Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 8595 del 28 ottobre 2024, ha approfondito il tema del difetto di motivazione nelle sentenze di primo grado, con una particolare attenzione al concetto di “difetto assoluto di motivazione” e alle sue conseguenze sul piano giuridico. In primo luogo, la Corte ha ribadito che solo il difetto assoluto di motivazione, che si manifesta quando la motivazione è completamente assente o risulta meramente apparente, tautologica, apodittica, o talmente incomprensibile da non consentire di comprendere le ragioni alla base della decisione, comporta la nullità della sentenza di primo grado. La nullità si applica in questi casi ai sensi degli articoli 88, comma 2, lettera d) e 105, comma 1, del Codice del Processo Amministrativo (c.p.a.). Al contrario, un difetto di motivazione meno grave, che si traduce in una motivazione carente o insufficiente, non determina la nullità, ma solo un vizio che può essere sanato dal giudice d’appello, il quale ha la possibilità di integrare la motivazione o di decidere nel merito della causa.

La decisione in esame si è inoltre soffermata sul distinguo tra difetto assoluto di motivazione e omessa pronuncia su censure sollevate nel ricorso giurisdizionale. In quest’ultimo caso, il Consiglio di Stato ha escluso che l’omessa pronuncia possa configurarsi come un errore in procedendo, tale da comportare l’annullamento della decisione impugnata con rinvio al giudice di primo grado. La Corte ha precisato che l’omissione di pronuncia costituisce piuttosto un vizio della sentenza che può essere corretta dal giudice d’appello, il quale può integrare la motivazione o decidere nel merito della causa, senza necessità di un rinvio.

Nel caso concreto, la questione riguardava un ordine di demolizione emesso ai sensi dell’articolo 31 del D.P.R. 380/2001, che aveva come oggetto l’installazione di 20 strutture prefabbricate, denominate “lodge tents”, in un’area destinata a campeggio. La Corte ha ritenuto che l’ordine di demolizione fosse illegittimo, poiché le strutture in questione, pur essendo permanenti nell’aspetto, erano facilmente amovibili e non presentavano un ancoraggio stabile al suolo. Le strutture, infatti, erano montate su piedini metallici e poggiavano su basole di cemento di dimensioni modeste, rendendo possibile il loro smontaggio in pochi giorni e lo sganciamento dalle reti tecnologiche in tempi brevi. La Corte ha sottolineato che, in tali circostanze, le opere non costituivano una costruzione stabile e non erano soggette alla normativa del D.P.R. 380/2001, che regolamenta le costruzioni e gli interventi edilizi sul territorio. Di conseguenza, l’ordine di demolizione è stato annullato.

Sul punto, il Consiglio di Stato ha fatto riferimento a un consolidato orientamento in materia di difetto di motivazione, tra cui la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 11 del 2018 e le sentenze della Sezione III (n. 8705 del 6 ottobre 2023), della Sezione V (n. 6973 del 12 novembre 2020) e della Sezione IV (n. 5711 del 4 dicembre 2017 e n. 4796 del 17 ottobre 2017), tutte confermative della posizione secondo cui il difetto di motivazione non comporta la nullità della sentenza di primo grado, ma piuttosto l’obbligo per il giudice d’appello di sanare tale vizio, integrando la motivazione o decidendo nel merito della controversia.

A margine di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto che la questione della demolizione delle strutture prefabbricate fosse di particolare rilevanza, soprattutto alla luce della mancanza di un chiaro titolo che giustificasse l’ordine di demolizione in base alla normativa urbanistica ed edilizia. In particolare, i provvedimenti impugnati non facevano emergere se le strutture fossero state correttamente o meno qualificate come edilizia libera, e non è stato provato il carattere stabile e permanente delle opere, aspetto che avrebbe giustificato l’intervento amministrativo.

La decisione del Consiglio di Stato ha quindi riformato la sentenza del TAR Puglia Lecce , con una valutazione critica sull’applicazione della normativa edilizia alle strutture amovibili, ampliando la comprensione giuridica riguardo alla qualificazione delle opere in contesti come quello del campeggio e della necessità di un più accurato bilanciamento tra le esigenze di ordine pubblico e la tutela della proprietà privata.

Pubblicato il 28/10/2024

  1. 08595/2024REG.PROV.COLL.
  2. 02971/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2971 del 2024, proposto da
– OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Nicolangelo Zurlo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Carovigno, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Angelo Frediani, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, (Sezione Prima), n.  – OMISSIS -, resa tra le parti.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Carovigno;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 1 ottobre 2024 il Cons. Cecilia Altavista e udito per la parte appellante l’avvocato Nicolangelo Zurlo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società  – OMISSIS – s.r.l. (d’ora in avanti, solo la Società) gestisce, in forza di contratto di affitto di azienda, stipulato il 4 gennaio 2022 con la società  – OMISSIS -, un campeggio (per il cui subentro è stata presentata Scia il 17 gennaio 2022 allo Sportello unico delle attività produttive) in località Pantanagianni del Comune di Carovigno, in area del Programma di fabbricazione con destinazione “campeggio”, sottoposta a vincolo paesaggistico e a vincolo idrogeologico.

