Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 7179 del 20 agosto 2024, affrontando il rapporto tra la pianificazione comunale e la legislazione regionale in materia di mutamento della destinazione d’uso, ha dichiarato l’illegittimità della deliberazione del consiglio comunale, con la quale si limitavano gli effetti delle disposizioni regionali. In particolare, quando un ente locale decide di avvalersi della facoltà consentita dalla legge regionale di permettere il mutamento della destinazione d’uso, non può derogare all’applicabilità della normativa regionale agli interventi non ancora realizzati, come chiarito dall’articolo 27 della legge regionale n. 51 del 30 dicembre 2021. Tale articolo, infatti, stabilisce in modo inequivocabile che le disposizioni si applicano anche agli immobili previsti da piani di lottizzazione approvati e convenzionati alla data di entrata in vigore della legge, evidenziando così la natura prescrittiva di tale estensione.

Pubblicato il 20/08/2024

  1. 07179/2024REG.PROV.COLL.
  2. 01932/2024 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1932 del 2024, proposto dal Comune di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Chiara Lonero Baldassarra e Anna Lucia De Luca, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Fabio Caiaffa in Roma, via Nizza n. 53;

contro

la società  – OMISSIS -, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ciro Testini, Carmine Rucireta e Pasquale Procacci, con domicilio digitale come da Pec da Registri di Giustizia;

nei confronti

della Regione Puglia, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza  – OMISSIS – del 2024 del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Bari, Sezione Terza.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della  – OMISSIS -;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 13 giugno 2024 il Cons. Eugenio Tagliasacchi e uditi per le parti gli avvocati presenti come da verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

  1. Con l’appello in epigrafe, il Comune di Bari ha impugnato la sentenza  – OMISSIS – del 2024 del T.a.r. Puglia – Bari, con cui è stato accolto il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado proposto dalla ricorrente e odierna appellata, società  – OMISSIS -, per l’annullamento della determinazione dirigenziale dell’anzidetto Comune n. 906 del 7 settembre 2022, recante il diniego definitivo in relazione alla richiesta di permesso di costruire del 28 febbraio 2022, concernente un intervento di edificazione con parziale cambio di destinazione d’uso, ai sensi del combinato disposto dell’art. 27 della l.r. n. 51 del 30 dicembre 2021, dell’art. 2 della l.r. n. 16 del 7 aprile 2014 e dell’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 26 novembre 2007, nonché per l’annullamento di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale e, in particolare, della delibera del Consiglio comunale di Bari n. 11 del 2022, avente il seguente oggetto: “Mutamenti di destinazione d’uso in attuazione dell’art. 2 della LR Puglia n. 16/2014. Aggiornamenti della DCC n. 31/2015”.
  2. Più precisamente, la società ricorrente in primo grado e odierna appellata, con l’istanza del 28 febbraio 2022, aveva chiesto un permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui al lotto A del piano di lottizzazione n. 22 del 1991, approvato con deliberazione del Consiglio comunale n. 249 del 1995 (c.d. Lottizzazione  – OMISSIS -), per una volumetria complessiva di 446.000 mc.

L’area in questione, sita tra via  – OMISSIS – e la c.d.  – OMISSIS -, risulta disciplinata dall’art. 39 delle norme tecniche di attuazione (“Zone per attività terziarie”) e prevede insediamenti destinati, per l’appunto, in prevalenza al terziario. Il permesso di costruire richiesto della società ricorrente aveva ad oggetto il parziale mutamento di destinazione d’uso degli immobili da realizzare da terziario a residenziale per circa metà della volumetria programmata dall’intervento.

  1. Con riferimento al quadro della legislazione regionale pugliese, occorre osservare fin d’ora che l’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16, ha previsto la possibilità del mutamento di destinazione d’uso “di immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore del presente articolo in zone territoriali omogenee che lo strumento urbanistico generale prevede a destinazione mista come definita all’articolo 51, comma 1, lettera c), punto 5), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), purché detti immobili non siano soggetti a vincolo derivante da finanziamento pubblico o rivenienti da variante urbanistica speciale”.

Successivamente, l’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 ha esteso la disciplina di cui al citato art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007 “anche agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”.

  1. Il Comune di Bari, tuttavia, con l’impugnata deliberazione consiliare n. 11 del 2022, ha espressamente escluso l’applicazione dell’anzidetta disciplina regionale agli edifici in corso di realizzazione e a quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa. Il Consiglio comunale, infatti, ha deliberato che: “nell’esercizio della potestà pianificatoria attribuitagli dal D Lgs n. 267/00, esercitando la facoltà introdotta dall’art. 8 bis della LR n. 33/07 ed in coerenza con le finalità ivi indicate al comma 1 (favorire il riuso e il recupero del patrimonio edilizio esistente), che mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere edilizie e non comportanti incrementi volumetrici eccedenti le previsioni dello strumento urbanistico vigente nella zona d’intervento, sono ammessi esclusivamente per immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore della LR 7.4.2014, n. 16, (8.4.2014, data di pubblicazione del BURP n.47) con espresso divieto di applicazione della medesima disciplina agli edifici in corso di realizzazione e a quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata”.

Conseguentemente, con Pec del 13 luglio 2022, il Comune ha comunicato alla società  – OMISSIS – il preavviso di diniego in relazione all’istanza di permesso di costruire del 28 febbraio 2022, chiedendo, da un lato, alcune integrazioni documentali e, dall’altro lato, facendo presente l’incompatibilità dell’intervento con il divieto introdotto dalla deliberazione consiliare n. 11 del 2022, sopra richiamata. La società ricorrente e odierna appellata, in data 22 luglio 2022, ha dato riscontro all’anzidetta comunicazione; tuttavia, il Comune – dopo un ulteriore preavviso di diniego dell’1 agosto 2022 seguito da un nuovo riscontro della società del 12 agosto 2022 – con la già menzionata determinazione dirigenziale n. 906 del 7 settembre 2022, ha adottato il provvedimento definitivo di diniego in relazione alla richiesta di rilascio del permesso di costruire del 28 febbraio 2022.

  1. La società  – OMISSIS – ha, dunque, impugnato il predetto provvedimento davanti al T.a.r. Puglia – Bari e il Tribunale, con la sentenza  – OMISSIS – del 2024, ha accolto il ricorso ritenendo che la deliberazione del Consiglio comunale n. 11 del 2022 fosse illegittima avendo il Comune esercitato un “potere eccentrico rispetto alle prerogative” attribuite dal legislatore regionale in relazione alla pianificazione urbanistica del territorio comunale. Ad avviso del giudice di primo grado, infatti, al Comune di Bari, in quanto ente privo di potestà legislativa primaria, non potrebbe essere riconosciuto il potere di adottare un provvedimento di natura pianificatoria con l’espressa finalità di contrastare o comunque limitare l’applicazione di una legge regionale nell’ambito del proprio territorio e, a tal fine, il T.a.r. ha richiamato il principio di gerarchia delle fonti.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune di Bari formulando tre distinte censure.

6.1. Con il primo motivo di gravame, il Comune appellante ha evidenziato che, nel piano di lottizzazione del 1991, gli interventi di edilizia residenziale nell’area oggetto della richiesta di permesso di costruire della  – OMISSIS – dovevano costituire “un corollario” dell’iniziativa edilizia finalizzata a creare un polo terziario, con la conseguenza che l’accoglimento della richiesta di modifica della destinazione d’uso degli edifici “avrebbe comportato uno sbilanciamento dell’assetto del Piano” poiché avrebbe portato “la quantità residenziale complessiva nell’area lottizzata a sopravanzare quella terziaria-direzionale”.

