La sentenza n. 5816 del 30 ottobre 2024, pronunciata dal TAR Campania, Sezione VII, interviene sul tema dei cambi di destinazione d’uso urbanisticamente rilevanti, stabilendo la necessità di un permesso di costruire per tali trasformazioni quando incidono sul carico urbanistico, anche in assenza di opere edilizie. Ai sensi dell’art. 23-ter, comma 1, del D.P.R. 380/2001, il Tribunale chiarisce che i mutamenti tra categorie funzionalmente autonome comportano un rilevante impatto urbanistico che non può essere autorizzato tramite una semplice Comunicazione Inizio Lavori Asseverata (CILA), come talvolta erroneamente sostenuto, ma richiede un permesso di costruire, poiché l’incidenza sul carico urbanistico è presunta e non necessità di accertamenti concreti. Nella pronuncia, il TAR sottolinea come il mutamento di destinazione d’uso debba sempre rispettare la differenziazione tra categorie urbanistiche funzionali, concepite per finalità regolatorie che mirano a preservare un equilibrio tra le destinazioni all’interno del contesto urbano.

La decisione si basa su una logica interpretativa secondo cui la legge, pur prevedendo alcune semplificazioni in ambito edilizio, non ha inteso assimilare tra loro tutte le categorie urbanistiche. Il TAR richiama precedenti giurisprudenziali, quali il Tar Napoli, Sez. VII, 27 aprile 2020, n. 1496, e il Consiglio di Stato, Sez. IV, 13 novembre 2018, n. 6388, evidenziando come il legislatore non abbia abolito le differenze tra categorie funzionali urbanistiche per ragioni di semplificazione procedurale. Al contrario, queste rimangono sostanzialmente autonome, per cui un passaggio tra categorie diverse, anche senza realizzazione di opere edilizie, è subordinato a una valutazione amministrativa che verifichi l’incidenza potenziale su aspetti come l’affollamento, i servizi pubblici e le infrastrutture, nel rispetto dei criteri di sostenibilità urbana fissati dal D.M. 1444/1968.

Nel caso di specie, la trasformazione da un’attività industriale dismessa a un’attività di servizi alla persona – assimilata a una destinazione commerciale – è ritenuta dal TAR un mutamento rilevante, in quanto modifica sostanzialmente la destinazione urbanistica da “produttiva e direzionale” a “commerciale e rurale”. Il Tribunale evidenzia che questa trasformazione rientra nelle ipotesi di mutamento giuridicamente rilevante, soggetta all’obbligo di permesso di costruire in ragione della maggiore incidenza sul carico urbanistico. La sentenza conferma l’orientamento secondo cui la semplificazione normativa non autorizza modifiche funzionali tra categorie eterogenee senza un permesso preventivo, poiché le differenze strutturali fra le diverse destinazioni comportano impatti specifici sulla vivibilità dell’area e sui servizi pubblici che devono essere attentamente considerati in sede autorizzativa.

Questa pronuncia si pone quindi in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale volto a preservare l’equilibrio urbanistico delle aree urbane, affermando che qualsiasi cambiamento che possa influire in modo significativo sulla funzione del contesto richiede un’autorizzazione formale. La decisione, nel rigettare il ricorso, riafferma la funzione di controllo urbanistico attribuita al permesso di costruire, quale strumento volto a garantire una gestione sostenibile e ordinata delle destinazioni d’uso, anche in un contesto di semplificazione procedurale normativa.

Pubblicato il 30/10/2024

  1. 05816/2024 REG.PROV.COLL.
  2. 00365/2021 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 365 del 2021, proposto da  – OMISSIS -, in persona del l.r.p.t. e da Vicidomini Felicia, entrambi rappresentati e difesi dall’Avv. Angela Izzo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Santa Maria la Carità, in persona del Sindaco legale rappresentante p.t., non costituito in giudizio;

