, nella misura in cui siano compatibili con la presente direttiva:

a)

disposizioni più favorevoli a vantaggio delle vittime di reato o di qualsiasi altra persona lesa da un reato;

b)

disposizioni volte a indennizzare le vittime di reati commessi al di fuori del loro territorio o qualsiasi altra persona lesa da tali reati, fatte salve le condizioni che gli Stati membri possono specificare a tal fine».

Direttiva 2012/29/UE

7

L’articolo 2 della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI (GU 2012, L 315, pag. 57), prevede quanto segue:

«1.   Ai fini della presente direttiva si intende per:

a)

“vittima”:

i)

una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato;

ii)

un familiare di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che ha subito un danno in conseguenza della morte di tale persona;

b)

“familiare”: il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima;

(…)

2.   Gli Stati membri possono stabilire procedure:

a)

per limitare il numero di familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti dalla presente direttiva tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso; e

b)

in relazione al paragrafo 1, lettera a), punto ii), per determinare quali familiari hanno la priorità in relazione all’esercizio dei diritti previsti dalla presente direttiva».

Diritto italiano

8

L’articolo 11 della legge del 7 luglio 2016, n. 122 – Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2015-2016 (GURI n. 158, dell’8 luglio 2016), come modificata dall’articolo 6 della legge del 20 novembre 2017, n. 167 e dall’articolo 1, commi da 593 a 596, della legge del 30 dicembre 2018, n. 145 (in prosieguo: la «legge n. 122/2016»), così dispone:

«1.   Fatte salve le provvidenze in favore delle vittime di determinati reati previste da altre disposizioni di legge, se più favorevoli, è riconosciuto il diritto all’indennizzo a carico dello Stato alla vittima di un reato doloso commesso con violenza alla persona e comunque del reato di cui all’articolo 603-bis del codice penale, ad eccezione dei reati di cui agli articoli 581 e 582, salvo che ricorrano le circostanze aggravanti previste dall’articolo 583 del codice penale.

2.   L’indennizzo per i delitti di omicidio, violenza sessuale o lesione personale gravissima, ai sensi dell’articolo 583, secondo comma, del codice penale (…), è erogato in favore della vittima o degli aventi diritto indicati al comma 2-bis nella misura determinata dal decreto di cui al comma 3. Per i delitti diversi da quelli di cui al primo periodo, l’indennizzo è corrisposto per la rifusione delle spese mediche e assistenziali.

2-bis.   In caso di morte della vittima in conseguenza del reato, l’indennizzo è corrisposto in favore del coniuge superstite e dei figli; in mancanza del coniuge e dei figli, l’indennizzo spetta ai genitori e, in mancanza dei genitori, ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto. (…)

2-ter.   Nel caso di concorso di aventi diritto, l’indennizzo è ripartito secondo le quote previste dalle disposizioni del libro secondo, titolo II, del codice civile.

3.   Con decreto del Ministro dell’interno [Italia] e del Ministro della giustizia [Italia], di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze [Italia], da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono determinati gli importi dell’indennizzo, comunque nei limiti delle disponibilità del [Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, delle richieste estorsive, dell’usura e dei reati intenzionali violenti (Italia) (in prosieguo: il “Fondo di solidarietà”)] di cui all’articolo 14, assicurando un maggior ristoro alle vittime dei reati di violenza sessuale e di omicidio e, in particolare, ai figli della vittima in caso di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa».

9

Adottato in attuazione dell’articolo 11, comma 3, della legge n. 122/2016, l’articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto ministeriale del 22 novembre 2019 – Determinazione degli importi dell’indennizzo alle vittime dei reati intenzionali violenti (GURI n. 18, del 23 gennaio 2020, pag. 9; in prosieguo: il «decreto ministeriale di attuazione»), prevede quanto segue:

«per il delitto di omicidio commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa, nell’importo fisso di euro 60000 esclusivamente in favore dei figli della vittima».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

10

Con sentenza del 18 settembre 2018, il Tribunale di Padova (Italia) ha condannato l’autore dell’omicidio della sua ex compagna, commesso in Italia, a una pena detentiva di 30 anni e gli ha ingiunto di versare una provvisionale ai familiari della vittima che si erano costituiti parte civile. Sono stati così assegnati EUR 400000 a ciascuno dei due figli, EUR 120000 al padre, alla madre e alla sorella nonché EUR 30000 al coniuge superstite, da cui era separata ma non divorziata.

11

Conformemente alla normativa nazionale, poiché l’autore dell’omicidio era privo di beni e redditi ed era stato ammesso al gratuito patrocinio, lo Stato italiano ha versato, a ognuno dei due figli soltanto, un indennizzo dell’importo di EUR 20000 ciascuno, mentre al coniuge separato è stato riconosciuto un indennizzo dell’importo di EUR 16666,66.

12

Il 1o febbraio 2022 i ricorrenti nel procedimento principale, ossia i genitori, la sorella e i figli della vittima, ritenendo che la legge n. 122/2016 avesse introdotto, in violazione della direttiva 2004/80, importanti limitazioni quanto al pagamento degli indennizzi alle vittime di reati intenzionali violenti, hanno adito il Tribunale Ordinario di Venezia (Italia), giudice del rinvio.

13

Le loro domande sono dirette, previa disapplicazione del decreto ministeriale di attuazione siccome illegittimo, a determinare gli importi da versare loro a titolo di indennizzo, in ragione del loro grado di parentela con la vittima dell’omicidio, in modo «equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, tenendo conto – previa detrazione, per quanto riguarda i figli della vittima, dell’importo già loro versato – della quantificazione del danno operata dalla sentenza di condanna dell’autore dell’omicidio, e ciò anche se il Fondo di solidarietà non disponga delle risorse finanziarie necessarie. In subordine, i ricorrenti chiedono la condanna della Presidenza del Consiglio dei ministri, in rappresentanza dello Stato italiano, al pagamento delle medesime somme a titolo di risarcimento del danno subito a causa dell’attuazione infedele della direttiva 2004/80, in particolare del suo articolo 12.

14

In primo luogo, i ricorrenti nel procedimento principale sostengono che la limitazione stabilita dall’articolo 11, paragrafo 2 bis, della legge n. 122/2016 – che prevede il riconoscimento dell’indennizzo ai genitori della vittima soltanto in assenza di un coniuge superstite e di figli, e ai fratelli e alle sorelle soltanto in assenza di persone appartenenti alle categorie precedentemente menzionate – viola l’obbligo di indennizzo previsto all’articolo 12 della direttiva 2004/80, in quanto detta norma designa, tra le persone lese alle quali è astrattamente riconosciuto il diritto all’indennizzo, quelle che devono essere concretamente indennizzate, in modo arbitrario e svincolato da parametri equi ed adeguati alla fattispecie. Inoltre, nel caso di specie, l’indennizzo sarebbe stato concesso anche al coniuge superstite della vittima dell’omicidio, dalla quale egli era separato dal 2006, ossia da ben undici anni dalla sua morte. Il diritto all’indennizzo sarebbe quindi riconosciuto ancorché il legame affettivo si sia chiaramente allentato fino ad essere quasi insussistente.

15

In secondo luogo, i ricorrenti nel procedimento principale sostengono che l’importo di EUR 20000 concesso ai figli della vittima di un omicidio in applicazione del decreto ministeriale di attuazione, corrispondente al 5% dell’importo provvisorio concesso con decisione giudiziaria, non sembra conforme a quanto stabilito dalla Corte al punto 69 della sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri (C‑129/19, EU:C:2020:566), secondo la quale un risarcimento forfettario concesso sulla base di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, per essere qualificato come «equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, deve rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito.

16

In terzo luogo, i ricorrenti nel procedimento principale ritengono che la normativa nazionale sia illegittima anche nella parte in cui subordina il versamento dell’indennizzo alla condizione che lo Stato abbia accantonato i fondi necessari per accordarlo, il che sarebbe in contrasto con il considerando 10 della direttiva 2004/80.

17

Le autorità italiane sottolineano che l’importo dell’indennizzo per quanto riguarda la situazione dei figli è stato fissato nel rigoroso rispetto delle disposizioni vigenti, tenendo conto dei mezzi di sussistenza del coniuge superstite. Esse ricordano altresì che, dopo aver indicato, al punto 58 della sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri (C‑129/19, EU:C:2020:566), che gli Stati membri dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda la fissazione dell’importo dell’indennizzo di cui all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, la Corte ha considerato, ai punti 65 e 69 di tale sentenza, che tale disposizione non osta a un indennizzo forfettario delle vittime, ma esige soltanto che tale indennizzo sia «equo ed adeguato», il che implica che esso rappresenti un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito dalla vittima.

18

Il giudice del rinvio ritiene che, al fine di valutare la fondatezza della domanda di risarcimento danni di cui è investito, fondata sull’errata trasposizione della direttiva 2004/80, occorra, in via preliminare, stabilire se la normativa nazionale, quale risulta dall’articolo 11, commi 2 bis, 2 ter e 3, della legge n. 122/2016, sia conforme al diritto dell’Unione.

19

Tale giudice rileva che detta normativa nazionale, che subordina la corresponsione dell’indennizzo – anche laddove una sentenza definitiva stabilisca, a favore di taluni familiari, un diritto al risarcimento dei danni da essi subiti e il relativo importo –, per quanto riguarda i genitori della vittima del delitto di omicidio, all’assenza di coniuge superstite e di figli della vittima e, per quanto riguarda la sorella o il fratello della vittima, all’assenza del padre e della madre, purché essi coabitassero con la vittima e fossero a suo carico nel momento in cui il reato è stato commesso, trascura l’aspetto non patrimoniale della sofferenza connessa alla perdita violenta della vittima.

20

Peraltro, per quanto riguarda il coniuge superstite e i figli, detto giudice osserva che l’entità del danno subito non è stata presa in considerazione. Infatti, nel caso di specie, non si sarebbe attribuita alcuna importanza al fatto che il coniuge superstite fosse separato dalla vittima da un certo tempo, essendo stata prevista una mera ripartizione dell’indennizzo sulla base delle disposizioni in materia di successione, subordinatamente alla capienza del Fondo di solidarietà. Non si terrebbe quindi conto, in violazione della sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri (C‑129/19, EU:C:2020:566), della gravità delle conseguenze dell’atto per le vittime. Inoltre, l’indennizzo a favore dei figli sarebbe stato fissato ad un importo largamente corrispondente a quello riconosciuto al coniuge superstite, che sarebbe sproporzionato rispetto all’importo della provvisionale fissata nell’ambito del procedimento penale e non terrebbe conto di nessuno dei parametri comunemente applicati in tema di perdita del rapporto parentale, quali l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, con la possibilità di applicare correttivi sull’importo finale in ragione della particolarità della situazione. Pertanto, l’importo riconosciuto ai figli nel caso di specie non potrebbe essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

21

In tali circostanze, il Tribunale Ordinario di Venezia ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a fronte della previsione dell’articolo 11, comma 2 bis, della 1egge n. 122/2016, che subordina la corresponsione dell’indennizzo ai genitori ed alla sorella della vittima di omicidio, alla mancanza di coniuge e figli della vittima stessa, pur in presenza di una sentenza passata in giudicato che quantifica anche a loro favore il diritto al risarcimento del danno ponendolo a carico dell’autore del reato:

se la corresponsione dell’indennizzo stabilito in favore dei genitori e della sorella di una vittima dei reati intenzionali violenti, nel caso [di] omicidio, dall’articolo 11, comma 2 bis, della [legge n. 122/2016], essendo subordinata all’assenza di figli e coniuge della vittima (quanto ai genitori) ed all’assenza dei genitori (nell’ipotesi di fratelli o sorelle), risulti conforme a quanto prescritto dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 nonché agli articoli 20 (uguaglianza), 21 (non discriminazione), 33 comma 1 (protezione della famiglia), 47 (Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale) della Carta dei diritti fondamentali dell’[U]nione [e]uropea ed articolo 1 prot. 12 della [Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] (non discriminazione);

2)

riferita al limite alla corresponsione dell’indennizzo:

se la condizione posta alla erogazione dell’indennizzo prevista nell’articolo 11, comma 3, della [legge n. 122/2016] consistente nelle parole “comunque nei limiti delle disponibilità del [Fondo di solidarietà]”, senza che alcuna norma imponga allo Stato italiano l’accantonamento di somme concretamente idonee a corrispondere gli indennizzi, anche determinate su base statistica ed in ogni caso risultanti concretamente idonee ad indennizzare in tempi ragionevoli gli aventi diritto, possa reputarsi “indennizzo equo ed adeguato delle vittime” in attuazione di quanto prescritto dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80».

Sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni

22

Il governo italiano si interroga sulla competenza della Corte e sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali, sulla base del rilievo che la controversia principale riguarderebbe una situazione che non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/80. Infatti, il giudice del rinvio non avrebbe esaminato la qualità di «vittime», ai sensi della direttiva 2004/80, dei ricorrenti nel procedimento principale. Orbene, nel contesto di tale direttiva, la nozione di «vittime» dovrebbe essere intesa nel senso che designa unicamente la persona direttamente lesa da un reato intenzionale violento. Pertanto, la normativa nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, nella misura in cui estende la nozione di «vittime» a taluni familiari stretti della vittima di un omicidio, rientrerebbe nella competenza esclusiva degli Stati membri.

23

Peraltro, il governo italiano e la Commissione europea ritengono che la seconda questione sia irricevibile. Infatti, l’ordinanza di rinvio non conterrebbe alcun elemento che consenta di stabilire se la condizione relativa alla disponibilità finanziaria del Fondo di solidarietà prevista dal diritto nazionale abbia inciso sulla determinazione degli importi dell’indennizzo da esso forfettariamente fissati. Inoltre, sebbene il giudice del rinvio ritenga che l’importo dell’indennizzo concesso, nel caso di specie, ai figli della vittima dell’omicidio sia insufficiente, esso non avrebbe fornito alcun elemento a sostegno di tale valutazione né avrebbe chiesto alla Corte di pronunciarsi su tale punto.

24

Per quanto riguarda, in primo luogo, la competenza della Corte a rispondere alle questioni pregiudiziali, occorre ricordare che, conformemente all’articolo 267 TFUE, la Corte è competente a interpretare gli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione.

25

In tali circostanze, poiché le due questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio vertono sull’interpretazione della direttiva 2004/80, in particolare dell’articolo 12, paragrafo 2, di quest’ultima, la Corte è competente a rispondere a tali questioni.

26

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la ricevibilità di tali questioni, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza consolidata, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto che esso individua sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, godono di una presunzione di rilevanza. Il rigetto, da parte della Corte, di una domanda proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora appaia in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora la questione sia di tipo ipotetico o, ancora, qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere in modo utile alle questioni che le sono sottoposte (sentenza dell’11 aprile 2024, Sozialministeriumservice, C‑116/23, EU:C:2024:292, punto 29 e giurisprudenza citata).

27

Per quanto concerne la prima questione, è sufficiente constatare che la questione se, in caso di omicidio, la nozione di «vittime», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, debba poter includere i familiari stretti della persona deceduta a causa di un reato intenzionale violento attiene al merito della questione sollevata e non alla sua ricevibilità.

28

Per quanto riguarda la seconda questione, occorre rammentare che con essa il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro la quale prevede che l’indennizzo concesso da quest’ultimo alla vittima di reati intenzionali violenti sia versato a quest’ultima nei limiti di un massimale risultante dalla dotazione finanziaria assegnata da tale Stato membro a un fondo speciale istituito a tal fine.

29

Orbene, occorre constatare che non risulta né dall’ordinanza di rinvio né dalle osservazioni presentate alla Corte che tale massimale abbia esercitato una qualsivoglia incidenza sull’importo degli indennizzi concessi, nella controversia principale, dallo Stato italiano. Inoltre, sebbene, come risulta dal punto 20 della presente sentenza, il giudice del rinvio abbia rilevato, in tale ordinanza, che l’importo dell’indennizzo concesso, nel caso di specie, ai figli della persona deceduta non è, a suo avviso, sufficiente a costituire un indennizzo «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, esso non ha sottoposto alla Corte, come correttamente osservato dalla Commissione, alcuna questione pregiudiziale a tale proposito. Inoltre, tale giudice non ha fornito alcun elemento di diritto nazionale che consenta di comprendere ulteriormente le modalità di funzionamento del fondo speciale da esso istituito.

30

In tali circostanze si deve dichiarare che la seconda questione è ipotetica e, pertanto, irricevibile.

31

Occorre pertanto rispondere unicamente alla prima questione.

Sulla prima questione

32

Con la sua prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di quest’ultima e quello dei fratelli e delle sorelle di tale persona all’assenza dei genitori.

33

Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, tutti gli Stati membri sono tenuti a provvedere a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime.

34

Come risulta dalla sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri (C‑129/19, EU:C:2020:566, punti da 41 a 45 e 52), tale disposizione impone quindi a ciascuno Stato membro l’obbligo di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime di qualsiasi reato intenzionale violento commesso nel suo territorio, a prescindere dal fatto che tali vittime si trovino o meno in una situazione transfrontaliera, e ciò affinché gli Stati membri possano conformarsi ai loro obblighi relativi all’accesso all’indennizzo in quest’ultima situazione, come risultanti da tale direttiva, nella misura in cui, ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, di quest’ultima, le disposizioni riguardanti l’accesso all’indennizzo in una situazione transfrontaliera «si applicano sulla base dei sistemi degli Stati membri in materia di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori».

35

Al fine di rispondere alla questione posta, occorre anzitutto stabilire se, in caso di omicidio, le «vittime» di reati intenzionali violenti a vantaggio delle quali gli Stati membri devono istituire, in forza dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, un sistema nazionale di indennizzo, includano, oltre alla persona deceduta a causa di tali reati, i familiari stretti di quest’ultima, quali i genitori nonché i fratelli e le sorelle, e poi, in caso affermativo, se si possa ritenere che un sistema nazionale di indennizzo «a cascata», secondo l’ordine di devoluzione successoria, come quello evocato al punto 32 della presente sentenza, garantisca a tali vittime un indennizzo «equo ed adeguato», ai sensi di tale disposizione.

36

Per quanto riguarda, in primo luogo, la nozione di «vittime», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, poiché né tale disposizione né tale direttiva contengono una definizione di tale nozione e detta disposizione non opera alcun rinvio ai diritti nazionali per quanto riguarda il significato da attribuirle, detta nozione, volta a determinare i beneficiari dei sistemi nazionali di indennizzo delle vittime di reati intenzionali, dev’essere considerata una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme nel territorio di quest’ultima conformemente al significato abituale del termine in questione nel linguaggio corrente, tenendo conto degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui esso fa parte e del contesto in cui è utilizzato (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, KRI, C‑323/22, EU:C:2023:641, punto 46 e giurisprudenza citata).

37

Per quanto attiene, in primo luogo, al significato abituale del termine «vittime» nel linguaggio corrente, si deve constatare che esso può essere inteso nel senso che si riferisce sia alle persone che hanno subito esse stesse reati intenzionali violenti, nella loro qualità di vittime dirette, sia ai familiari stretti di queste ultime quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di tali reati, in qualità di vittime indirette.

38

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obiettivo perseguito dall’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, occorre ricordare che tale disposizione mira a garantire al cittadino dell’Unione il diritto di ottenere un indennizzo equo ed adeguato per le lesioni subite nel territorio dello Stato membro nel quale si trova, imponendo a ciascuno Stato membro di dotarsi di un sistema di indennizzo delle vittime per ogni reato intenzionale violento commesso sul proprio territorio (v., in tal senso, sentenza dell’11 ottobre 2016, Commissione/Italia, C‑601/14, EU:C:2016:759, punto 45).

39

Sebbene gli Stati membri dispongano, in linea di principio, della competenza a precisare la portata della nozione di reati intenzionali violenti nel loro diritto interno, tale competenza non li autorizza tuttavia a limitare, salvo privare l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 del suo effetto utile, il campo di applicazione del sistema di indennizzo delle vittime, di cui gli Stati membri si devono dotare in conformità di tale direttiva, soltanto ad alcuni dei reati intenzionali violenti rientranti in tale nozione (v., in tal senso, sentenza dell’11 ottobre 2016, Commissione/Italia, C‑601/14, EU:C:2016:759, punto 46).

40

Orbene, occorre constatare che, se la nozione di «vittime», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, dovesse essere interpretata, come sostiene il governo italiano, nel senso che essa include esclusivamente nell’ambito di applicazione ratione personae di tale disposizione le vittime dirette dei reati intenzionali violenti, i reati rientranti in tale nozione che hanno portato alla morte della persona che li ha subiti non rientrerebbero nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta disposizione, in violazione del suo obiettivo.

41

Infatti, secondo l’interpretazione dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 difesa dal governo italiano, in caso di omicidio, lo Stato membro interessato non sarebbe tenuto a versare alcun indennizzo a titolo del sistema nazionale di indennizzo che tale disposizione gli impone di istituire, poiché, in tal caso, essendo deceduta l’unica «vittima» del reato intenzionale violento, nessun’altra persona, come, in particolare, il coniuge superstite o i figli, dovrebbe, in linea di principio, essere indennizzata in questa stessa qualità.

42

Questa interpretazione equivarrebbe a privare l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 della parte essenziale del suo effetto utile, in quanto imporrebbe agli Stati membri l’istituzione di un sistema nazionale di indennizzo per i reati intenzionali violenti unicamente qualora la persona che ha subito tale reato sopravviva alle lesioni, ma non laddove tale persona sia deceduta a causa di queste ultime.

43

A tale proposito occorre peraltro rilevare che la proposta di direttiva del Consiglio relativa al risarcimento alle vittime di reato [COM(2002) 562 final] (GU 2003, C 45 E, pag. 69), la quale mirava non soltanto a facilitare l’accesso all’indennizzo in situazioni in cui il reato è stato commesso in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede la vittima, ma anche a stabilire norme minime in materia di indennizzo delle vittime di reato, prevedeva esplicitamente, all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), contenuto nella parte della direttiva riguardante tali norme minime, l’obbligo per gli Stati membri di indennizzare i «parenti stretti» nonché le «persone a carico» delle vittime decedute a seguito delle lesioni riportate.

44

Sebbene tale precisazione certamente non figuri nella direttiva 2004/80, dai lavori preparatori di tale direttiva, in particolare dalla proposta di compromesso presentata dalla presidenza del Consiglio il 26 marzo 2004 (documento 7752/04), risulta tuttavia che ciò è dovuto al solo fatto che il legislatore dell’Unione non ha seguito la proposta relativa a tale secondo obiettivo, consistente nello stabilire norme minime in materia di indennizzo delle vittime di reato. Tale circostanza non significa quindi affatto che il legislatore dell’Unione avrebbe inteso escludere completamente dall’ambito di applicazione ratione personae di tale direttiva i familiari stretti della persona deceduta a causa di un atto qualificato come reato intenzionale violento, privando pertanto di qualsiasi protezione le persone comunque pregiudicate da un tale atto.

45

Tale interpretazione è confortata, in terzo luogo, dal contesto in cui si inserisce l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

46

Infatti, occorre rilevare che la direttiva 2012/29, che riguarda, in particolare, la protezione delle vittime di reato, definisce la nozione di «vittime», al suo articolo 2, paragrafo 1, lettera a), nel senso che essa include, oltre alle persone che hanno subito un danno causato direttamente da un reato, i familiari di una persona la cui morte è stata causata direttamente da un reato e che hanno subito un danno in conseguenza della morte di tale persona, mentre la nozione di «familiari», conformemente al paragrafo 1, lettera b), di tale articolo 2, contempla il coniuge, la persona che convive con la vittima in una relazione intima, nello stesso nucleo familiare e in modo stabile e continuo, i parenti in linea diretta, i fratelli e le sorelle, e le persone a carico della vittima.

47

Secondo i lavori preparatori relativi alla direttiva 2012/29, quali risultano dalla relazione riguardante la proposta del Parlamento europeo e del Consiglio, che istituisce norme minime riguardanti i diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reato [COM(2011) 275 final, pag. 7], tale definizione della nozione di «vittime» è giustificata dalla considerazione che anche i familiari subiscono un danno a causa del reato commesso e, in caso di morte della vittima, sono spesso considerati come suoi rappresentanti.

48

Orbene, occorre considerare che la definizione della nozione di «vittime» esposta all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2012/29 chiarisce la portata di questa stessa nozione, quale figura all’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80. Infatti, come sottolineato dalla Commissione a pagina 3 della relazione citata al punto precedente, la direttiva 2012/29 è volta a definire il «quadro orizzontale per trattare le necessità di tutte le vittime». Nella misura in cui le direttive 2004/80 e 2012/29 riguardano la protezione delle vittime di reato, esse hanno quindi, come risulta dal considerando 5 della direttiva 2004/80, ambiti di applicazione che si sovrappongono.

49

In udienza, il governo italiano ha tuttavia sostenuto che tale considerando 5 rinvia non già alla direttiva 2012/29, che è stata adottata successivamente alla direttiva 2004/80, bensì alla decisione quadro 2001/220, che, sebbene sia stata sostituita dalla direttiva 2012/29, era l’atto in vigore al momento dell’adozione della direttiva 2004/80. Orbene, l’articolo 1, lettera a), di tale decisione quadro definirebbe la nozione di «vittima» come riferita alle sole vittime dirette di un reato. Poiché la direttiva 2012/29 è stata adottata sulla base dell’articolo 82, paragrafo 2, TFUE secondo la procedura legislativa ordinaria a maggioranza qualificata, essa non potrebbe avere l’effetto di modificare la direttiva 2004/80, la quale è stata adottata sulla base dell’articolo 352 TFUE secondo la regola dell’unanimità. Si dovrebbe quindi ritenere che il rinvio effettuato dal considerando 5 della direttiva 2004/80 alla decisione quadro 2001/220 escluda la presa in considerazione degli sviluppi legislativi successivi che l’hanno interessata.

50

Orbene, da un lato, occorre osservare che tale argomento muove dall’erronea premessa secondo la quale la definizione della nozione di «vittima» di cui all’articolo 1, lettera a), della decisione quadro 2001/220 escludeva già necessariamente le vittime indirette di un reato. Infatti, se è vero che tale disposizione esigeva, affinché una persona fosse considerata come avente la qualità di «vittima» di un reato, che il danno subito da tale persona fosse causato direttamente dal reato, essa non richiedeva affatto che detta persona subisse essa stessa direttamente tale reato.

51

Dall’altro lato, come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 40 delle sue conclusioni, detto argomento, nella parte in cui verte sulla base giuridica della direttiva 2012/29, è irrilevante, dal momento che, come osservato al punto 48 della presente sentenza, tale direttiva è destinata a fissare il quadro generale del diritto dell’Unione applicabile alle vittime di reato.

52

In tale misura, la definizione della nozione di «vittima» di cui all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2012/29 dev’essere intesa come avente il solo scopo di chiarire la portata di quella che figurava all’articolo 1, lettera a), della decisione quadro 2001/220, alla quale rinviava la direttiva 2004/80. Tale definizione non modifica quindi la portata della nozione di «vittima» contenuta nell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva.

53

L’interpretazione risultante dai punti da 38 a 48 della presente sentenza non può neppure essere rimessa in discussione, contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, dall’articolo 17 della direttiva 2004/80, secondo il quale gli Stati membri possono introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli non solo a vantaggio delle «vittime» di reato, ma anche per «qualsiasi altra persona lesa da un reato». Infatti, quest’ultima categoria non può essere intesa nel senso che essa si confonde necessariamente con i familiari stretti della persona deceduta a causa di un atto qualificato come reato intenzionale violento, poiché questi ultimi possono appunto avere, essi stessi, la qualità di «vittime» rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

54

L’articolo 17 della direttiva 2004/80, appartenente al capo III di tale direttiva relativo alle disposizioni di attuazione, consente quindi agli Stati membri, nell’attuare il loro sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, di estendere la categoria dei beneficiari di tale sistema a persone diverse dalle «vittime» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva.

55

Occorre pertanto considerare che la nozione di «vittime», ai sensi di tale disposizione, a vantaggio delle quali gli Stati membri devono istituire, in forza di detta disposizione, un sistema nazionale di indennizzo, deve essere intesa nel senso che può includere le vittime indirette di un atto qualificato come reato intenzionale violento, quali i familiari stretti della persona deceduta a causa di tale reato, quando subiscono, di riflesso, le conseguenze di quest’ultimo.

56

In tali circostanze, occorre, in secondo luogo, esaminare se si possa ritenere che una normativa nazionale che, in caso di omicidio, subordina il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta a causa di un atto qualificato come reato intenzionale violento all’assenza di coniuge superstite e di figli di quest’ultima e quello dei fratelli e delle sorelle della vittima all’assenza dei genitori, garantisca a tali vittime un indennizzo «equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

57

A tale riguardo, occorre ricordare che, tenuto conto, da un lato, del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri da tale disposizione per quanto riguarda tanto il carattere «equo ed adeguato» dell’importo dell’indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti quanto le modalità di determinazione di detto indennizzo e, dall’altro, della necessità di garantire la sostenibilità finanziaria dei sistemi nazionali di indennizzo, l’indennizzo previsto da detta disposizione non deve necessariamente corrispondere al risarcimento dei danni che può essere riconosciuto, a carico dell’autore di un reato qualificato come reato intenzionale violento, alla vittima di tale reato. Di conseguenza, tale indennizzo non deve necessariamente garantire un ristoro completo del danno materiale e morale subito dalla vittima (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punti da 58 a 60).

58

In tale contesto, spetta in definitiva al giudice nazionale garantire, alla luce delle disposizioni nazionali che hanno istituito il sistema di indennizzo di cui trattasi, che la somma assegnata a una vittima di un reato intenzionale violento in forza di tale sistema costituisca «un indennizzo equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 (sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punto 61).

59

Tuttavia, uno Stato membro eccederebbe il margine di discrezionalità accordato da tale disposizione se le sue disposizioni nazionali prevedessero un indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti puramente simbolico o manifestamente insufficiente alla luce della gravità delle conseguenze del reato per tali vittime (sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punto 63).

60

Infatti, dal momento che l’indennizzo concesso a tali vittime rappresenta un contributo al ristoro del danno materiale e morale da esse subito, detto contributo può essere considerato «equo ed adeguato» solo se compensa, in misura appropriata, le sofferenze alle quali esse sono state esposte (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punto 64).

61

Di conseguenza, se è vero che tale contributo può risultare da un sistema nazionale che prevede un indennizzo forfettario delle vittime di reati intenzionali violenti che può variare in funzione della natura delle violenze subite, la misura degli indennizzi deve tuttavia essere sufficientemente dettagliata, così da evitare che l’indennizzo forfettario previsto per un determinato tipo di violenza possa rivelarsi, alla luce delle circostanze di un caso particolare, manifestamente insufficiente (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punti 65 e 66).

62

Di conseguenza, per essere considerato «equo ed adeguato» ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80, un indennizzo forfettario concesso a titolo di un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti deve essere fissato tenendo conto della gravità delle conseguenze del reato per le vittime, e deve quindi rappresentare un appropriato contributo al ristoro del danno materiale e morale subito (v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Presidenza del Consiglio dei Ministri, C‑129/19, EU:C:2020:566, punto 69).

63

Alla luce di tali considerazioni, occorre constatare che gli Stati membri possono, nell’esercizio del potere discrezionale di cui dispongono, decidere, al pari della Repubblica italiana nella presente causa, di istituire un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti che limiti il beneficio di tale sistema ai familiari stretti della persona deceduta, attribuendo peraltro priorità ad alcuni di questi familiari, quali il coniuge superstite e i figli, rispetto ad altri familiari, quali i genitori nonché i fratelli e le sorelle.

64

Un siffatto approccio «a cascata» corrisponde, del resto, a quello espressamente previsto all’articolo 2, paragrafo 2, della direttiva 2012/29, il quale consente agli Stati membri di istituire procedure volte a limitare il numero di familiari ammessi a beneficiare dei diritti previsti da tale direttiva tenendo conto delle circostanze specifiche di ciascun caso.

65

Tuttavia, un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti non può, in applicazione della logica della devoluzione successoria, escludere automaticamente taluni familiari dal beneficio di qualsiasi indennizzo per il solo fatto che siano presenti altri familiari, senza che possano essere prese in considerazione considerazioni diverse da tale ordine di devoluzione, quali, in particolare, le conseguenze materiali derivanti, per tali familiari, dalla morte per omicidio della persona di cui trattasi o il fatto che detti familiari fossero a carico della persona deceduta o conviventi con essa. Un siffatto regime nazionale di indennizzo non tiene conto, invero, in violazione dei requisiti ricordati ai punti 60 e 62 della presente sentenza, della sofferenza e della gravità delle conseguenze del reato per questi ultimi e, pertanto, non contribuisce in modo appropriato al ristoro del loro danno materiale e morale.

66

In particolare, il fatto di privare, per principio, taluni familiari di qualsiasi indennizzo dev’essere considerato inconciliabile con tali requisiti nel caso in cui, come nella controversia principale, un giudice penale abbia concesso a tali familiari un risarcimento danni, per giunta non trascurabili, per il pregiudizio subito a causa della morte della persona che ha subito un reato intenzionale violento, ma l’autore del reato non sia in grado, a causa della sua insolvenza, di pagare esso stesso tale risarcimento.

67

Ne consegue che, come indicato dall’avvocato generale al paragrafo 47 delle sue conclusioni, un sistema nazionale di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, dal quale sono escluse alcune vittime senza alcuna considerazione per l’entità dei danni da esse subiti, a causa di un ordine di priorità predefinito tra le diverse vittime che possono essere indennizzate, e fondato unicamente sulla natura dei vincoli familiari, dai quali vengono tratte semplici presunzioni quanto all’esistenza o all’entità dei danni, non può dare luogo a un «indennizzo equo ed adeguato», ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80.

68

Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione sollevata dichiarando che l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80 dev’essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest’ultima all’assenza di detti genitori.

Sulle spese

69

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

 

L’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2004/80/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa all’indennizzo delle vittime di reato,

 

dev’essere interpretato nel senso che:

 

esso osta a una normativa di uno Stato membro che prevede un sistema di indennizzo per i reati intenzionali violenti che subordina, in caso di omicidio, il diritto all’indennizzo dei genitori della persona deceduta all’assenza di coniuge superstite e di figli di tale persona e quello dei fratelli e delle sorelle di quest’ultima all’assenza di detti genitori.

 

Firme

( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.

( 1 ) Il nome della presente causa è un nome fittizio. Non corrisponde al nome reale di nessuna delle parti del procedimento.