A fondamento del primo motivo di gravame, il Comune ha fatto riferimento all’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007 nella parte in cui la disposizione prevede che “i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d’uso”. Nella prospettazione dell’appellante, dunque, il legislatore avrebbe introdotto una mera facoltà, sicché sarebbe, a suo dire, contraddittorio sostenere che, da un lato, sia stata concessa la predetta facoltà al Comune ma, dall’altro lato, sia stato imputato “al medesimo Ente di aver esorbitato dalle proprie competenze”, omettendo di considerare la ratio sottesa all’attribuzione della predetta facoltà. Ad avviso del Comune appellante, la disposizione regionale, intesa secondo l’interpretazione accolta dal giudice di primo grado, porterebbe ad introdurre varianti automatiche agli strumenti urbanistici generali, in violazione “delle norme urbanistiche ed ambientali, nazionali e regionali” e delle competenze comunali di cui all’art. 42 del d.lgs. n. 267 del 2000, che risulterebbero “esautorate”.

6.2. Con il secondo motivo di gravame, il Comune ha censurato la sentenza sostenendo che sia stata fatta errata applicazione degli artt. 117 Cost. e 15 disp. prel. c.c., sostenendo che non vi sia stata alcuna violazione di legge, poiché la delibera del Consiglio comunale avrebbe precisamente identificato le aree in cui applicare le disposizioni della legge regionale, come consentito dall’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, nella parte in cui dispone, come già osservato, che “i comuni possono consentire” i mutamenti di destinazione d’uso. Ad avviso del Comune, pertanto, sarebbe inconferente il richiamo operato dal T.a.r. agli artt. 117 Cost. e 15 disp. prel. c.c., poiché l’amministrazione non avrebbe esercitato alcuna potestà legislativa, restando nei limiti della propria funzione amministrativa.

Nell’ambito del secondo motivo l’appellante ha chiesto al Collegio di valutare se sussistano i presupposti per rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 per contrasto con gli artt. 114 e 117 della Costituzione, poiché l’anzidetta disposizione finirebbe sostanzialmente per sovvertire i criteri di riparto delle competenze nella materia della pianificazione territoriale “che sarebbe, di fatto, sottratta al soggetto effettivamente titolare ossia il Comune per essere stata posta in essere senza potere dalla Regione Puglia”.

6.3. Con il terzo motivo di gravame, infine, il Comune ha censurato la sentenza deducendo il vizio di extra-petizione, in quanto il T.a.r. avrebbe annullato la deliberazione comunale senza circoscrivere l’annullamento “all’effettivo interesse della parte ricorrente”, determinando la caducazione della deliberazione anche nella parte riferibile al contributo straordinario correlato per legge all’esecuzione degli interventi in deroga, privando “di efficacia un’altra disposizione del deliberato consiliare non attinta dalle censure di parte senza addurre alcuna motivazione a base della sua decisione”, con la conseguenza che il T.a.r. avrebbe “esorbitato dalle richieste processuali della ricorrente, rafforzando, così, la richiesta di annullamento della pronuncia medesima”.

  1. Si è costituita in giudizio la società  – OMISSIS -, replicando alle censure proposte e chiedendo il rigetto dell’appello. In particolare la ricorrente, odierna appellata, ha evidenziato che l’art. 2, comma 2, della l.r. n. 33 del 2007 dispone che i mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono consentiti “previa approvazione di una delibera del Consiglio comunale che indichi le parti del territorio ove trova applicazione il presente articolo”, con l’ulteriore precisazione che l’individuazione delle aree ove consentire tali mutamenti andrebbe compiuta “secondo criteri di compatibilità ambientale e funzionalità urbanistica, limitatamente agli usi consentiti nelle zone territoriali omogenee indicate al comma”. Conseguentemente, la disposizione regionale non potrebbe comunque trovare applicazione in assenza di un’espressa individuazione, da parte del Comune, delle aree in cui consentire il mutamento di destinazione d’uso dal punto di vista urbanistico. Per contro, il Comune con la deliberazione impugnata, ha imposto limiti e restrizioni all’applicazione della norma regionale, esercitando, in tal modo, una facoltà non consentita dalla disposizione stessa poiché il profilo di discrezionalità rimesso al Comune riguarderebbe esclusivamente la scelta delle zone nelle quali consentire l’applicazione della disposizione nella sua interezza.

Sotto un diverso profilo, la società  – OMISSIS – ha eccepito l’inammissibilità dell’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal Comune, sostenendo, da un lato, che sia stata solo genericamente prospettata, essendosi l’amministrazione limitata a lamentare la violazione degli artt. 114 e 117 della Costituzione, “senza illustrare alcunché in merito alla presunta violazione e senza neppure indicare quali sarebbero esattamente i precetti costituzionali violati”. Dall’altro lato, la questione sarebbe inammissibile sotto un ulteriore profilo, poiché l’amministrazione, avendo fatto applicazione – sia pure in modo distorto – della disciplina regionale, vi avrebbe sostanzialmente prestato acquiescenza. In ogni caso, ad avviso dell’appellata, la questione di legittimità costituzionale sarebbe comunque macroscopicamente infondata, trattandosi di materia di legislazione concorrente ai sensi dell’art. 117 Cost..

Con riferimento, infine, al denunciato vizio di extra-petizione, dedotto con il terzo motivo di appello, la società  – OMISSIS – ha evidenziato che l’annullamento della delibera del Consiglio comunale n. 11 del 2022 era stato chiesto “esclusivamente nella parte in cui esclude dall’applicazione della disciplina regionale gli immobili previsti nei piani di lottizzazione convezionati e approvati”.

  1. Con la memoria del 14 maggio 2024, il Comune ha insistito nelle proprie difese – anche sulla base di alcuni richiami giurisprudenziali – precisando che si tratterebbe, in ultima analisi, di un’illegittima e surrettizia variante al P.R.G. del Comune di Bari adottata direttamente dalla Regione. Del pari, nella memoria di replica del 23 maggio 2024, la società appellata ha insistito nel sostenere che i prospettati profili di illegittimità costituzionale siano infondati poiché il Comune di Bari poteva liberamente decidere se dare applicazione o meno alla legge regionale, in tal modo esercitando il proprio potere di pianificazione urbanistica “senza alcuna prevaricazione o imposizione legislativa”.
  2. Tanto premesso, il Collegio – trattenuta la causa in decisione all’udienza pubblica del 13 giugno 2024 – reputa che l’appello non sia fondato per le ragioni che di seguito si espongono.
  3. Preliminarmente, per esigenze di chiarezza, si rende necessario ricostruire l’esatto perimetro delle disposizioni regionali che vengono in rilievo nel caso di specie.

In primo luogo, occorre richiamare la l.r. n. 33 del 2007, il cui art. 8-bis, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16, prevede che: “Al fine di favorire il riuso e il recupero del patrimonio edilizio esistente, i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d’uso, con o senza opere edilizie e non comportanti incrementi volumetrici eccedenti le previsioni dello strumento urbanistico vigente, di immobili legittimamente edificati alla data di entrata in vigore del presente articolo in zone territoriali omogenee che lo strumento urbanistico generale prevede a destinazione mista come definita all’articolo 51, comma 1, lettera c), punto 5), della legge regionale 31 maggio 1980, n. 56 (Tutela ed uso del territorio), purché detti immobili non siano soggetti a vincolo derivante da finanziamento pubblico o rivenienti da variante urbanistica speciale.

  1. I mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono consentiti, previa approvazione di una delibera del Consiglio comunale che indichi le parti del territorio ove trova applicazione il presente articolo, da definire secondo criteri di compatibilità ambientale e funzionalità urbanistica, limitatamente agli usi consentiti nelle zone territoriali omogenee indicate al comma 1 e a condizione che siano assicurati: a) le quantità minime di spazi pubblici riservati alle attività collettive, a verde pubblico e a parcheggi previste per la nuova destinazione dall’articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (Legge ponte urbanistica), dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 (Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’articolo 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765), dallo strumento urbanistico vigente o l’importo dovuto per la loro monetizzazione ove non sia possibile reperirli nelle immediate vicinanze; b) il rispetto delle vigenti norme in materia di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e accessibilità.
  2. I mutamenti di destinazione d’uso di cui al comma 1 sono assentiti con il titolo abilitativo edilizio richiesto per la tipologia d’intervento, con o senza opere, e previo pagamento, se dovuto, del contributo di costruzione di cui all’articolo 16 del d.p.r. 380/2001”.

In epoca successiva, il più volte richiamato art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 ha previsto che: “Le norme di cui all’articolo 8-bis della legge regionale 15 novembre 2007, n. 33 si applicano, altresì, agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”.

A fronte delle predette disposizioni, con l’impugnata deliberazione consiliare n. 11 del 2022, il Comune di Bari, “nell’esercizio della potestà pianificatoria attribuitagli dal D Lgs n. 267/00”, ha inteso esercitare la facoltà introdotta dall’art. 8 bis della LR 33/07”, precisando, tuttavia, di consentire il cambio di destinazione d’uso verso la residenza unicamente per il patrimonio edilizio già esistente, con espressa esclusione che la disciplina del già citato art. 8 bis possa trovare applicazione per gli edifici in corso di realizzazione e per quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata”.

Dalle disposizioni sopra riportate si desume chiaramente che l’art. 8-bis della l.r. n. 33 del 2007, aggiunto dall’art. 2, comma 1, della l.r. 7 aprile 2014, n. 16, consentiva pacificamente il mutamento di destinazione d’uso per gli edifici già realizzati e la norma successiva, ossia l’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021, si è limitata a estendere tale facoltà agli edifici ancora da realizzare.

Conseguentemente, in base alle predette disposizioni, i comuni possono – e, con tutta evidenza, si tratta di una mera facoltà – consentire il cambio di destinazione d’uso, purché ciò avvenga nel rispetto della legge regionale, valutando, dunque, caso per caso se consentire il predetto mutamento e individuando le aree in cui consentirlo.

In questo contesto, dunque, negare in via generale e astratta quanto risulta espressamente ammesso dalla legge regionale significa violare la legge medesima, con la conseguenza che è da reputarsi corretta la decisione del T.a.r. di annullare la delibera del Consiglio comunale di Bari e, per illegittimità derivata, il provvedimento di diniego fondato su quella stessa delibera.

In altri termini, dal confronto tra le disposizioni normative sopra richiamate e la deliberazione del Consiglio comunale di Bari si evince come il Comune abbia espressamente inteso limitare – attraverso una previsione contenuta in un atto di pianificazione avente carattere generale – gli effetti della legislazione regionale.

In tal modo, tuttavia, il Comune ha violato l’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021, poiché ha impedito in via generale l’applicazione della disposizione regionale nella sua interezza, operando una sorta di applicazione “selettiva” delle disposizioni della legge regionale medesima, escludendo quelle concernenti la facoltà di autorizzare il mutamento di destinazione d’uso per gli edifici in corso di realizzazione e per quelli soltanto previsti nella strumentazione urbanistica attuativa già approvata e convenzionata.

Del resto, la società ricorrente e odierna appellata nelle proprie difese ha osservato che lo stesso dibattito consiliare – come poi sottolineato anche dal T.a.r. – dimostra che la deliberazione fu assunta proprio al fine di reagire alla modifica della legge regionale (cfr. doc. 4, depositato dalla ricorrente in primo grado).

10.1. Così chiariti i rapporti tra la legislazione regionale e l’impugnata deliberazione consiliare, risulta privo di fondamento il primo motivo di appello, per il cui tramite l’appellante ha sostenuto che non vi sia stata alcuna violazione della legge regionale poiché quest’ultima, nel prevedere che “i comuni possono consentire mutamenti di destinazione d’uso”, avrebbe rimesso ai comuni stessi un’ampia facoltà di scelta in ordine all’applicazione della legge in questione.

La tesi è infondata poiché la facoltà di scelta prevista dal legislatore regionale riguarda esclusivamente la decisione di avvalersi o meno della possibilità di consentire il mutamento di destinazione d’uso previsto dalla legislazione regionale e di individuare altresì le aree ove consentire il predetto mutamento di destinazione, ma non prevede alcuna facoltà di deroga in relazione all’applicabilità della norma “agli interventi non ancora realizzati o in corso di realizzazione, previsti dai piani di lottizzazione approvati e convenzionati, alla data di entrata in vigore della presente legge”. La natura prescrittiva dell’estensione della disciplina regionale agli immobili non ancora realizzati è, infatti, inequivocabilmente desumibile dall’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021.