per l’annullamento

del provvedimento prot. n.15038 del 26 ottobre 2020, notificato in data 17 novembre 2020, comportante il rigetto della SCIA prot.n°14433 del 14 ottobre 2020, e di ogni atto, anche endoprocedimentale, comunque non conosciuto, consequenziale, connesso, preordinato e presupposto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 16 ottobre 2024 la dott.ssa Valeria Nicoletta Flammini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. – Con ricorso depositato il 27 gennaio 2021, le ricorrenti – rispettivamente conduttrice e proprietaria dell’immobile ubicato in Santa Maria La Carità alla  – OMISSIS – catastalmente identificato a  – OMISSIS – del vigente P.R.G. del comune di Santa Maria La Carità (“caratterizzata dalla massiccia presenza di fabbricati ad uso terziario, residenziale e commerciale, […] una farmacia, uffici, alcuni appartamenti […], oltre ad una serie di opere infrastrutturali e pubbliche”) – impugnavano il provvedimento (n.15038 del 26 ottobre 2020) con cui il Comune resistente aveva dichiarato l’inefficacia della SCIA del 14 ottobre 2020 (prot. n. 14433) presentata al fine di convertire la destinazione dei locali da “attività industriale” in “palestra” (cfr., SCIA, all. 4 al ricorso).

1.1. A sostegno del gravame, le ricorrenti articolavano due ordini di censure (“Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 8 delle NTA del comune di Santa Maria La Carità. Violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della legge 443/85”; “Ancora sull’eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell’art. 23 ter del DPR 380/01. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge regionale della Campania n°19/01”), con cui, in sintesi, deducevano la piena compatibilità dell’attività “palestra” – assimilabile alla destinazione d’uso di “artigianato di servizio” o, comunque, riconducibile alla categoria funzionale di cui alla lett. b) del comma 1 del D.p.R. 380/2001 (produttivo e direzionale) – con la zona interessata, in ragione del disposto di cui all’art. 8 delle NN.TT.AA. del Comune e diversamente da quanto sostenuto dall’Amministrazione resistente.

  1. – Il Comune di Santa Maria la Carità, pur ritualmente intimato, non si costituiva in giudizio.

2.1. – Con ordinanza n. 320 del 18 febbraio 2021, questo Tribunale respingeva l’istanza cautelare.

  1. – Il 28 aprile 2023, le ricorrenti si costituivano con un nuovo difensore ed in vista dell’udienza pubblica, parte ricorrente depositava memoria (23 settembre 2024).
  2. – All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 16 ottobre 2024, tenutasi da remoto mediante collegamento via TEAMS, la causa è stata trattenuta in decisione.
  3. – Per come anticipato in narrativa, oggetto dell’odierno contendere è il provvedimento (n.15038 del 26 ottobre 2020, all. 1 al ricorso) con cui il Comune resistente ha dichiarato l’inefficacia della SCIA del 14 ottobre 2020 (prot. n. 14433) presentata al fine di convertire la destinazione dei locali siti Santa Maria La Carità alla  – OMISSIS – ( – OMISSIS – catasto fabbricati) e ricadenti in zona D1 (“Comprende le aree già interessate da insediamenti produttivi artigianali o da piccole industrie)” del vigente P.R.G. da “attività industriale” in “palestra”. A quanto consta in atti, il provvedimento si è sostanzialmente basato sulla necessità di ricorrere – visto il disposto di cui all’art. 8 NN.TT.AA. – al permesso di costruire convenzionato anziché ad una SCIA. Così testualmente in motivazione: “Considerato che gli interventi sono finalizzati ad una riconversione produttiva di un manufatto preesistente ricadente in zona omogenea “D1 produttiva ed artigianale esistente” del vigente P.R.G. ai sensi dell’art. 8 delle NTA, per tali opere è necessario il rilascio di permesso di costruire convenzionato nel quale siano previste le garanzie per la concreta attuazione delle aree destinate a spazi pubblici.” (Cfr., provvedimento impugnato, all. 1 al ricorso).

Così circoscritto il thema decidendum, si osserva quanto segue.

Pacifico ed incontestato che l’immobile di cui è causa ricade in zona “D1 produttiva ed artigianale esistente” del vigente P.R.G. del Comune di Santa Maria la Carità, corre l’obbligo di richiamare il testo dell’art. 8 delle NTA, nella parte qui di interesse (commi 4, 5 e 6): “[4] In caso di delocalizzazione delle industrie malsane o in quello di riconversione produttiva, l’area D1 interessata può essere riutilizzata per nuovi insediamenti industriali o artigianali salubri, nel rispetto dei parametri di cui al 2 comma del successivo art.9, mediante rilascio di permesso di costruire convenzionato nel quale siano previste la garanzie per la concreta attuazione delle aree destinate a spazi pubblici. [5] In questo caso l’indice applicabile è quello minimo del rapporto di copertura pari a 0,20mq/mq, nel quale va computata anche la consistenza già esistente. [6] Nella ipotesi di cui al comma precedente possono anche essere consentite le attività produttive così come indicate dal DPR 7/9/2010 n° 160 art. 1 comma 1 lettera i) ed j): le attività di produzione di beni e servizi, incluse le attività agricole, commerciali e artigianali, le attività turistiche e alberghiere, i servizi resi dalle banche e dagli intermediari finanziari e i servizi di telecomunicazioni”.