La Società il 25 febbraio 2022 ha presentato al medesimo Sportello unico delle attività produttive una Scia per adeguamento impianti e allestimento di 20 lodge tents (n.19 tende da 2 posti letto e n. 1 tenda per la ricezione e servizi bar), richiamando l’art. 17, comma 4, lettera d) della legge regionale 11 febbraio 1999, n.11.

Il 19 gennaio 2023 personale della Capitaneria di Porto di Brindisi e tecnici del Comune di Carovigno effettuavano un sopralluogo presso il campeggio rilevando l’installazione delle 20 strutture prefabbricate “realizzate con pilastri, travi e pedane in legno lamellare, infissi in vetro e alluminio e copertura in tendaggio”, di superficie di circa 64,00 metri quadrati ciascuna (m. 8,00 x m. 8,00), di cui mq. 21,00 circa destinati a patio, con un’altezza massima m. 3,50; una destinata a reception e le altre 19 a monolocale (con zona soggiorno e zona notte con letto, ripostiglio/cabina armadio, antibagno e servizi igienici con cabina doccia); davano atto che “ogni struttura è provvista di allaccio all’impianto di climatizzazione, idrico, elettrico e fognante”.

Nella successiva relazione del tecnico comunale del 26 gennaio 2023 (protocollo Comune di Carovigno 02821/2023 del 31 gennaio 2023) venivano indicate tali strutture come “Allestimenti Mobili”, escludendo la necessità di un titolo abilitativo sotto il profilo edilizio sulla base della legge regionale n. 11 del 1999, che ne consente la realizzazione in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, qualora gli allacciamenti alle reti tecnologiche, di adduzione e di smaltimento possano essere rimossi in ogni momento, le caravan e le case mobili conservino i meccanismi di rotazione in funzione e non abbiano alcun collegamento permanente al terreno, le tende e le lodge tents siano realizzate con materiali smontabili e trasportabili e a loro volta non abbiano alcun collegamento permanente al terreno. La relazione concludeva per la necessità della autorizzazione paesaggistica, ai sensi dell’art. 90 delle NTA del PPTR, ritenendo non applicabile l’esclusione dall’autorizzazione, di cui al punto A.28 (“smontaggio e rimontaggio periodico di strutture stagionali munite di autorizzazione paesaggistica”) dell’allegato A al d.P.R. 13 febbraio 2017 n. 31; la necessità del nulla osta idrogeologico, in quanto le strutture “possono influire sul normale deflusso delle acque”.

Con ordinanza del 10 febbraio 2023, richiamato il sopralluogo del 19 gennaio 2023 e la legge regionale n. 11 del 1999, sono state qualificate le opere realizzate come di edilizia libera; è stata indicata l’assenza di autorizzazione paesaggistica e di autorizzazione idrogeologica alla realizzazione delle opere; è stata richiamata la “violazione rispetto alle disposizioni del Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia (PPTR)” (approvato con la delibera di Giunta Regionale n. 176 del 16 febbraio 2015); è stata ordinata la demolizione delle opere “realizzate in assenza del titolo abilitativo”, preannunciando, in caso di inadempimento, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, l’acquisizione del bene e dell’area di sedime al patrimonio comunale e la irrogazione della sanzione pecuniaria.

Avverso tale provvedimento la società  – OMISSIS – ha proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale della Puglia, sezione di Lecce, lamentando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 17 della L.R. n. 11 del 1999, l’eccesso di potere per sviamento, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria, ingiustizia, contradditorietà e illogicità manifesta, sostenendo la contraddittorietà del provvedimento, che aveva fatto riferimento all’attività edilizia libera senza necessità, quindi, di un titolo abilitativo edilizio e aveva poi ordinato la demolizione delle opere realizzate in assenza dello stesso; ha insistito per la natura di allestimenti mobili delle opere realizzate, consentite all’interno del campeggio in base alle norme statali e regionali; ha dedotto altresì che per l’installazione di tali allestimenti era stata presentata una Scia il 15 febbraio 2022 rispetto alla quale l’Amministrazione non aveva attivato alcun potere di controllo nei termini prescritti. Con il secondo motivo ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e dell’art. 2 del d.P.R. n. 31/2017, la violazione dei principi del giusto procedimento e del divieto di aggravio del procedimento, deducendo che il nulla osta idrogeologico era stato rilasciato dalla Regione Puglia con provvedimento n. 5810 del 9 ottobre 2009, che l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue era stata rilasciata dal Comune di Carovigno con provvedimento n. 4 del 28 giugno 2012 e che l’autorizzazione paesaggistica non era necessaria in relazione alle previsioni dei punti A.17 e B.26 del D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31. Con ulteriore censura lamentava la violazione degli artt. 3 e 21 septies della legge n. 241 del 1990, l’eccesso di potere per erronea valutazione dei presupposti, per difetto di istruttoria, difetto di motivazione, motivazione generica e perplessa, contraddittorietà e illogicità manifesta, sostenendo la contraddittorietà del provvedimento, che aveva qualificato le opere come allestimenti mobili rientranti nell’edilizia libera, richiedendo però un titolo autorizzativo paesaggistico, che non sarebbe necessario in base alla stessa natura delle opere, caratterizzata dalla facile amovibilità, come accertata dagli stessi tecnici comunali e indicata nel provvedimento impugnato.