Conseguentemente, deve ritenersi che il Comune fosse del tutto libero di decidere in autonomia se riconoscere la facoltà di consentire il mutamento di destinazione d’uso e di individuare le aree in cui consentire tale mutamento, come si desume, del resto, proprio dall’art. 8-bis della l.r. 33 del 2007, nella parte in cui subordina l’anzidetta possibilità alla previa approvazione di una delibera del Consiglio comunale che “indichi le parti del territorio ove trova applicazione il presente articolo”. Ma, come già rilevato, ove il Comune decida di consentire il mutamento di destinazione d’uso, tale decisione deve essere assunta senza violare la legislazione regionale.

In ogni caso, l’annullamento in parte qua della delibera e del provvedimento di diniego non significa, di per sé, che il mutamento di destinazione d’uso sia sempre consentito, posto che il Comune – ferma e impregiudicata la sua potestà pianificatoria – deve valutare di volta in volta, in modo ampiamente discrezionale, se intende consentire tale mutamento e in quali aree intende consentirlo, così come emerge dall’utilizzo del termine “possono” nell’ambito del citato art. 8-bis.

10.2. Dalle considerazioni che precedono discende, altresì, la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021 per asserito contrasto con gli artt. 114 e 117 della Costituzione. Infatti, anche a prescindere dai profili di genericità e inammissibilità della prospettazione del Comune, eccepiti dalla difesa della società  – OMISSIS -, non può configurarsi alcuna illegittima compressione del potere di pianificazione spettante al Comune, dal momento che, per le ragioni appena indicate, l’ente locale resta del tutto libero di decidere, per il tramite di una propria delibera consiliare, non solo di avvalersi o meno della facoltà di consentire il mutamento della destinazione d’uso, ma altresì di individuare le parti del territorio comunale in cui riconoscere l’anzidetta possibilità di mutamento della destinazione, con l’unico limite che, ove l’amministrazione decida di consentire tale mutamento, non può violare la legislazione regionale e, dunque, non può escludere tale facoltà con riferimento agli immobili non ancora realizzati o in corso di realizzazione”, non essendo prevista la possibilità di un’applicazione “selettiva” dell’anzidetta disposizione, in considerazione del già sottolineato, inequivocabile, tenore letterale dell’art. 27 della l.r. n. 51 del 2021.

10.3. Da ultimo, anche il terzo motivo di appello è infondato, non essendovi alcun vizio di extra-petizione, dal momento che, con ogni evidenza, l’ambito oggettivo dell’annullamento va letto avendo riguardo ai motivi di ricorso formulati dalla società ricorrente in primo grado e alla luce della motivazione della sentenza del T.a.r.. Conseguentemente, nel caso di specie, non è ravvisabile alcuna extra-petizione poiché il Tribunale si è limitato a pronunciarsi sui motivi di ricorso che erano stati formulati dalla società ricorrente e odierna appellata, sicché risulta infondata la tesi della parte appellante secondo cui il giudice di primo grado avrebbe “esorbitato dalle richieste processuali della ricorrente, rafforzando, così, la richiesta di annullamento della pronuncia medesima”, fermo restando che – ove anche vi fosse stato un profilo di extra-petizione – esso non avrebbe determinato l’annullamento dell’intera pronuncia, come sembra, invece, sostenere l’appellante.

  1. Dalle considerazioni che precedono discende il rigetto dell’appello.
  2. In considerazione della peculiarità e della novità della questione le spese processuali del presente grado possono essere integralmente compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Vincenzo Neri, Presidente

Francesco Gambato Spisani, Consigliere

Giuseppe Rotondo, Consigliere

Luigi Furno, Consigliere

Eugenio Tagliasacchi, Consigliere, Estensore

 

 

L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

Eugenio Tagliasacchi

Vincenzo Neri

 

 

 

 

 

IL SEGRETARIO