In questi termini ripreso il dato normativo, ritiene il Collegio che ferma la compatibilità in astratto, con la zona D1, delle “attività di produzione di beni e servizi, […] commerciali e artigianali” (comma 6) il relativo mutamento in tal senso della destinazione d’uso, per come prescritto dalla norma, debba ricadere nel regime del permesso di costruire convenzionato, con esclusione della possibilità – ivero attuata dalla ricorrente  – OMISSIS – s.r.l. – di ricorrere alla SCIA. In questo senso depone il comma 4, il quale prescrive, a chiare lettere, il ricorso al “permesso di costruire convenzionato”, nelle due ipotesi alternative della “delocalizzazione delle industrie malsane” o in quello – qui evidentemente di interesse – di “riconversione produttiva.” Una siffatta disciplina è del resto compatibile con i principi da tempo consolidati nella giurisprudenza amministrativa in materia di cambio di destinazione d’uso: “salva diversa previsione da parte delle leggi regionali, costituisce mutamento rilevante della destinazione d’uso ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale; a-bis) turistico-ricettiva; b) produttiva e direzionale; c) commerciale; d) rurale [art. 23ter co. 1 D.p.R. 380/01] […] la giurisprudenza interpreta la norma de qua in modo rigoroso, ritenendo che il cambio di destinazione d’uso abbia tendenzialmente una giuridica apprezzabilità e, come tale, non possa essere liberamente eseguito previa CILA, ma debba essere assentito mediante permesso di costruire (TAR, Sez. II, n. 451 del 18.02.202); afferma, infatti, che il mutamento di destinazione d’uso giuridicamente rilevante, assentibile solo mediante permesso di costruire, in presenza o meno di opere edilizie, sia quello tra categorie funzionalmente autonome dal punto di vista urbanistico ed influisce, in via conseguenziale e automatica, sul carico urbanistico senza necessità di ulteriori accertamenti in concreto, poiché la semplificazione delle attività, voluta dal legislatore, non si è spinta fino al punto di rendere tra loro omogenee tutte le categorie funzionali, le quali rimangono sostanzialmente non assimilabili anche in caso di mancato incremento degli standard urbanistici, a conferma della scelta già operata con il D.M. 1444/1968 (Tar Napoli, Sez. VII, 27.04.2020, n. 1496; Consiglio di Stato sez. IV, 13/11/2018, n.6388)” (cfr., TAR Salerno, sent. n. 1554/2021).

Nel caso di specie, appare incontestabile che venga in rilievo la fattispecie del passaggio tra categorie funzionali disomogenee ed autonome (mutamento da attività “industriale” non meglio specificata e da tempo dismessa (cfr., SCIA, in atti), ad attività produttiva di servizi alla persona, assimilabile ad attività commerciale, in proposito, vedi T.A.R. Sicilia Palermo, Sez. III, Sent., (data ud. 16/01/2024) 29/02/2024, n. 826)), che, perciò solo, integra gli estremi di un mutamento giuridicamente rilevante della destinazione d’uso da “produttiva e direzionale” ex art. 23ter, comma 1, lett. b) del D.P.R. 380/2001 a “commerciale e rurale” ex art. 23ter, comma 1, lett. b) del D.P.R. 380/2001), soggetto, come tale, al previo rilascio del permesso di costruire, stante la sua idoneità ad incidere sul carico urbanistico.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, il ricorso è infondato e come tale non merita accoglimento.

Nulla deve disporsi con riguardo alle spese di lite, stante la mancata costituzione del Comune resistente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Paolo Passoni, Presidente

Valeria Nicoletta Flammini, Primo Referendario, Estensore

Francesca Dello Sbarba, Referendario

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Valeria Nicoletta Flammini

Paolo Passoni

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO