Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7445 del 5 settembre 2024, si è pronunciato in merito al diritto dei dipendenti pubblici alla maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità (RIA) per il periodo successivo al 31 dicembre 1990, richiamando la pronuncia della Corte costituzionale n. 4 del 2024. Quest’ultima aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388/2000, il quale precludeva l’estensione, oltre il 31 dicembre 1990, dell’efficacia degli accordi di comparto relativi al triennio 1988-1990, incidendo così negativamente sul diritto alla maggiorazione della RIA. Il Consiglio di Stato ha riconosciuto il diritto dei dipendenti a beneficiare delle maggiorazioni della RIA anche per il periodo di anzianità maturato successivamente al 31 dicembre 1990 e fino al 31 dicembre 1992, per effetto della proroga disposta dall’art. 7, comma 1, del d.l. n. 384/1992, convertito con modificazioni nella legge n. 438/1992. Tuttavia, ha specificato che tale diritto è limitato al periodo antecedente il blocco degli automatismi stipendiali previsto dal comma 3 dello stesso articolo, che ha impedito ulteriori progressioni a partire dal 1º gennaio 1993.
Pubblicato il 05/09/2024
- 07445/2024REG.PROV.COLL.
- 01852/2015 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1852 del 2015, proposto dai sigg. – OMISSIS -, rappresentati e difesi, anche disgiuntamente, dagli avvocati Bruno Forte e Letizia Ciuffarella, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Maria Cuozzo in Roma, viale G. Mazzini n. 123;
contro
Ministero della difesa, Ministero dell’economia e delle finanze, Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, sezione prima bis, del 1° settembre 2014, n. – OMISSIS -, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della difesa, del Ministero dell’economia e delle finanze e della Presidenza del Consiglio dei Ministri;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 4 giugno 2024 il cons. Francesco Guarracino e uditi per le parti l’avv. Bruno Forte e l’avv. dello Stato Emanuele Feola;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
- – La sig.ra – OMISSIS – e altri novantuno nominativi indicati in epigrafe hanno proposto appello avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione prima bis, del 1° settembre 2014, n. – OMISSIS -, con cui è stato respinto il ricorso proposto da seicentocinquantotto dipendenti del Ministero della difesa, tra cui gli stessi appellanti, per il riconoscimento delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (RIA) maturate negli anni 1991, 1992 e 1993 ai sensi dell’art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68), che tale maggiorazione riconosceva in favore dei dipendenti che avessero maturato, nell’arco della vigenza contrattuale, un periodo di cinque, dieci o venti anni di servizio.
- – In primo grado i ricorrenti, a sostegno della domanda, avevano addotto che per effetto della proroga al 31 dicembre 1993 dell’efficacia dell’intero d.P.R. n. 44 del 1990, disposta dall’art.7, comma 1, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438, sarebbero stati prorogati anche gli istituti economici disciplinati dall’art. 9, commi 4 e 5, dello stesso decreto.
- – Il T.A.R. ha respinto il ricorso dando atto della sopravvenienza, nelle more del giudizio (instaurato nell’anno 2000), dell’art. 51, comma 3, della l. 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001), che ha espressamente escluso che la suddetta proroga potesse estendere anche il termine per la maturazione dell’anzianità di servizio ai fini dell’ottenimento della maggiorazione della RIA.
- – Gli appellanti hanno criticato la decisione di primo grado contestando l’erronea applicazione della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulle leggi aventi efficacia retroattiva, propugnando un’interpretazione adeguatrice delle norme interne ai principi affermati dalla Corte medesima e chiedendo, in subordine, che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000.
- – Il Ministero della difesa, il Ministero dell’economia e finanze e la Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono costituiti in giudizio senza formulare difese scritte.
- – Con atto depositato il 6 maggio 2021 si sono costituiti in prosecuzione dei loro rispettivi danti causa i sigg. Daniele Bianchi, Mario Bianchi e Sara Bianchi, in qualità di eredi della sig.ra Gabriele Rosanna, le sig.re Sara Patriarca e Delia Romano, in qualità eredi del sig. Lucio Patriarca, e le sig.re Pierina Chiarlitti, Veronica Valeriani e Federica Valeriani, in qualità di eredi del sig. Angelo Valeriani.
- – Con ordinanza del 26 aprile 2022, n. 3122, gli appellanti sono stati onerati della produzione di specifiche e documentate precisazioni sulle loro rispettive situazioni e pretese.
- – L’incombente è stato eseguito in data 27 giugno 2022.
- – Con sentenza parziale del 3 maggio 2023, n. 4503, il ricorso di primo grado è stato dichiarato inammissibile limitatamente alla domanda della sig.ra – OMISSIS – ed è stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 per contrasto con gli articoli 3, 24, comma 1, 102, 111, commi 1 e 2, 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione al parametro interposto di cui all’art. 6 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ritenendo che la disposizione censurata, «sebbene formulata in termini astratti, appare in realtà preordinata a condizionare, con l’efficacia propria delle disposizioni interpretative, l’esito dei giudizi ancora in corso in quella materia».
- – Con la sentenza n. 4 del 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000 perché «la disposizione censurata, avendo introdotto una norma innovativa ad efficacia retroattiva, al fine specifico di incidere su giudizi pendenti in cui era parte la stessa amministrazione pubblica, e in assenza di ragioni imperative di interesse generale, si è posta in contrasto con i principi del giusto processo e della parità delle parti in giudizio, sanciti dagli artt. 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, Cost, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, nonché con i principi di eguaglianza, ragionevolezza e certezza dell’ordinamento giuridico di cui all’art. 3 Cost».
- – Con atto notificato il 5 febbraio 2024, il Ministero della difesa ha formulato istanza di rimessione in termini per la proposizione di talune eccezioni non sollevate in primo grado e sulle quali il T.A.R. non si è pronunciato, anche se in parte rilevabili d’ufficio, ovvero, ove si ritenesse che il TAR abbia implicitamente pronunciato sulle corrispondenti questioni pregiudiziali e preliminari, per la proposizione, attraverso il medesimo atto, di un appello incidentale condizionato tardivo avverso le suddette statuizioni implicite della sentenza di primo grado.
Nello specifico, il Ministero ha inteso eccepire: il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in favore del giudice ordinario; l’inammissibilità del ricorso di primo grado ovvero, in subordine, la sua infondatezza per difetto di allegazione e prova in merito ai fatti costitutivi della domanda relativamente agli appellanti Buffone Guido, Carinci Fernando, Ciccarelli Massimo, D’Orio Enrica, Di Rienzo Romeo Antonio, Ferrazzoli Antonio, Fraioli Gerardo, Gabriele Maurizio, Grascia Lino, – OMISSIS – Rita, Iannucci Mauro, Mastrantoni Loreto e Pernaselici Domenico; la prescrizione del diritto degli appellanti alle maggiorazioni economiche relative ai ratei stipendiali maturati negli anni antecedenti al quinquennio da calcolarsi a ritroso dalla data della notifica del ricorso di primo grado (15 settembre 2000), cioè di tutte le maggiorazioni economiche relative agli stipendi percepiti fino al 15 settembre 1995.
Ha, inoltre, argomentato nel senso dell’infondatezza della domanda degli appellanti volta a conseguire il cumulo di rivalutazione e interessi sulle somme in questione.
- – Con atto depositato il 6 aprile 2024 gli appellanti hanno riassunto il giudizio.
- – Alla pubblica udienza del 4 giugno 2024, in vista della quale gli appellanti hanno prodotto una memoria, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
- – L’istanza di rimessione in termini proposta dal Ministero non può essere accolta.
L’istanza è stata motivata asserendo che una compiuta difesa dell’Amministrazione sarebbe divenuta possibile soltanto dopo il deposito da parte degli appellanti della documentazione relativa alla propria posizione lavorativa e agli importi rivendicati a titolo di maggiorazione sulla retribuzione individuale di anzianità, nonché dopo la decisione resa dalla Corte Costituzionale.
Tuttavia, già in primo grado l’Amministrazione avrebbe potuto proporre l’eccezione di difetto di giurisdizione, ovvero impugnare tempestivamente sul punto la sentenza di prime cure, come pure eccepire avanti al T.A.R. la prescrizione dei ratei stipendiali maturati nel quinquennio a ritroso dalla data della notifica del ricorso di primo grado (15 settembre 2000), senza necessità di attendere il deposito da parte degli appellanti della documentazione relativa alla loro posizione lavorativa (la quale, peraltro, non poteva non essere già a conoscenza dell’Amministrazione, di cui erano dipendenti), la precisazione degli importi rivendicati o, tanto meno, la sentenza sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, che nulla hanno aggiunto o chiarito rispetto al quadro conoscitivo e fattuale sul quale si basano le due predette questioni pregiudiziali di rito e di merito (giurisdizione e prescrizione; mentre dell’eccezione di inammissibilità del ricorso di primo grado si dirà in seguito).
La ragione addotta dal Ministero, pertanto, non soddisfa le condizioni poste dall’art. 37 c.p.a., il quale stabilisce che «il giudice può disporre, anche d’ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto» attraverso una norma di stretta interpretazione, poiché il processo amministrativo, alla stregua dei criteri desumibili dagli artt. 3 e 24 Cost., è improntato al principio di perfetta simmetria delle posizioni delle parti in causa (ex multis, C.d.S., sez. VI, 28 febbraio 2024, n. 1942).
- – Poiché il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso nel merito, la sentenza impugnata sottintende, necessariamente, una decisione affermativa sulla sussistenza della giurisdizione amministrativa.
Pertanto, la questione di giurisdizione non poteva essere proposta nel presente grado del giudizio in via di eccezione, né può esservi rilevata di ufficio, ostandovi la norma contenuta nell’art. 9 c.p.a. per cui il difetto di giurisdizione «[n]ei giudizi di impugnazione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione».
Il Ministero, come detto nell’esposizione in fatto, con l’atto notificato il 5 febbraio 2024 ha inteso proporre appello incidentale avverso la suddetta statuizione implicita, ma, poiché la connessa istanza di rimessione in termini è stata poc’anzi respinta, tale appello è inammissibile.
Di conseguenza, l’affermazione della sussistenza della giurisdizione amministrativa che si ricava dalla sentenza di primo grado risulta ormai coperta dal giudicato.
- – Essendosi respinta l’istanza di rimessione in termini, l’eccezione di prescrizione, siccome formulata per la prima volta nel presente grado del giudizio, è inammissibile.
Infatti, in quanto oggetto di eccezione in senso stretto e come tale rimessa alla volontà della parte che se ne intende giovare, la prescrizione non è rilevabile d’ufficio, ragion per cui, ai sensi dell’art. 104 c.p.a., non può essere proposta per la prima volta in grado d’appello e, ove assorbita o non esaminata in primo grado, va espressamente ribadita a cura della parte che intenda avvalersene nella fase di gravame (ex multis, C.G.A.R.S., 13 aprile 2022, n. 469; C.d.S., sez. II, 12 aprile 2021, n. 2960).
- – Inammissibile, infine, è anche l’ulteriore eccezione proposta con l’atto notificato dal Ministero il 5 febbraio 2024.
L’Amministrazione vi ha sostenuto che alcuni appellanti, nel termine assegnato con l’ordinanza n. 3122/2022, non avrebbero documentato la propria posizione relativa alla maggiorazione R.I.A., né indicato le differenze economiche in concreto pretese, come si evincerebbe dalle tabelle prodotte in giudizio dalla loro difesa, e ne ha tratto la conclusione che relativamente a costoro (i sigg. – OMISSIS -) il ricorso di primo grado vada dichiarato inammissibile o, in subordine, infondato per difetto di allegazione e prova in merito ai fatti costitutivi della domanda.
Tuttavia sulla questione si è già espressa la sentenza parziale n. 4503/2023, la quale, da un lato, ha dichiarato inammissibile per difetto d’interesse il ricorso di primo grado relativamente alla domanda della sig.ra – OMISSIS -, in quanto, secondo le stesse ipotesi di calcolo prodotte da parte appellante, questa non rivendicava alcuna somma a titolo di maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità (§ 7 sent. cit.), e, dall’altro, ha già riconosciuto che «[p]er gli altri appellanti la produzione dei fogli matricolari, che è stata ammessa in relazione alle vicende del fascicolo originale del primo grado, attesta le anzianità di servizio (per la sig.ra – OMISSIS -, ad esempio, la data di decorrenza economica del servizio al 29 giugno 1983 e quindi il compimento dei dieci anni di servizio prima del 31 dicembre 1993)» (§ 8 sent. cit.), con statuizione non rivedibile in questa sede per il principio del ne bis in idem.
Può osservarsi comunque, per completezza, che l’eccezione dell’Amministrazione è il frutto di un errore di percezione, poiché, contrariamente a quanto da essa asserito, le tabelle prodotte in giudizio dalla difesa degli appellanti, riprodotte anche nella loro memoria difensiva del 27 giugno 2022, riportano la posizione di tutti gli appellanti ai fini del diritto al godimento della RIA e della sua quantificazione, compresi i tredici nominativi ai quali l’eccezione si riferisce (cfr. pag. 10 mem. ult. cit.).
- – Si può passare, quindi, all’esame del merito del gravame degli appellanti.
- – Con la sentenza n. 4 del 2024 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 51, comma 3, della legge n. 388 del 2000, il quale disponeva che «[l]’articolo 7, comma 1, del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, si interpreta nel senso che la proroga al 31 dicembre 1993 della disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto di cui alla legge 29 marzo 1983, n. 93, relativi al triennio 1° gennaio 1988 – 31 dicembre 1990, non modifica la data del 31 dicembre 1990, già stabilita per la maturazione delle anzianità di servizio prescritte ai fini delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità. È fatta salva l’esecuzione dei giudicati alla data di entrata in vigore della presente legge».
Dunque, la pronuncia della Corte ha fatto venire meno la norma (sopraggiunta nel corso del giudizio di primo grado) che ostava al riconoscimento, per effetto della proroga al 31 dicembre 1993 dell’efficacia dell’intera disciplina emanata sulla base degli accordi di comparto relativi al triennio 1° gennaio 1988 – 31 dicembre 1990, del diritto a beneficiare della maggiorazione della RIA prevista dall’art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 44 del 1990 (Regolamento per il recepimento delle norme risultanti dalla disciplina prevista dall’accordo del 26 settembre 1989 concernente il personale del comparto Ministeri ed altre categorie di cui all’art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica 5 marzo 1986, n. 68).
- – Venuto meno tale ostacolo, non vi è motivo per discostarsi dalla giurisprudenza, anteriore alla disposizione dichiarata incostituzionale, la quale aveva definitivamente risolto in senso favorevole al personale dipendente il dibattito sull’estensione della proroga al 31 dicembre 1993 anche agli istituti economici in questione e, in particolare, era giunta alla conclusione, che va qui tenuta ferma, per cui «deve ritenersi che il quinquennio di effettivo servizio utile per conseguire il beneficio della maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità, previsto dai commi 4 e 5 dell’art. 9 del D.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, possa essere utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990 (per effetto della proroga sancita dal comma 1 dell’art. 7 del D.L. 19 settembre 1992, n. 384, convertito con modificazioni dalla legge 14 novembre 1992, n. 438), ma entro il 31 dicembre 1992 (per effetto del blocco degli automatismi stipendiali stabilito dal successivo comma 3 dello stesso articolo 7)» (ex multis, C.d.S., sez. IV, 17 ottobre 2000, n. 5522).
- – In tali sensi e in questi limiti l’appello va accolto e, di conseguenza, riformata la sentenza impugnata.
Per l’effetto, in accoglimento del ricorso di primo grado nei limiti dell’interesse degli odierni appellanti e ferma rimanendo l’inammissibilità della domanda proposta dalla sig.ra – OMISSIS -, di cui alla sentenza parziale, va dichiarato il diritto dei medesimi al riconoscimento delle maggiorazioni della retribuzione individuale di anzianità (RIA) in relazione al periodo di anzianità di servizio utilmente maturato oltre il 31 dicembre 1990 ai sensi dell’art. 9, commi 4 e 5, del d.P.R. 17 gennaio 1990, n. 44, per effetto della proroga disposta dall’art. 7, comma 1, del d.l. 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438.
Nel termine di giorni 90 (novanta) dalla notificazione, o dalla comunicazione della presente decisione se anteriore, l’Amministrazione dovrà proporre a ognuno di essi, con riferimento al diritto in concreto maturato alla stregua della succitata normativa, il pagamento di un importo pari alla maggiorazione della retribuzione individuale di anzianità, con rivalutazione monetaria in base agli indici ISTAT e interessi calcolati in base al tasso legale nel rispetto del divieto di cumulo di rivalutazione monetaria e interessi di cui all’art. 22, co. 36, della legge 23 dicembre 1994, n. 724, tuttora applicabile nei rapporti di lavoro con datori di natura pubblica (cfr. C.d.S., sez. II, 4 aprile 2024, n. 3090; Cass. sez. lav. 2 luglio 2020, n. 13624).
- – Le spese del doppio grado del giudizio possono essere interamente compensate, considerati i mutamenti del quadro normativo e della relativa giurisprudenza durante l’arco dell’intera controversia.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, dichiara inammissibile l’appello incidentale e accoglie l’appello principale nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Compensa le spese del doppio grado del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 4 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:
Oberdan Forlenza, Presidente
Giovanni Sabbato, Consigliere
Francesco Guarracino, Consigliere, Estensore
Giancarlo Carmelo Pezzuto, Consigliere
Ugo De Carlo, Consigliere
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L’ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
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Francesco Guarracino |
Oberdan Forlenza |
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IL SEGRETARIO