Successivamente, a seguito dell’ulteriore sopralluogo effettuato il 27 febbraio 2023, veniva accertata la presenza nel terreno di una rete infrastrutturale per gli impianti idrici, fognari ed elettrici. Nella relazione del 17 marzo 2023 i tecnici comunali davano atto della esistenza di un permesso di costruire (n. 139 del 2003) rilasciato per l’installazione di bungalow e servizi e per gli impianti di adduzione e smaltimento, ma ritenevano necessario un ulteriore permesso di costruire, in relazione alla differente ubicazione delle tende. Nella medesima nota, in ordine alla facile amovibilità delle opere, si indicava che le opere erano facilmente smontabili (in pochi giorni) e facilmente sganciabili dalle reti tecnologiche (in pochi minuti); con riguardo al vincolo idrogeologico si dava atto della necessità di una relazione idrogeologica per valutarne la pericolosità e che gli allestimenti mobili erano posati su una area non considerata di pericolosità idraulica nella cartografia del Piano di assetto idrogeologico.

A seguito di tale ulteriore sopralluogo è stata emanata l’ordinanza n. 51 del 21 aprile 2023, nella quale sono stati richiamati il sopralluogo del 19 gennaio 2023, l’ordinanza del 10 febbraio 2023, la nota del 17 marzo 2023 che “ha accertato una ulteriore trasformazione rispetto a quanto relazionato: …Realizzazione di complessa rete infrastrutturale per gli impianti di adduzione e smaltimento delle strutture prefabbricate (elettrico, idrico e fognante) per l’energia elettrica e smistamento idrico/fognante con relativi pozzetti di ispezione”; sono state qualificate le opere come “opere di edilizia libera” ed è stato rilevato che le “opere riscontrate risultano eseguite: – in violazione dell’art. 31 del D.P.R. 380/2001… in assenza delle ulteriori necessarie autorizzazioni preventive ed in particolare autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del D.Lgs. n. 42/2004; nulla osta idrogeologico forestale di cui all’art. 1 del R.D. del 30/12/23 n. 3267”. Pertanto, “considerato che non occorre individuare graficamente le opere rimuovere/demolire, che constano in n. 20 (venti) allestimenti mobili e rete infrastrutturale di adduzione e smaltimento degli impianti, individuabili senza difficoltà”, è stata ordinata la demolizione delle opere preannunciando la acquisizione e la sanzione pecuniaria, ai sensi dell’art. 31 del D.P.R. 380 del 2001, in caso di inadempimento all’ordine di demolizione.

Avverso tale provvedimento, dando atto di riproporre i motivi di ricorso introduttivo avverso il provvedimento del 10 febbraio 2023 (rinotificato dal Comune il 10 maggio 2023), sono stati proposti motivi aggiunti, di violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 e 17 L.R. 11/1999, eccesso di potere, sviamento, travisamento dei fatti e difetto di istruttoria, ingiustizia, contraddittorietà e illogicità manifesta, erroneità dei presupposti di fatto, motivazione carente, perplessa e lacunosa, riproponendo le censure proposte con il ricorso introduttivo in ordine alla contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza che da una parte ha qualificato le opere come di edilizia libera e poi ne ha ordinato la demolizione; si è dedotto poi che le opere relative alla rete infrastrutturale erano state assentite dal Comune con permesso di costruire n. 139 del 2003, che il nulla osta paesaggistico era stato rilasciato dal Comune di Carovigno con provvedimento n. 14 del 4 febbraio 2003, il nulla osta forestale era stato rilasciato dalla Regione Puglia l’8 maggio 2003, la rete infrastrutturale era stata inoltre collaudata come attestato dallo stesso Comune nell’autorizzazione all’attività di campeggio rilasciata il 28 agosto 2007; inoltre i bungalow precedentemente realizzati erano assentiti con permesso di costruire n.407/2008, a seguito del quale era stata rilasciata, altresì l’autorizzazione allo scarico delle acque reflue dei singoli bungalow con provvedimento n. 12760 del 28 giugno 2012. Con una seconda censura si lamentava la violazione e falsa applicazione ed interpretazione erronea dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 e degli artt. 7 e 10 bis della L. 241/1990, del principio del giusto procedimento, richiamando la costante giurisprudenza per cui non è necessaria la partecipazione dell’interessato ai procedimenti repressivi edilizi, ma deducendo che, nel caso di specie, in relazione alle specifiche circostanze di fatto, vi sarebbe stata necessità della partecipazione al fine di consentire un apporto di utili elementi di fatto.

Si costituiva nel giudizio di primo grado il Comune di Carovigno, che sosteneva la infondatezza dei ricorsi e dei motivi aggiunti. In particolare con riguardo al ricorso introduttivo, deduceva che la demolizione era stata disposta perché la realizzazione era sprovvista di autorizzazione paesaggistica, in area in cui detta autorizzazione era richiesta, e non per motivi urbanistici. Con riferimento ai motivi aggiunti sosteneva che la rete infrastrutturale era posta a servizio dei venti prefabbricati realizzati ex novo, rappresentando, quindi un insieme di opere nuove, diverse da quelle autorizzate nel 2003 ed incompatibili con esse. Nella memoria di replica sosteneva la natura non precaria delle opere.

Con la sentenza n.  – OMISSIS – del 20 marzo 2024, il T.A.R. per la Puglia, sezione di Lecce, ha respinto il ricorso, ritenendo le opere realizzate (con riguardo sia alle case mobili che agli impianti idrico-fognanti a servizio delle strutture mobili) di carattere non precario e quindi escludendo l’applicazione del regime di cui all’art. 17 comma 4 della legge regionale n. 11 del 2009.

Con l’appello la società  – OMISSIS – ha contestato la sentenza formulando tre motivi di appello.

Con il primo motivo, di error in iudicando, erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 3 del d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 17 L.R. n. 11/1999, difetto di motivazione, motivazione apparente e inconferente con i fatti di causa e i provvedimenti impugnati, ha dedotto che la sentenza avrebbe valorizzato, senza alcuna specifica istruttoria, la circostanza relativa alla natura non precaria delle opere, che non era neppure oggetto del giudizio, in quanto esclusa dallo stesso Comune di Carovigno nei provvedimenti impugnati; è stata comunque contestata la natura non precaria delle opere richiamando gli accertamenti istruttori effettuati dai tecnici comunali, che avevano fatto espresso riferimento alla facile amovibilità delle opere.

Con il secondo motivo ha lamentato l’error in iudicando, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 4 del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, l’erronea valutazione dei presupposti di fatto e normativi, la carenza di istruttoria e difetto di motivazione, sostenendo che, anche sotto il profilo paesaggistico, l’intervento sarebbe escluso dall’autorizzazione in relazione alla natura delle opere, rientranti della disciplina del richiamato d.P.R. n. 31 del 2017.

Con il terzo motivo ha sostenuto l’omessa pronuncia su censure e motivi di impugnazione, l’errore di diritto per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, la violazione del disposto di cui all’art. 112 c.p.c., il difetto assoluto di motivazione, in quanto il giudice di primo grado avrebbe deciso solo sul ricorso introduttivo e non sui motivi aggiunti, i quali sono stati espressamente riproposti.

Si è costituito il Comune di Carovigno che, nella memoria di costituzione, ha sostenuto la natura non precaria delle opere.

Con ordinanza dell’8 maggio 2024 è stata accolta la domanda cautelare di sospensione della sentenza di primo grado, in relazione alla necessità dell’esame del merito in ordine alla particolare natura delle opere realizzate e al differente regime applicabile alle stesse nonché al danno grave ed irreparabile derivante alla società ricorrente dall’esecuzione dell’ordine di demolizione nelle more della trattazione del merito.

In vista dell’udienza pubblica la parte appellante ha presentato memoria in cui ha insistito per le proprie tesi difensive.

Il Comune di Carovigno a sua volta ha presentato memoria e memoria di replica, nella quali ha sostenuto sia che gli allestimenti mobili non sono opere precarie, sia che comunque il provvedimento è stato emanato per la carenza di autorizzazione paesaggistica, rilevante ai sensi dell’art. 17 della legge regionale n. 11 del 1999.

All’udienza del 1° ottobre 2024 il giudizio è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Sono fondati i motivi di appello relativi al difetto di motivazione e all’omissione di pronuncia della sentenza, da valutare congiuntamente.

La sentenza ha, infatti, basato la reiezione del ricorso e dei motivi aggiunti sulla natura non precaria delle opere complessivamente considerate ovvero i venti “lodge tents” considerati insieme alle opere infrastrutturali.

Tale valutazione operata dalla sentenza di primo grado ha nella sostanza integrato la motivazione dei provvedimenti comunali, i quali entrambi, come anche le relazioni tecniche poste a base degli stessi, hanno dato atto della natura precaria delle opere realizzate, considerate facilmente amovibili (tanto da ricondurle ad una ipotesi di edilizia libera). Anche il collegamento con la rete infrastrutturale, oggetto del provvedimento impugnato con i motivi aggiunti, non è stato considerato dal Comune rilevante ai fini di ritenere la natura non precaria delle “lodge tents”, ancora una volta qualificate, anche nella seconda ordinanza di demolizione, come opere di edilizia libera.

Il giudice di primo grado non ha poi effettivamente esaminato i motivi aggiunti, con i quali la Società aveva dedotto che la rete infrastrutturale era stata realizzata in forza del permesso di costruire n. 139 del 2003, rilasciato per la realizzazione del campeggio, non dando conto neppure delle indicazioni, pur generiche, del tecnico comunale relative alla differente collocazione delle lodge tents rispetto ai bungalows precedentemente assentiti.

Il difetto di motivazione nonché l’omissione di pronuncia della sentenza di primo grado, come è noto, comportano un riesame della vicenda da parte del giudice d’appello.

Infatti, solo il difetto assoluto di motivazione, che ricorre quando manca del tutto, sotto l’aspetto materiale e grafico, la motivazione o in caso di motivazione meramente apparente o assertiva, tautologica, apodittica, oppure obiettivamente incomprensibile per il combinato disposto degli artt. 88, comma 2, lett. d) e 105, comma 1, c.p.a., comporta un caso di nullità della sentenza di primo grado mentre l’omessa pronuncia su una o più censure proposte con il ricorso giurisdizionale non configura un error in procedendo, tale da comportare l’annullamento della decisione, con contestuale rinvio della controversia al giudice di primo grado ex art. 105, comma 1, c.p.a., ma solo un vizio dell’impugnata sentenza che il giudice di appello è legittimato ad eliminare, integrando la motivazione carente o, comunque, decidendo sul merito della causa (Cons. Stato, A.P. n. 11 del 2018; Sez. III, 6 ottobre 2023, n. 8705; sez. V, 12 novembre 2020, n.6973; sez. IV, 4 dicembre 2017, n. 5711; id. 17 ottobre 2017, n. 4796).

L’esame delle censure proposte in primo grado comporta l’accoglimento del ricorso per difetto di istruttoria e di motivazione e per la contraddittorietà dei provvedimenti.

In via preliminare, deve rilevarsi che il Comune non ha neppure chiarito il rapporto tra le due ordinanze, considerato che il provvedimento del 21 aprile 2023 ha fatto riferimento sia alle opere oggetto della prima ordinanza sia alle ulteriori opere di cui alla nota del 17 marzo 2023 (rilevate nel sopralluogo del 27 febbraio 2023). Nella seconda ordinanza sono indicate come opere da “rimuovere/ demolire”, nel corpo del provvedimento sia i venti allestimenti mobili che la rete infrastrutturale, mentre le opere non sono indicate nel dispositivo.

Il Comune ha però proceduto a rinotificare l’ordinanza del 10 febbraio 2023, anche in data 10 maggio 2023, successivamente alla notifica dell’ordinanza del 21 aprile, avvenuta il 22 aprile 2023.

La parte ricorrente ha, infatti, dichiarato nei motivi aggiunti di impugnare nuovamente anche la prima ordinanza.

La difesa comunale nel corso del giudizio ha fatto riferimento agli allestimenti mobili, in quanto oggetto del primo provvedimento, alla rete infrastrutturale, in quanto rientrante nella seconda ordinanza, presupponendo una differenza dell’oggetto dei due provvedimenti.

Ritiene, invece, il Collegio che il secondo provvedimento abbia integralmente superato la prima ordinanza, in quanto è stato preceduto da una ulteriore attività istruttoria, tramite il sopralluogo del 27 febbraio 2023 e la relazione tecnica del 17 marzo 2023, che ha avuto ad oggetto in particolare l’accertamento in ordine alla amovibilità anche delle opere (lodge tents) colpite dalla prima ordinanza di demolizione.

Peraltro, anche valutando congiuntamente entrambe le ordinanze non si può ritenere sussistente una idonea motivazione.

Come è noto, la consolidata giurisprudenza ritiene che i provvedimenti di repressione degli abusi edilizi siano sufficientemente motivati con la descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività (cfr. Cons. Stato, IV, 16 aprile 2024, n. 34385; id., 6 febbraio 2019, n.903; Sez. II, 21 gennaio 2020, n. 487; Sez. II, 21 ottobre 2019, n. 7103).

In primo luogo, si deve rilevare che nella parte dispositiva non sono individuate le opere; se di norma tale carenza è superabile dal riferimento contenuto nella motivazione, nel caso di specie anche la motivazione non è idonea a rendere intellegibile l’oggetto delle ordinanze, in particolare per quanto riguarda le tents lodge, più volte individuate come opere di edilizia libera.

É poi evidente la contraddizione intrinseca dei provvedimenti in relazione alla natura di tali opere, qualificate come “edilizia libera”, ma delle quali viene ordinata la demolizione in quanto realizzate “in assenza di titolo abilitativo”.

Inoltre, non risulta chiarito neppure il tipo di potere esercitato avendo le ordinanze di demolizione richiamato l’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001.

Infatti, l’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001 riguarda l’accertamento di “interventi in assenza di permesso, in totale difformità dal medesimo, ovvero con variazioni essenziali”.

Con riguardo agli allestimenti mobili si deve rilevare che sia nelle relazioni istruttorie che nelle ordinanze impugnate sono stati qualificati come opere di edilizia libera; tale qualificazione è stata ribadita, infatti, anche nell’ordinanza del 10 maggio 2023, sulla base dell’ulteriore accertamento istruttorio effettuato il 27 febbraio 2023 e della relazione del 17 marzo, che ha espressamente dato atto della facile amovibilità delle opere, facendo riferimento allo smontaggio in pochi giorni e allo sganciamento dalle reti tecnologiche in pochi minuti. Tale relazione ha, altresì, dato atto di non avere verificato lo stabile collegamento al suolo, essendo le strutture all’apparenza solo poggiate su piedini metallici, a loro volta appoggiati su basole di cemento di modeste dimensioni, di cui non è stato accertato il collegamento al suolo.

Dai provvedimenti impugnati non emerge, quindi, a quale titolo sia stata ordinata la demolizione, ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. 380 del 2001, di opere considerate dallo stesso comune, correttamente o meno, come di edilizia libera.

La contraddizione, posta alla base dei provvedimenti impugnati, risulta confermata dalla difesa comunale che, sia in primo grado che in appello, ha fatto riferimento alla natura non precaria delle opere ma anche all’esercizio di poteri di tutela paesaggistica.

Rispetto alla qualificazione delle opere come edilizia libera, si deve fare riferimento alla normativa statale e regionale di riferimento.

Ai sensi dell’art. 3 comma 1, lettera e.5), del d.P.R. 380 del 2001, sono interventi di nuova costruzione “l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o delle tende e delle unità abitative mobili con meccanismi di rotazione in funzione, e loro pertinenze e accessori, che siano collocate, anche in via continuativa, in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non posseggano alcun collegamento di natura permanente al terreno e presentino le caratteristiche dimensionali e tecnico-costruttive previste dalle normative regionali di settore ove esistenti”. Presupposto, dunque, per l’esonero dal titolo edilizio è l’inserimento in strutture ricettive, esse sì autorizzate sia sotto il profilo urbanistico, che edilizio e, ove previsto, paesaggistico, che non siano collegate permanentemente al suolo e che siano conformi alle caratteristiche tecnico-costruttive indicate nelle eventuali leggi regionali di settore.

In base all’art. 17 della legge regionale n. 11 del 1999, dunque, “sono campeggi le strutture ricettive aperte al pubblico, a gestione unitaria, attrezzate per la sosta e il soggiorno di turisti provvisti, di norma, di tende o di altri mezzi autonomi di pernottamento e possono assumere la denominazione aggiuntiva di Centro Vacanze qualora siano dotati di rilevanti impianti e servizi sportivi, di svago e commerciali.

  1. Nei complessi di cui al comma 1 è possibile riservare apposite aree attrezzate con unità abitative fisse dotate di tutti i servizi per ospitare turisti sprovvisti di mezzi di pernottamento autonomi. Il numero massimo di unità abitative non potrà essere superiore a trenta unità per ettaro e, comunque, la ricettività non potrà superare centoventi posti letto per ettaro. Per i campeggi esistenti e autorizzati, le cui aree sono previste negli strumenti urbanistici, la realizzazione delle unità di cui al presente comma viene consentita con il rilascio di permesso a costruire secondo la disciplina di cui al D.P.R. n. 380/2001. Per i campeggi esistenti e autorizzati, le cui aree non sono previste negli strumenti urbanistici, la realizzazione delle unità abitative, di cui al presente comma, viene consentita previa presentazione di apposito piano, che con delibera del consiglio comunale costituisce variante allo strumento urbanistico. Detta variante sarà approvata dalla Giunta regionale entro novanta giorni dalla data di trasmissione all’Assessorato regionale competente.
  2. Le unità abitative allestite nei campeggi devono avere i requisiti tecnici di cui all’art. 16 della presente legge.
  3. Oltre al 25 per cento della ricettività complessiva consentita in strutture fisse, è altresì consentita, in misura non superiore a un ulteriore 40 per cento, la realizzazione di allestimenti mobili di pernottamento.

Gli interventi finalizzati all’installazione dei predetti allestimenti mobili di pernottamento non necessitano di titoli abilitativi edilizi e sono soggetti ad attività edilizia libera a condizione che:

  1. a) siano realizzati in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alla normativa regionale vigente;
  2. b) gli allacciamenti alle reti tecnologiche, di adduzione e di smaltimento possano essere rimossi in ogni momento;
  3. c) le caravan e le case mobili conservino i meccanismi di rotazione in funzione e non abbiano alcun collegamento permanente al terreno;
  4. d) le tende e le lodge tents siano realizzate con materiali smontabili e trasportabili e non abbiano alcun collegamento permanente al terreno”.

L’art. 16 indica le caratteristiche tecniche degli allestimenti nei villaggi turistici applicabili anche agli allestimenti fissi nei campeggi:

a) area di superficie netta non superiore a mq 70;

  1. b) altezza minima interna di m 2,40;
  2. c) tutti gli allestimenti devono essere costituiti da un unico piano, salvo quanto previsto negli strumenti urbanistici approvati;
  3. d) la superficie abitabile, compresa quella dei servizi igienici ed eventuali verande, non devo essere inferiore a mq 8 per persona;
  4. e) ciascun allestimento non può ospitare più di sei persone;
  5. f) l’arredamento minimo deve comprendere, oltre ai letti, al tavolo e alle sedie, anche un fornello a gas. L’eventuale bombola a gas deve essere collocata all’esterno;
  6. g) i parametri di cui alle lettere b) e d) non si applicano alle strutture esistenti e autorizzate”.

La norma dell’art. 17, comma 4, lettera d), della legge regionale n.11 del 1999 è stata espressamente richiamata nella Scia, presentata dalla parte appellante nel febbraio 2022, per “variazioni strutturali di attività di struttura ricettiva all’aria aperta”, in cui nella allegata relazione tecnica erano indicati sia “l’installazione di n. 20 tende del tipo lodge tents di cui n. 19 tende da n. 2 posti letto e n. 1 adibita a ricezione, servizi e bar” sia gli “adeguamenti impiantistici, quale l’impianto di elettrico, di illuminazione ed idrico fognario”.

I tecnici comunali, anche a seguito dell’ulteriore sopralluogo del 27 febbraio 2023, richiamando espressamente i criteri indicati dall’art. 17 della legge regionale e sulla base dell’accertamento dello stato dei luoghi, hanno escluso la rilevanza edilizia degli allestimenti mobili, sulla base della facile smontabilità e della possibilità di immediato distacco dalle reti tecnologiche, mentre non è stato dimostrato lo stabile collegamento al suolo. Non hanno operato alcun collegamento tra l’installazione degli allestimenti mobili e la realizzazione della rete infrastrutturale, al fine di valutarne la stabilità, in quanto anche nel secondo provvedimento hanno espressamente qualificato le lodge tents come opere di edilizia libera.

Gli stessi tecnici comunali, peraltro, una volta qualificate le opere di edilizia libera – evidentemente presupponendo la sussistenza di titoli edilizi e paesaggistici relativi al campeggio rilevanti sia per la legge statale che per quella regionale – hanno ritenuto mancanti l’autorizzazione paesaggistica e il nulla osta idrogeologico.

Sotto tale profilo, non può che rilevarsi che per la mancanza di tali titoli autorizzativi l’ordinamento attribuisce autonomi poteri di tutela, quali quello previsto all’art. 167 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, in mancanza dell’autorizzazione paesaggistica, nonché le specifiche norme sanzionatorie di cui al r.d. 30 dicembre 1923, n. 1267, concernenti il vincolo idrogeologico (in disparte il potere attribuito al Comune, ai sensi dell’art. 27 del Testo unico edilizio, che presuppone comunque la realizzazione di un’opera senza titolo edilizio).

Alla mancanza di tali autorizzazioni, consegue, quindi, l’esercizio di poteri sanzionatori differenti da quello di repressione edilizia.

In particolare, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, in caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti, “il trasgressore è sempre tenuto alla rimessione in pristino a proprie spese”.

In base al comma 2, con l’ordine di rimessione in pristino è assegnato al trasgressore un termine per provvedere. Ai sensi del comma 3 “in caso di inottemperanza, l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica provvede d’ufficio per mezzo del prefetto e rende esecutoria la nota delle spese. Laddove l’autorità amministrativa preposta alla tutela paesaggistica non provveda d’ufficio, il direttore regionale competente, su richiesta della medesima autorità amministrativa ovvero, decorsi centottanta giorni dall’accertamento dell’illecito, previa diffida alla suddetta autorità competente a provvedervi nei successivi trenta giorni, procede alla demolizione avvalendosi dell’apposito servizio tecnico-operativo del Ministero, ovvero delle modalità previste dall’articolo 41 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, a seguito di apposita convenzione che può essere stipulata d’intesa tra il Ministero e il Ministero della difesa.

Non è, dunque, disposta l’acquisizione delle opere al patrimonio comunale, che invece è stata preannunciata nei provvedimenti impugnati.

Con riguardo al vincolo idrogeologico, l’art. 24 del r.d. 3267 del 1923 prevede una sanzione pecuniaria, in caso di lavori realizzati senza richiesta del nulla osta, e l’obbligo di compiere i lavori prescritti dall’Autorità preposta alla tutela del vincolo; l’art. 30 del regolamento regionale 11 marzo 2015, n. 9, richiama l’art. 24 del r.d. 3267 del 1923, sopra citato, e prevede ipotesi in cui viene ordinata la riduzione in pristino da parte del Servizio forestale regionale, in caso di accertata non compatibilità idrogeologica dell’intervento o di danni accertati all’assetto idrogeologico dei luoghi.

Ne deriva che, con riguardo agli allestimenti mobili, il Comune non ha indicato il presupposto per l’esercizio del potere, ai sensi dell’art. 31 del Testo unico dell’edilizia (avendo anzi fatto riferimento ad opere di edilizia libera), né risulta dal provvedimento impugnato che abbia fatto uso dei poteri di tutela paesaggistica, ai sensi dell’art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, secondo quanto sostenuto dalla difesa comunale.

In ogni caso, il Comune non ha sufficientemente motivato perché, pur in presenza di un’opera dallo stesso qualificata come edilizia libera, fossero necessarie l’autorizzazione paesaggistica e il nulla osta idrogeologico, considerando che al campeggio erano state rilasciate numerosi autorizzazioni paesaggistiche (quella relativa al campeggio del 4 febbraio 2003, depositata in giudizio), quelle del 18 marzo 2004 e del 2 ottobre 2012 (richiamate nel permesso di costruire dell’8 aprile 2013) così come era stato rilasciato il nulla osta idrogeologico per la realizzazione del campeggio e dei bungalows nel 2009.

Ne deriva che i tecnici comunali avrebbero dovuto accertare, anche alla luce di tali provvedimenti pregressi, e darne conto nella motivazione, la natura degli interventi effettuati e se per tali opere (di sistemazione degli allestimenti mobili, di cui non è chiarito se fossero in aggiunta o in sostituzione dei precedenti bungalows, come sembra dal riferimento alla differente collocazione delle lodge tents rispetto ai bungalows) fossero effettivamente richiesti una nuova autorizzazione paesaggistica – essendo comunque intervenuta una modifica dello stato dei luoghi -o il nulla osta idrogeologico- che non era stato invece richiesto al momento del rilascio del permesso di costruire nel 2013.

Si deve ricordare infatti che, sotto il profilo paesaggistico, l’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 prevede che “i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione” e “hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione, ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione”, mentre il punto A.17. del d.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31 esclude dall’autorizzazione paesaggistica solo le “installazioni esterne poste a corredo di attività economiche quali esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, attività commerciali, turistico-ricettive, sportive o del tempo libero, costituite da elementi facilmente amovibili quali tende, pedane, paratie laterali frangivento, manufatti ornamentali, elementi ombreggianti o altre strutture leggere di copertura, e prive di parti in muratura o strutture stabilmente ancorate al suolo”.

Con riguardo al vincolo idrogeologico l’art. 26 del regolamento regionale n. 9 del 2015 richiede il parere del servizio regionale tra le altre ipotesi in caso di nuove costruzioni (lettera a) nonché per “tutti gli interventi che possono arrecare i danni di cui all’art. 1 del R.D. n. 3267/1923” ovvero “denudazioni e perdita di stabilità dei terreni o turbamento del regime delle acque”. Nella relazione del 17 marzo 2023 i tecnici comunali hanno rilevato che le lodge tents potevano rientrare in tale ipotesi, ostacolando il deflusso delle acque ma che sarebbe stata necessaria una relazione idrogeologica, per appurare il livello di pericolosità, e che gli allestimenti mobili erano posati su una area non considerata nella cartografia del Piano di assetto idrogeologico di pericolosità idraulica.

Con riguardo alla rete infrastrutturale gli stessi tecnici comunali hanno dato conto nella relazione del 17 marzo 2023 della esistenza di un titolo edilizio (il permesso di costruire n. 139 del 2003), che aveva assentito la realizzazione del campeggio e la rete di adduzione e smaltimento, mentre solo genericamente hanno indicato la differente collocazione delle attuali “tende” rispetto ai precedenti bungalows (realizzati in forza di permesso di costruire), senza però alcuna specifica indicazione di come la rete infrastrutturale fosse stata modificata, così da potere integrare la variante essenziale al permesso di costruire, ricadente nell’art. 31 del d.P.R. n. 380 del 2001. Infatti l’eventuale modifica della rete infrastrutturale avrebbe potuto configurare, in relazione alla natura dell’intervento, anche solo una parziale difformità rispetto al permesso di costruire – con la conseguenza che il potere poteva essere esercitato dal Comune, ai sensi dell’art. 33 del medesimo Testo unico (senza quindi consentire la successiva acquisizione al patrimonio comunale dell’area) – o un altro tipo di intervento edilizio (ad esempio una ristrutturazione). Neppure è stato considerato che anche le modifiche degli impianti erano stati oggetto della Scia presentata a febbraio 2022 e mai oggetto di diffida da parte dell’Amministrazione comunale.

Il Comune ha omesso, quindi, uno specifico accertamento istruttorio, e comunque non ne ha dato conto nella motivazione del provvedimento, in ordine alle circostanze – risultanti dalla documentazione presentata dalla parte ricorrente nel giudizio di primo grado – concernenti la avvenuta realizzazione del campeggio in forza di un permesso di costruire, avente ad oggetto anche la rete infrastrutturale di adduzione e smaltimento ( PDC n. 139 del 2003), né ha chiarito se anche la rete infrastrutturale, per come concretamente realizzata, avesse necessità di autorizzazione paesaggistica o di nulla osta idrogeologico.

In ogni caso il Comune non ha preso in considerazione sia in relazione alle lodge tents sia in relazione alla rete infrastrutturale l’avvenuto rilascio in passato del permesso di costruire n. 139 del 2003 per la realizzazione del campeggio, dei permessi di costruire n. 407 del 2008 e n. 59 dell’8 aprile 2013 per la realizzazione di bungalows, l’avvenuto rilascio del nulla osta idrogeologico da parte della Regione Puglia il 9 ottobre 2009, espressamente richiamato anche nel permesso di costruire del 2013; l’avvenuto rilascio di varie autorizzazioni paesaggistiche, quella relativa al campeggio del 4 febbraio 2003 (depositata in giudizio), quelle del 18 marzo 2004 e del 2 ottobre 2012, richiamate nel permesso di costruire dell’8 aprile 2013.

Ne deriva che i tecnici comunali avrebbero dovuto accertare, anche alla luce di tali provvedimenti pregressi, e darne conto nella motivazione, la natura degli interventi effettuati e se per tali opere (di sistemazione degli allestimenti mobili – di cui non è chiarito se fossero in aggiunta o in sostituzione dei precedenti bungalows, come sembra dal riferimento alla differente collocazione delle tende rispetto ai bungalows – e di modifiche alla rete infrastrutturale) fossero effettivamente necessari i titoli edilizi o solo quello paesaggistico – in relazione alla modifica dello stato dei luoghi comunque intervenuta – o il nulla osta idrogeologico, esercitando i conseguenti poteri sanzionatori previsti dall’ordinamento.

Emerge quindi palese il difetto di istruttoria e di motivazione alla base degli atti impugnati.

L’appello è quindi fondato e deve essere accolto con annullamento della sentenza di primo grado e accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti in primo grado. Resta ovviamente ferma la facoltà del Comune di rieditare il proprio potere, anche sanzionatorio, epurato dai vizi di cui alla presente decisione, ove ne ravvisi gli estremi, giusta la natura permanente degli illeciti de quibus.

In considerazione della particolarità della vicenda in fatto e in diritto le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla i provvedimenti impugnati in primo grado nei sensi e limiti di cui in motivazione.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 1 ottobre 2024 con l’intervento dei magistrati:

Antonella Manzione, Presidente FF

Cecilia Altavista, Consigliere, Estensore

Alessandro Enrico Basilico, Consigliere

Francesco Cocomile, Consigliere

Valerio Valenti, Consigliere

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Cecilia Altavista

Antonella Manzione

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO